Ogni volta che del cibo ancora buono viene gettato via non c’è solo uno spreco di eccedenze, ma anche la perdita di pasti potenziali per sfamare chi non riesce a provvedere ai propri bisogni. Lo sanno bene le persone e i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), fondata da don Oreste Benzi nel 1968, che a Torino hanno dato vita a una sfida che ha fatto del food-sharing la sua filosofia portante: vale a dire mettere in rete tanti alimenti che non vengono consumati e farne i ‘mattoni’ di un argine contro la povertà che avanza in città, la solitudine e lo sconforto di una piccola popolazione spesso invisibile. Avviene intorno alle tavole che da tre anni ormai, ogni settimana, accolgono per la cena una cinquantina di ospiti, che qui trovano pasti cucinati e serviti dai ragazzi della Comunità: giovani che stanno loro stessi superando situazioni problematiche, spesso legate alla tossicodipendenza o all’alcolismo. Da pochi giorni, visto l’arrivo della bella stagione, il servizio, che nei mesi invernali si tiene nel convitto dei frati di Sant’Antonio da Padova nell’omonima via in zona Porta Susa, si è spostato all’aria aperta, nei giardinetti di fronte all’ingresso della stazione. La materia prima la forniscono le tante realtà cittadine e dei territori limitrofi: le panetterie di Grugliasco, che danno pane, pizze e brioches non venduti; una parrocchia di Collegno, che raccoglie le eccedenze da un supermercato di Torino; il mercato di Chieri, da cui si ottiene la frutta e la verdura che altrimenti andrebbe buttata; le suore di Asti e la Caritas di Villanova che regalano quel che hanno in più. In questo meccanismo, che funziona grazie ai tanti volontari, la mensa della Comunità fa da intermediario, crea una rete fatta di incontri e relazioni, organizza e cura i viaggi per il trasporto della materia prima, stabilisce contatti che favoriscono il mutuo aiuto, connette i luoghi dello spreco e quelli del bisogno su tre piani: fa incontrare chi può offrire qualcosa, chi cerca un’occasione di riscatto ed è pronto ad impegnarsi per l’altro, e chi fa fatica ad andare avanti ed è solo al mondo. A servirsene sono i senza dimora della città e i figli della disgregazione del ceto medio. La maggior parte sono torinesi anziani o invalidi che non riescono a fare la spesa, non mangiano per giorni e ciononostante sono in rosso con le bollette. “Facciamo parte del tavolo di lavoro istituito dal Comune per le unità di strada”, spiega Tommaso Cancellara, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e responsabile del progetto: “Nell’attività all’aperto la Apg23 è impegnata dal 2010, e ci coordiniamo con le altre associazioni che operano in città anche per la gestione e la segnalazione dei casi di emergenza. Speriamo che, con lo spostamento della mensa direttamente in strada, molte più persone senza dimora potranno conoscerci e venire a mangiare alla nostra tavola”. Le donazioni però non sempre bastano, e una parte del cibo, come la carne, va acquistata. “Usufruiamo di un contributo del Comune e da parte di un istituto di credito, ma il bisogno è sempre alto, anche per cose che possono sembrare scontate, come i costi per il carburante e l’autostrada che ci permettono ogni settimana di raggiungere le persone che vivono in strada e ci aspettano”, racconta Cancellara: “Noi della Comunità mettiamo la nostra vita e le nostre forze, ma ci serve l’aiuto di tutti e un’occasione per chi vorrà contribuire a sostenerci può essere quella offerta dal 5 per mille o tramite le tante altre iniziative solidali che portiamo avanti in Piemonte e in tutta Italia da oltre 50 anni”. La mensa è anche uno spazio relazionale, il suo obiettivo non è solo quello di sfamare le persone, ma creare un gruppo di condivisione umana: “Spesso si gioca a carte, organizziamo il karaoke. Si sono instaurati percorsi positivi al di là del bisogno primario del mangiare – conclude il responsabile del progetto –. Portiamo beni di prima necessità, abiti e prodotti per l’igiene. C’è un mondo che si muove intorno a queste cene”. Un impegno che, grazie all’aiuto di tanti, sostiene una parte fragile della città.
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