Quando i Veneziani distrussero il Partenone

Anche le statue muoiono, sfregiate o decapitate, i musei vengono saccheggiati, i siti archeologici devastati dalla follia umana. Interi patrimoni culturali distrutti dalle guerre e dai barbari moderni. Come ci ricordano le mostre allestite al museo Egizio, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e ai Musei Reali a Torino, fino al 3 giugno, per riflettere sull’importanza e sulla protezione del patrimonio artistico, dai tempi antichi fino ai giorni nostri. Dagli Egizi alle nefandezze dell’Isis e dei talebani, le guerre hanno spesso cancellato patrimoni culturali vecchi di millenni, come viene messo in rilievo nelle rassegne torinesi. Anche i maestosi templi dell’antichità non sono scampati a questo destino e anche noi italiani abbiamo distrutto una delle meraviglie del mondo antico. Accadde ad Atene alla fine del Seicento quando i veneziani demolirono nientemeno che il Partenone sull’Acropoli, visitato ogni anno da milioni di turisti. “L’abbiamo fatta grossa! Non si può distruggere la più bella antichità del mondo in una Atene ornata di antiche vestigia di celebri ed erudite memorie”. Il giorno successivo a quella terribile esplosione, Francesco Morosini non si dà pace, ben consapevole del disastro compiuto, e cerca di giustificarsi dicendo di aver colpito il Tempio di Minerva (o Atena) per sbaglio, ma non fu un errore. Il Partenone (V secolo a.C.), sull’Acropoli ateniese, fu preso di mira volutamente. Ebbene sì, i veneziani sbriciolarono il maestoso Tempio greco con un colpo di mortaio. La notizia fece rabbrividire l’intera Europa: al patrimonio culturale mondiale era stato inferto un colpo durissimo. Ecco cosa avvenne il 26 settembre 1687. Venezia era ancora una grande potenza sul mare e sulla terraferma. Dopo aver occupato la Morea (il Peloponneso), i veneziani, guidati dal condottiero Francesco Morosini, che diventerà il 108° doge della Repubblica di Venezia, sbarcano al Pireo e assediano la rocca dell’Acropoli ad Atene che a quel tempo era un villaggio di cinquemila abitanti. I turchi ottomani, padroni della Grecia, si erano rinchiusi nel tempio con le famiglie, i generi alimentari, armi e polvere da sparo. Il Partenone, che includeva una moschea e veniva usato come polveriera, sembrava un luogo solido e sicuro e mai nessun nemico avrebbe osato danneggiare un monumento così antico e leggendario. Tra la Repubblica di Venezia e l’Impero ottomano scorreva da secoli un rapporto di amore-odio, le due potenze si combattevano aspramente sui mari ma i conflitti erano intervallati da lunghi periodi di pace e intensi scambi commerciali e culturali. In cifre, 86 anni di guerra e 410 anni di pace ma appena capitava l’occasione per litigare nessuno dei due si tirava indietro. Un micidiale colpo di una bombarda da 500 libbre centrò in pieno il deposito della polvere da sparo distruggendo gran parte dello storico edificio dell’antichità classica, uccidendo 300 persone e provocando un vasto incendio che durò alcuni giorni. La deflagrazione fece franare tre dei quattro muri del luogo sacro e molte sculture dei fregi andarono in pezzi. Crollarono 28 colonne e i locali interni adibiti a chiesa e poi a moschea furono devastati. I frammenti del tempio vennero proiettati a centinaia di metri di distanza. Atene diventò una città veneziana ma il danno arrecato fu immane, uno dei più grandi scempi della storia dell’umanità, un gesto del tutto inutile perchè i veneziani furono costretti a scappare da Atene alcuni mesi dopo per l’arrivo di nuove truppe turche. Per Venezia il trionfo è breve e la sconfitta è dietro l’angolo. I turchi riconquisteranno la Morea e la terranno fino all’indipendenza della Grecia nel 1832. Ma per Francesco Morosini l’assedio dell’Acropoli e la distruzione del Partenone fu un grande successo militare e d’immagine. La Serenissima accolse il capitano generale dell’armata veneziana con tutti gli onori e gli assegnò il titolo onorifico di “Peloponnesiaco”. Dalla spada all’armatura, dai vessilli alle insegne vittoriose collocate sui monumenti e alla Porta di terra dell’Arsenale dedicata a lui, ogni pezzo dell’eroe della campagna di Morea contro i turchi è conservato a Venezia come una reliquia. Ma laggiù restò un Partenone sventrato, demolito dalle bombe veneziane.

Filippo Re

 

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