Officina Grandi Motori dalla storia operaia al degrado

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
Officina Grandi Motori.  Si facevano i motori per le navi. Zona Aurora e dall’altra parte della Dora iniziava via Rossini che entrava decisa in via Po sfociano in centro. Alle spalle Porta Palazzo,  via Bra e via Cuneo. Oltre il dazio di piazza Crispi gli operai arrivano con tutti i mezzi dalle gambe alle bici.  Il 24 aprile del 1945 i lavoratori uscirono e salvarono le rotaie dei tram ai binari.  Commercianti ed artigiani lavoravano per gli operai che lavoravano lì. Poi tornitori e fresatori che per essere assunti dalla Feroce  ( la Fiat ) dovevano fare il Capolavoro dimostrando la loro perizia. C’ erano abituati e da bocia  (apprendisti) imparavano il mestiere da artigiani con i baffi. Operai che controllavano le macchine come tornio o fresa. Operai specializzati che in fondo non capirono fino in fondo quei giovani che arrivavano principalmente dal Sud. Messi in catena di montaggio facevano lo stesso movimento per otto ore. Era nato l’ operaio massa.  Con il fondatore della Feroce che attraversò l’ oceano per imparare da Ford la catena di montaggio.  E probabilmente i giovani del Sud non capivano gli indigeni locali che parlavano il dialetto in modo stretto da risultare incomprensibile agli immigrati. Per loro ultimo baluardo verso la pacifica invasione.  Venivano per lavorare e presto avrebbero capito che ribellarsi al padrone era doveroso.  Non esiste ricordo o ricordi oggettivi. Più si va in là nel tempo le impressioni e gli odori si sostituiscono alle immagini.  Ma la sensazione e l’ insegnamento di quel lontano ricordo hanno intatto il loro valore. Avrò avuto sei  o sette anni. In piazza Crispi c’era ancora la Casa del popolo, due  piani interamente costruiti in legno.  Giocavo con la macchina da scrivere già sentendomi un rivoluzionario. Nella sala una concitata riunione dove mio padre parlava. Operaio specializzato della Grandi Motori.  Capo indiscusso della commissione interna.  Quelli che dovevano trattare con la direzione, sicuramente dopo i fatti di Piazza Statuto quando dopo un decennio si era tornato nel scioperare alla Feroce.
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 Parlavano tutti strettamente in dialetto.  Ho il nitido ricordo di un giovane che uscendo dalla riunione scuoteva la testa.  Perché? Non vogliono che anche noi capiamo? Arrivava dalle scuole allievi Fiat.  Sarebbe diventato funzionario di partito e sindacale ed anche parlamentare e senatore eletto a Torino.  Dall’ indicativo nome di Rocco.  Promozione sociale e non solo. Il secondo ricordo è più nitido. Metà anni 70.  9^ Sezione del PCI, nel pomeriggio inoltrato entra un distinto signore in giacca e cravatta: sono il figlio di Antonio Banfo.  Partigiano ed operaio della Grandi Motori ucciso nel 1945 . Comunista, un martire, e la sezione era dedicata a lui. Una lapide in corso Novara  ricorda la sua uccisione ed una via della barriera gli è dedicata.  Voleva parlare con un responsabile. Palmiro Gonzato era lì.Partigiano ed  indiscusso capo del servizio d’ ordine del Pci.  Aveva fatto il gappista vedendo in faccia chi doveva ammazzare. Sangue freddo e compagno che soppesava le parole. Il figlio di Banfo presentandosi precisò che pur non facendo politica aveva sempre votato PCI.  Era un capo operaio a Mirafiori ed era minacciato da delegati sindacali per il lavoro che faceva in catena di montaggio.  Palmiro lo rincuorò: ci penso io. Dopo un mese ritornò ringraziando.  Chi lo aveva minacciato gli aveva chiesto scusa.  Ora la Grandi Motori non c’ è più.  Da anni vogliono costruire un supermercato.  Ora è ricettacolo di miserie umane.  Degrado e miserie.  Se transiti in corso Vercelli puoi sentire suoni di canzoni ad altissimo volume ed una ragazza ha denunciato di essere stata rapita e violentata da tre spacciatori.  Difficile trovare una attività commerciale gestita da Italiani e tutte le botteghe artigiane hanno chiuso.  Terra di nessuno ? Forse sicuramente molti residenti lo dicono. Il ricordo, il mio ricordo diventa una forma di difesa verso ciò che leggo. Non ci vivo più in Barriera. Non c’ è più mio padre che il sabato mattina dopo quattro ore di lavoro alla Feroce ci raggiungeva a Porta Dora e partivamo in treno per  le Valli di Lanzo, in quella casetta affittata dove il riscaldamento era una stufa a legna che bisognava pure spaccare e tagliare. Gli correvo incontro ed abbracciandolo con il viso perennemente fresco dalla veloce camminata per raggiungerci e non perdere il treno. Sapeva di fuliggine e noi eravamo felici . Felici d attentare i panini fatti dalla mamma.  Bastava poco ma per noi era tutto. Non avremmo mai immaginato ciò che sarebbe accaduto.  E che il nostro ricordo sia da baluardo all’ attuale degrado che, almeno in noi, produce solo un infinita e struggente tristezza.  Non per il ricordo accompagnato sempre dalla luminosità del sole ma solo ed esclusivamente per questo presente che non funziona .

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