John Turturro firma il Rigoletto verdiano

In scena il dramma della maledizione morale

 

Un regista d’eccezione, John Turturro, ed un’interprete altrettanto noto, Carlos Alvarez, per il Rigoletto, che sarà in scena al teatro Regio di Torino dal 9 febbraio prossimo. Intenso dramma di passione, tradimento, amore filiale e vendetta, il Rigoletto, opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma di Victor Hugo “Le Roi s’amuse”, fa parte della cosiddetta trilogia popolare verdiana insieme al Trovatore (1853) e alla Traviata. La prima dell’opera ebbe luogo con successo l’11 marzo 1851, al teatro La Fenice di Venezia. Fin dall’inizio dell’opera la figura di Rigoletto è posta in una posizione di antipatia, ma risulta capace di esprimere, con le sue paure e le sue confessioni, l’abisso nel quale versa la sua anima ed il suo interiore tormento. È un personaggio capace di passare dall’ira iniziale, simboleggiata dall’aria ” Cortigiani vil razza dannata”, alla commozione rappresentata da “Ebben il piango”, fino ad umiliarsi di fronte a tutta la corte. Questa concentrazione dei suoi atteggiamenti, che vanno dal più agitato all’implorazione che rasenta il lirismo, ingigantiscono la sua figura. Le categorie vocali del Rigoletto non sono tipiche dell’opera romantica in voga nel periodo. Qui manca la figura protagonista dell’eroe, tipicamente tenorile, perseguitato dal destino o dall’ingiustizia, con i suoi amori frustrati ed in lotta per i suoi ideali politico-religiosi. Il tenore di Rigoletto non rappresenta, infatti, alcun ideale, ma incarna una voce leggera, quasi filosettecentesca. I sentimenti puri, gli ideali, le passioni più accattivanti passano al soprano, Gilda che, secondo le parole del critico Massimo Mila, risulta la “sola esponente d’una naturale e giusta condizione umana, in mezzo a personaggi forsennati che bramano, odiano, tradiscono e maledicono”. Qui troviamo il rapporto tra tenore e baritono, anche se quest’ultimo non pare trovare nel primo un rivale vero e proprio, ma risulta piuttosto suo succube e consigliere. La regia di John Tunturro si affida alle ambientazioni cupe ed austere immaginate da Francesco Frigerio. La linea che delimita gli edifici è quasi sempre inclinata, quasi a voler raccontare una realtà instabile e precaria, in quanto minata da una sempre più diffusa corruzione morale che coinvolge tutti i personaggi dell’azione, ad eccezione di Gilda. Il regista italo-americano escogita alcune trovate, quali la gestualità meccanica imposta nel primo atto al coro o il roteare vorticoso delle figure incappucciate, mentre infuria la tempesta del terzo atto. Nella scena finale l’apertura del sacco non rivela il corpo di Gilda, ma un drappo rosso, colore che è molto simbolico, metafora della ferita mortale che le è stata inferta. La figlia di Rigoletto appare incedere a sinistra, quasi come un fantasma, in ossequio ad un vero e proprio processo di trasfigurazione.

 

Mara Martellotta

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