FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA Di Filippo Re
Hanno sofferto talmente tanto le invasioni e le scorrerie dei turchi che i friulani le ricordano ancora oggi, a distanza di 500 anni, con libri, convegni e rievocazioni storiche. “I turcs tal Friul”, dramma scritto in friulano da Pier Paolo Pasolini nel 1944 e pubblicato solo nel 1976, un anno dopo la morte dello scrittore e poeta, trae spunto dall’invasione dei turchi in Friuli che nel 1499 devastarono gran parte del territorio sfiorando anche Casarsa della Delizia, il paese di sua madre, in provincia di Pordenone e a poca distanza dal Tagliamento. Nel 1944, nel Friuli invaso dalle truppe tedesche e bombardato dall’aviazione anglo-americana, il giovane Pier Paolo Pasolini scrisse un dramma che ricorda l’improvvisa e sanguinosa irruzione dei turchi in Friuli, testimoniata da una lapide che lo scrittore vide in una chiesa di Casarsa. In questi giorni la Chiesa di Santa Croce di Casarsa ha fatto da cornice alla presentazione della nuova edizione del dramma teatrale “I Turcs tal Friul” (I turchi in Friuli), nel quale un Pasolini appena ventiduenne descrive il Friuli devastato dalla guerra rievocando le terribili invasioni del 1499. L’editore Quodlibet lo ha pubblicato come opera di una nuova collana dedicata alla poesia in dialetto. Pasolini scrisse i “Turcs” nel 1944 a Casarsa, dove abitava la madre, sotto le bombe che cadevano anche sul Friuli, ispirandosi a un fatto storico che aveva sconvolto questa terra alcuni secoli prima, ovvero la tragica invasione della cavalleria musulmana proveniente dai Balcani. All’interno della chiesa di Santa Croce si trova una lapide votiva realizzata nel 1529 dagli abitanti di Casarsa in segno di gratitudine per aver evitato il saccheggio dei turchi trent’anni prima. A questa iscrizione votiva è ispirato il dramma teatrale “I Turcs tal Friul”, un atto unico in dialetto friulano scritto da Pasolini negli ultimi anni della guerra. Il testo spazia dagli eventi di fine Quattrocento storicamente documentati, con Casarsa risparmiata dalla furia degli invasori forse, come recita una leggenda, per l’improvviso alzarsi di un polverone che ha impedito ai turchi il passaggio in questo paese, fino ai fatti della seconda guerra mondiale che vide anche Casarsa invasa dai tedeschi, attaccati dai partigiani e bombardati dagli alleati anglo-americani che miravano ai ponti e alla ferrovia sul Tagliamento. È la storia di una piccola comunità agricola costretta a fare i conti con la violenza degli aggressori, la tragedia della guerra, i lutti e le sofferenze. L’incursione turca in Friuli nell’autunno del 1499 si è profondamente saldata nella memoria dei friulani, all’epoca sotto il dominio di Venezia. Camarcio, Cervignano, Strassoldo, San Giovanni, Cusano, Fiume Veneto, San Floriano, Pordenone, Cordenons, Roveredo, Aviano, Spinazzedo….è lungo l’elenco delle devastazioni e delle crudeltà compiute dai turchi che giunsero perfino a poche decine di chilometri da Treviso e Mestre dove gran parte della popolazione fuggì in preda al panico. È utile per conoscere queste vicende storiche il libro di Roberto Gargiulo “Mamma li turchi, la grande scorreria in Friuli” (edizioni Biblioteca dell’Immagine) in cui l’autore, friulano, ricostruisce quel drammatico periodo sul finire del XV secolo. L’impero dei sultani stava attraversando un periodo di grande espansione dopo la conquista di Costantinopoli bizantina nel 1453 e l’occupazione, seppure temporanea, di Otranto nel 1480 con le armate inviate da Maometto II con l’obiettivo di risalire la penisola e prendere la capitale della Cristianità. In realtà i turchi erano già penetrati in Friuli nel 1472 e nel 1477 con distruzioni sistematiche e incendi di villaggi per poi ritirarsi con molti prigionieri. Comandati dal pascià bosniaco Iskender Beg (nulla a che vedere con Giorgio Castriota Skanderbeg) oltre 15.000 akingy, spietati incursori a cavallo, giunsero sull’Isonzo e invasero la pianura arrivando a Udine. Nel 1479 la Repubblica di Venezia stipulò un trattato di pace ventennale con i turchi. Vent’anni di tregua, poi ci fu l’invasione più terribile, nel 1499. Un flagello, con oltre 130 paesi distrutti, rasi al suolo e dati alle fiamme, chiese profanate e incendiate e migliaia di friulani uccisi o fatti prigionieri. Tra le macerie di paesi e cittadine mucchi di cadaveri maleodoranti, bambini lasciati vivi o morti per le strade, pochi i superstiti. Felice per il risultato della campagna militare, Iskender inviò al sultano 300 friulani prigionieri come regalo personale mentre la regione si presentava come sfigurata da una furiosa grandinata.
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