Il mondo degli “ultimi” raccontato al PalaGiustizia

“Gli invisibili”negli scatti di Mauro Raffini. Fino al 3 settembre


Vagare per le strade di grandi città (da Torino a Napoli a Nizza fino a Parigi, a Marsiglia e a Londra) per raccontare, attraverso la fotografia, la solitudine e l’ingombrante fardello di povertà di chi quelle stesse strade ha eletto a propria dimora. Per Mauro Raffini, origini cuneesi, ma torinesissimo d’adozione, quegli scatti realizzati in cinquant’anni di attività – fra mille altri dedicati al fotogiornalismo, all’editoria non meno che alle architetture urbane e al paesaggio – rappresentano un atto di fede e di irrinunciabile compassione verso il mondo. Anche e con uno slancio particolare verso chi negli anfratti più oscuri di questo nostro mondo naviga in traversata solitaria, trascinandosi addosso (dentro e fuori) miserie senza limiti e rassegnata disperazione. Sono loro, gli “invisibili” (o i “senza tetto” o gli “homeless” o i “clochards” o – bruttissimo termine, ancora da tanti gettonato – i “barboni”) i protagonisti di una toccante selezione di foto, una trentina complessivamente in bianco e nero e a colori, esposte da Raffini, fino al prossimo 3 settembre, nello Spazio Cultura Inclusiva della Caffetteria del Palazzo di Giustizia di Torino.

Promossa dall’ “Ufficio Pastorale Migranti” (diretto per anni da don Fredo Olivero, ancora oggi apostolo e memoria storica dell’immigrazione straniera a Torino) e dal “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale”, la rassegna ha in sé la forza di guidarci con empatico interesse –trasmessoci dallo stesso artista – verso gli “ultimi” e i più “poveri”, che è come “andare –per usare le parole di Papa Francesco – verso la carne di Gesù che soffre”. Perché, in fondo, è ben vero che “i volti degli homeless sono spesso segnati da elementi di santità”, come sostiene un altro grande della fotografia incentrata sul tema, l’inglese Lee Jeffries che prosegue: “E sono i corpi, non le parole a raccontare le pene patite”. Ecco perché nelle foto in mostra non troviamo nomi né titoli. Solo volti e corpi dall’età indefinita, sguardi stupiti o sperduti o pronti alla sfida, qualche volta perfino i segni di antiche agiatezze; accanto sacchetti di plastica o carrelli della spesa arrivati chissà come e ripieni di mille povere improbabili cose. Avanzi di cibo, bottiglie, coperte, maglioni, cappotti su cappotti, cuffie su cuffie.

E’ lì tutta la loro casa, tutta la loro ricchezza, tutta la loro vita; per giaciglio una panchina o un materasso o la custodia di una chitarra, davanti la scatola di cartone per l’elemosina e c’è perfino chi non rinuncia alla lettura e alla musica. Curiosa la pila di libri accanto alla cuffia di lana che esce dalle coperte, con “L’alba di Vasco” appoggiata a “L’ultimo giurato” di John Grisham e a una guida turistica di Praga. “Ho fotografato – racconta Raffini – cercando di capire cosa significhi vivere la strada tutti i giorni, senza mai forzare la situazione per il rispetto che si deve a queste persone e per non violare troppo la loro residuale umanità”. Ma può una fotografia muovere l’osservatore alla pietas? “Nel suo libro ‘Davanti al dolore degli altri’, Susan Sontag – compagna di viaggio di molti operatori dell’immagine che non si fermano alla superficie delle cose – sostiene di no. E io la penso come lei.

Così come sono convinto che la fotografia – aggiunge Raffini – non sia un elemento determinante, tranne rarissime eccezioni, per cambiare particolari situazioni geo-politiche. Oggi ricordiamo appena la foto del piccolo Aylan, il bimbo siriano spiaggiato sulla costa turca di Bodrum; in questi giorni la stessa emozione si ripete per l’immagine del padre e della figlia salvadoregni ancora abbracciati in acqua, morti per annegamento nel Rio Grande. Un’immagine forte, destinata però a essere dimenticata dopo pochi giorni. E il tentativo di raggiungere gli Stati Uniti continuerà inarrestabile”. Tuttavia? “Tuttavia questo non pregiudica – conclude Raffini – la capacità di narrare con le immagini, che mantengono intatto il loro valore testimoniale, un valore etico, documentale e storico”.

Gianni Milani

“Gli invisibili”
Spazio Cultura Inclusiva-Caffetteria del Palazzo di Giustizia, corso Vittorio Emanuele 130, Torino; tel. 011/01123771
Fino al 3 settembre
Orari: lun. e ven. 7,30/15,30; sab. 7,30/13

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