FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Sono almeno tre i drammi in atto nella martoriata Libia. Da una parte, il rischio concreto che quanto sta accadendo sul suolo libico si trasformi quanto prima in una nuova guerra civile o nell’ennesima guerra per procura sulla sponda sud del Mediterraneo con una probabile ondata di profughi verso l’Italia e dall’altra l’evidenza di un nuovo fallimento della diplomazia delle Nazioni Unite come già accaduto in altri teatri bellici
Il caos libico e l’incapacità di pacificare un Paese rimasto senza Stato è l’ennesima dimostrazione della totale impotenza dell’Onu di fronte alle sfide che giungono dal Medio Oriente e dal Maghreb, complici le pressioni e i diktat di potenze grandi e regionali. È desolante vedere il segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres sbarcare improvvisamente in Libia, mettere da parte con rabbia il suo inviato speciale Ghassan Salamè, fare una frettolosa quanto inutile spola tra Tripoli e Tobruk e lanciare appelli disperati per fermare l’offensiva di Khalifa Haftar mentre i carri armati dell’Esercito nazionale libico (Enl) del feldmaresciallo si avvicinano a Tripoli dopo aver conquistato i due terzi della Libia. Gli estremi tentativi, tutti inconcludenti, del povero Gutierres di stabilizzare la Libia con “Conferenze di riconciliazione”, da Parigi a Roma e a Palermo, sono l’emblema della debolezza diplomatica delle Nazioni Unite sui campi di battaglia, dalla Siria allo Yemen e alla stessa Libia. Il terzo “dramma” è tutto italiano e dimostra ancora una volta il pressapochismo politico del nostro governo, schierato a fianco del premier di Tripoli, Fayez al Sarraj, l’unico leader riconosciuto dall’Onu, colto alla sprovvista dal blitz offensivo di Haftar mentre i francesi vedevano avanzare con entusiasmo le truppe cirenaiche verso l’obiettivo finale. Gli scenari libici cambiano in modo vorticoso e convulso. Solo un mese fa la Libia sembrava vicina a una svolta dopo l’incontro ad Abu Dhabi tra al Sarraj e Haftar che raggiunsero un accordo per convocare una “Conferenza nazionale di riconciliazione” e indire elezioni generali entro l’anno. Poi Haftar ha “tradito” l’intesa, come sostiene al Sarraj, e ha cercato di occupare Tripoli ma le milizie tribali fedeli al governo hanno dimenticato per un giorno le divisioni interne e, dopo aver compattato il fronte governativo guidato dalle potenti brigate islamiste di Misurata (non sempre però fedelissime a Sarraj) e da altri gruppi armati vicini ai Fratelli Musulmani, hanno bloccato il generale a poche decine di chilometri dalla capitale. La marcia di avvicinamento a Tripoli è comunque un successo militare e politico per l’uomo forte di Tobruk che vuole porre fine al caos delle milizie per poi trattare con al Sarraj da una posizione di forza nei colloqui di pace previsti nell’oasi di Ghadames, nel sud-ovest libico, a metà aprile, sotto l’egida dell’Onu. L’inviato delle Nazioni Unite Salamè riunirà oltre 130 rappresentanti della società civile libica per avviare un percorso politico ma la Conferenza è a rischio per la crisi in corso. Mentre si cerca una soluzione negoziale ci si comincia a chiedere se sul trono dell’ex colonia italiana riunificata vedremo un nuovo Gheddafi nella persona di Haftar, un altro al Sisi, spietato contro i terroristi in Egitto. Di sicuro i jihadisti sono il nemico numero uno di Haftar ed è probabile che, se sarà eletto capo di Stato, non darà tregua né agli estremisti islamici né ai trafficanti né agli scafisti. A Tripoli comanderà un generale che darà la caccia ai Fratelli Musulmani, esattamente come accade nell’Egitto di al Sisi che appoggia Haftar. E tutto ciò nell’indifferenza della comunità internazionale e delle stesse Nazioni Unite, secondo cui un regime militare laico al potere è sempre da preferire a un regime islamista e teocratico ostile agli interessi dell’Occidente. Come ha fatto il generalissimo, un tempo gheddafiano di ferro e poi acerrimo rivale del rais, a occupare quasi l’intera Libia? Il patto di ferro è con il Faraone del Nilo che gli ha fornito armi e blindati in grande quantità per arrivare a Tripoli mentre gli Emirati Arabi lo finanziano in abbondanza. Non solo, dietro Haftar ci sono anche Francia, Russia e Arabia Saudita. Per esempio, Mosca appoggia il generale di Tobruk con centinaia di mercenari russi, già visti in azione in Siria e Parigi invia consiglieri militari. Determinante per il successo della campagna militare di Haftar è stato il sostegno di numerose tribù legate a Gheddafi, delle milizie Tuareg e Tebu nel sud-ovest del Paese e di una parte delle tribù berbere di Zintan a conferma che la Libia potrà essere pacificata solo con intese politiche tra le numerose fazioni. Haftar dovrà dimostrare di essere anche un abile politico oltrechè uno stratega esperto e cercare di gestire bene le tante alleanze dalle quali sta ottenendo tutto ciò che è necessario per procedere militarmente. Non dovrà scoprirsi troppo nell’area della “Mezzaluna” petrolifera del Golfo della Sirte che talvolta finisce nel mirino delle milizie di Misurata, alleate di al Sarraj e che ricevono aiuti finanziari e militari dal fondamentalista Qatar e sostegno dalla Turchia. Con un eventuale Haftar al potere gli interessi energetici italiani in Libia sarebbero minacciati? Il governo italiano appoggia al Sarraj, voluto dall’Onu, ma non ha mai preso le distanze da Haftar, mantenendo con il generale rapporti amichevoli e incontrandolo più volte in Italia per preparare negoziati di pace. E’ necessario andare d’accordo con il futuro governo libico, chiunque sia al comando, per ragioni legate alle ricchezze energetiche e ai flussi migratori. Petrolio e gas libico fanno gola a tutti, in particolare a Italia e Francia. A Mellitah si trova il grande terminal energetico del gasdotto Eni che collega la costa libica alla Sicilia portando il gas in Italia e dalle coste africane i trafficanti mandano in Italia barconi stracolmi di profughi. Respinta la tregua umanitaria chiesta dall’Onu i giochi restano apertissimi anche perchè il generale cirenaico non ha mai nascosto l’intenzione di governare sull’intera Libia di cui controlla già un’ampia porzione. Ma forse ha fatto il passo più lungo della gamba. La crisi si è aggravata dopo il bombardamento dell’aeroporto di Tripoli che ha sollevato la condanna della comunità internazionale. La preoccupazione di un’escalation di violenze ha spinto Mosca, Parigi, Washington e l’Unione Europea a chiedere una soluzione politica e lo stop immediato dei combattimenti che hanno già provocato un centinaio di morti e oltre 13.000 sfollati.
dal settimanale “La Voce e il Tempo”
Libia verso una nuova guerra civile?
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