Bisogna salvare lo Yemen

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica

Bisogna salvare lo Yemen, porre fine alla guerra civile, ai lutti e alle sofferenze di decine di migliaia di yemeniti e difendere il grande patrimonio culturale di cui è ricco lo Yemen, fatto di arte, architettura e archeologia. Ma oggi questo straordinario patrimonio viene sistematicamente distrutto dai raid aerei che da quattro anni devastano l’angolo sud-occidentale della penisola arabica. L’accorato appello per proteggere i tesori dell’antica Arabia Felix è stato lanciato da Enzo Ravagnan, direttore dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, intervenendo a un convegno sulla guerra in Yemen presso il Circolo della Stampa di Torino. Ma tutto si è bruscamente interrotto nel marzo 2015 quando la capitale Sana’a fu occupata dai ribelli sciiti Houthi. In quel momento Ravagnan era a Sana’a, dove ha fondato un Centro italo-yemenita che ospita una scuola di restauro, ma con l’aggravarsi della situazione ha dovuto lasciare lo Yemen insieme ai suoi allievi. “Stavamo sistemando la moschea di Sana’a, per la quale eravamo in dirittura d’arrivo coi lavori e la moschea di Al-Ahrafiyya a Taiz, racconta Ravagnan. Già altre volte, in contesti che stavano diventando pericolosi, siamo rimasti lo stesso sul campo ma questa volta la situazione era troppo grave. Non c’erano più le condizioni per restare. Gi Houthi hanno occupato la capitale e di fronte al nostro Istituto hanno piazzato una grossa mitragliatrice, spari e bombe erano a un centinaio di metri dal nostro gruppo. Siano fuggiti dopo i primi bombardamenti”. Renzo Ravagnan, architetto e responsabile dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, racconta la sua storia di fuga dallo Yemen, insieme ad una decina di colleghi italiani. Ravagnan ha messo in piedi a Sana’a un laboratorio di restauro e conservazione e da 15 anni collabora con il ministero della cultura yemenita. In tutti questi anni ha formato decine di giovani yemeniti per la conservazione dei beni culturali. Oltre ad operare in Italia, l’Istituto veneto, con sede a Venezia, è presente anche all’estero come in Terra Santa dove sono stati condotti i restauri alla cappella di Sant’Elena nella Basilica della Natività di Betlemme, al muro crociato della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth e alla cappella dell’Invenzione della Croce della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Accordi di collaborazione sono stati firmati con le autorità israeliane anche per interventi di ristrutturazione nella splendida Cittadella crociata di Akko (San Giovanni di Acri). L’Istituto Veneto per i Beni Culturali è già intervenuto nel restauro di altri patrimoni storico-architettonici come la Spianata delle Moschee in Terra Santa dal 1997 al 2009. Il centro italo-yemenita era impegnato in Yemen nella ristrutturazione di due importanti luoghi di culto yemeniti. La Grande Moschea di Sana’a Al Jami al Kabir, risalente al 630 d.C., due anni prima della morte di Maometto, costruita dagli arabi al posto dell’antica cattedrale della capitale, e la moschea di Al Ashrafiyya alle pendici del monte Saber presso la città di Taiz nel sud dello Yemen, eretta alla fine del Trecento. I lavori avrebbero dovuto terminare nell’estate 2015 ma la situazione è precipitata e la missione è rientrata di fretta in Italia. Non era la prima volta che succedeva ma questa volta, con l’aggravarsi della guerra civile, non si poteva più rimanere nel Paese. La maggior parte del lavoro veniva svolto nel centro storico di Sana’a con il restauro di 8000 case con torri antichissime, composte da mattoni cotti al sole, che con il degrado e l’incuria rischiavano di crollare. Un prezioso patrimonio costituito in particolare dalle due moschee in cui l’Istituto di Ravagnan stava lavorando, soprattutto quella di Sana’a con decorazioni antichissime e che durante il restauro ha fatto riemergere sostegni in legno dei primi secoli dopo Cristo. “Abbiamo cercato di mettere in pratica il sogno di Pasolini, ha affermato Ravagnan, nell’antichissimo centro città della capitale yemenita, che Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta volle difendere dalla selvaggia speculazione edilizia”. La tragedia yemenita continua nonostante le tregue imposte dall’Onu con alterna fortuna. “La speranza è l’ultima a morire ma, credetemi, ha aggiunto Ravagnan, gli yemeniti non vogliono la guerra mentre il loro Paese vive da quattro anni gli effetti di uno scontro geopolitico che va ben oltre i suoi confini”. In Svezia il lodevole inviato dell’Onu per lo Yemen Martin Griffiths è riuscito a far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori del conflitto ma il futuro del Paese resta denso di incognite.

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