Alla Fondazione Giorgio Amendola, gli ateliers di 26 artisti piemontesi raccontati negli scatti di Marco Corongi e Stefano Greco
Sono sempre – o quasi – spazi di fortissima suggestione. Carichi di emozioni, di memorie, di segni e tracce, anche profonde, di mille vite trascorse e passate al loro interno, così come di profumi, di odori intensi e inconfondibili, che arrivano dall’aria, dai colori trattati e combinati fra loro, dalle vernici e dai materiali più strani che paiono essersi introdotti fra quelle pareti per opera di magia, non meno che da singolari e personalissimi intrugli di “pratiche alchemiche” (ognuno ha le sue), attraverso cui dare forma ai molteplici linguaggi dell’arte. Parliamo degli studi o –per essere più fini – degli ateliers d’artista. Luoghi sacrali, che in quanto tali riflettono idee, pensieri e segreti – del mestiere e dell’anima – dei loro legittimi inquilini. Spesso “tane” inviolabili, se non con parole d’ordine da spendere con assoluta parsimonia. Molte volte, spazi metafisici e improbabili, combinati o scombinati fra pennelli, vernici, tavolozze imbrattate dai colori, cavalletti, tele, disegni, bozzetti e una miriade d’objets trouvés in alcuni casi tanto strani da rendere perfino inutile un’indagine sulla loro provenienza e sul perché del loro trovarsi da quelle parti. Ebbene, una ventina di questi “luoghi dove nasce l’arte” li ritroviamo esposti, fino al prossimo 15 giugno, in una curiosa mostra fotografica ospitata nelle sale della Fondazione Giorgio Amendola di Torino e firmata da Marco Corongi e Stefano Greco, due fotografi (ma anche architetti) torinesi, amici fin dall’epoca del liceo e che insieme hanno già prodotto importanti progetti fotografici e partecipato, entrambi, a numerose mostre in Italia e all’estero. Iniziato nel 2009, il loro progetto teso, con garbo, a “violare” le sacre mura in cui erano, o sono ancor oggi, soliti operare artisti non sempre di buon carattere e comunque di levatura internazionale, arriva a contare nel tempo una corposa lista di ben 40 ateliers, fra i quali i 26 esposti oggi alla Fondazione di via Tollegno, presieduta da Prospero Cerabona. Compito non facile, quello di Carongi e Greco, che hanno osato, e con successo, addentrarsi “in un campo già sperimentato da molti altri – sottolinea Mauro Raffini – restituendo nelle immagini…il momento topico dell’incontro con l’artista, quello più carico di sincera umanità e di una non forzata reciproca simpatia”. Ecco allora Nino Aimone nell’ordinato disordine del suo studio, sorridente all’obiettivo con pennello e sigaretta in mano, in primo piano un grande nudo femminile riflesso allo specchio, che a oltre mezzo secolo di distanza ancora gode dei felici dettami casoratiani; a seguire le “stanze” di alcuni Maestri che hanno fatto la storia della contemporanea scena artistica torinese, da Ermanno Barovero a Enrica Borghi a Gianni Busso e a Romano Campagnoli. Un clima di rarefatto senso d’attesa nell’ordine pacato e tristemente ineluttabile delle cose, di oggetti del mestiere appesi a parete e di incompiuti gesti d’Autore, traspare negli scatti dedicati agli studi di Francesco Casorati e di Giacomo Soffiantino, entrambi scomparsi nel 2013; il primo solito a lavorare nell’ atelier di via Mazzini che fu anche prolifico laboratorio (di opere e di allievi-pittori) del celebre padre Felice e il secondo nei visionari spazi di via Lanfranchi, poco sopra la Chiesa della Gran Madre, inseriti dal FAI nel 2016 fra i “Luoghi del Cuore” in Torino. E ancora i famosi “cieli” di Antonio Carena, appoggiati in cortile accanto a un emblematico minaccioso segnale di “lavori in corso”; a seguire i “luoghi della creatività” di Clotilde Ceriana Mayneri, Mauro Chessa, Riccardo Cordero, Loris Dadam (l’eccentrico urbanista con baffoni, già direttore scientifico della Fondazione Amendola), Marco Gastini e Massimo Ghiotti. E il percorso continua con lo “studio-feticcio”, fantastica Wunderkammer costruita ai piedi della collina torinese, del novantenne Ezio Gribaudo, di Giorgio Griffa, degli scultori Luigi Mainolfi (alle prese con la fatica delle sue opere post-concettuali), Marina Sasso e Gilberto Zorio. Per concludersi con l’eclettico maitre-à-penser dell’arte torinese Pino Mantovani, con l’architetto – discepolo di Alvar Aalto – Leonardo Mosso, Michela Pachner, Francesco Preverino, Giorgio Ramella, Mario Surbone e il cuneese Fabio Viale. Inserita nell’ambito della kermesse “Fo-To. Fotografi a Torino”, promossa dal MEF-Museo Ettore Fico di via Cigna, la mostra prende il titolo “La finestra dell’angelo” da un’opera letteraria (“L’angelo della finestra d’Occidente”) realizzata nel 1927 dallo scrittore austriaco Gustav Meyrink, fra gli esponenti di spicco della letteratura esoterica mitteleuropea, e vuole essere un viaggio per immagini “teso a svelare i segreti – affermano gli stessi autori – di luoghi avvolti da un irresistibile fascino misterico, non di rado inaccessibili e inviolabili come l’antro di un alchimista”.
Gianni Milani
“La finestra dell’angelo. I luoghi dove nasce l’arte”
Fondazione Giorgio Amendola, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it
Fino al 15 giugno
Orari: dal lun. al ven. 10/12,30 e 15,30/19; sab. 10/12,30