Il libro parte dal suo arrivo a Torino
C’è il Marchionne manager, duro e risoluto, che non esita a scontrarsi con la Fiom e a sbattere la porta di Confindustria, ma c’è anche l’uomo che si commuove quando suona l’inno nazionale e sfilano i carabinieri in divisa e che, nonostante resti ancorato al suo motto “chi comanda è solo”, ha saputo trovare l’amore che gli ha cambiato la vita. Sono tanti i Marchionne che vengono raccontati da Luca Ponzi, caporedattore Rai oggi in Calabria che per anni ha seguito per Tg1 e Tg2 le vicende legate alla Fiat, nel libro “Sergio Marchionne, storia del manager che ha salvato la Fiat e conquistato la Chrysler”, edito da Rubbettino.
Quale Marchionne viene fuori dal suo libro?
Il libro parte dal suo arrivo a Torino, allora era un manager sconosciuto al grande pubblico e indossava ancora la cravatta. La Fiat era sull’orlo del baratro, cassetti vuoti, zero progetti, modelli vecchi, clienti sempre meno affezionati. Marchionne è riuscito a invertire la tendenza, ha giocato una vitale partita con General Motors, facendosi pagare un miliardo e mezzo di dollari per evitare le clausole di un contratto che obbligava gli americani a prendersi la Fiat in crisi, ha conquistato la Chrysler grazie a Obama senza tirar fuori un quattrino. Ha poi inventato una seconda vita per la Cinquecento, promosso ai vertici giovani manager, ma ha anche messo in garage lo storico marchio Lancia, uno dei più prestigiosi, tanto che ancora oggi nelle parate di Stato il Presidente della Repubblica è a bordo di una scintillante Flaminia, ha venduto il quotidiano La Stampa e spostato la sede legale del gruppo all’estero.
Il libro è ricco di aneddoti personali. Lei ha conosciuto Marchionne?
Si l’ho conosciuto personalmente, fin dal suo arrivo a Torino, quando amava mangiare in mensa con gli operai o si stupiva delle condizioni pessime dei servizi igienici nello stabilimento di Mirafiori. Per la Rai ho seguito trattative sindacali, spesso infinite, i saloni dell’auto di Ginevra, le innumerevoli presentazioni dei nuovi modelli. Marchionne c’era sempre e spesso forniva ai giornalisti una notizia ghiotta, un titolo. Conosceva alla perfezione i meccanismi della comunicazione.
Che idea si è fatto di Marchionne?
Un manager esigente, soprattutto nei confronti di sé stesso. Un manager votato al lavoro, stargli accanto non era facile. Nel libro c’è un capitolo – I Marchionne boys – dove si racconta dei giovani manager che furono scelti per risollevare la Fiat, le loro fatiche, il loro impegno.
Qual è oggi la sua eredità?
Se non ci fosse stato Marchionne non ci sarebbe in Italia una fabbrica di automobili, Quando lui arrivò, sono parole sue, la Fiat era “tecnicamente fallita”, oggi Fca ha annunciato cinque miliardi di investimenti, a partire dalla 500 elettrica a Mirafiori. Un uomo – Sergio Marchionne – che ha lasciato un segno indelebile non solo in Italia, che ha spronato molti giovani a guardare avanti e che amava ripetere, come è raccontato nel libro “E’ leader chi ha coraggio, sfida l’ovvio, segue strade non battute, rompe vecchi schemi e chiude con le abitudini consuete”.
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