La prima edizione italiana ( per i tipi dell’Einaudi) porta la data del 9 marzo 1943 e venne curata dall’allora ventiseienne Fernanda Pivano che raccontava: “Ero una ragazzina quando vidi per la prima volta l’Antologia di Spoon River. Me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’è tra la lettura americana e quella inglese”
Quando l’avvocato Edgar Lee Masters, tra il maggio del 1914 ed il gennaio del 1915, pubblicò sul “Mirror” di St. Louis una serie di poesie , successivamente raccolte nell’Antologia di Spoon River, non immaginava di ottenere tanto successo. Ogni poesia, raccontando in forma di epitaffio la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un immaginario paesino statunitense, proponeva un folgorante ritratto della profonda provincia americana, sospesa fra l’Ottocento e il Novecento. La prima edizione della raccolta, pubblicata cent’anni fa ( nell’aprile del 1915) contava 213 epigrafi diventate poi 244 più La Collina ( “Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina..”) nella versione definitiva del 1916. La raccolta comprende diciannove storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi che coprono praticamente tutte le categorie e i mestieri umani. Masters si proponeva di descrivere la vita umana raccontando le vicende di un microcosmo, il paesino di Spoon River. In realtà, Masters si ispirò a personaggi veramente esistiti nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois, dove passò parte della sua vita. Il paesaggio intorno a queste città, il cimitero di Oak Hill , la collina di Lewistown e il fiume Spoon , offrirono le fonti d’ispirazione ma molte delle persone a cui le poesie erano ispirate, che a quel tempo erano ancora vive, si sentirono offese nel veder messe a nudo le loro debolezze ed ipocrisie. Del resto, la caratteristica dei personaggi da lui tratteggiati è che essendo per la maggior parte morti non avevano più niente da perdere e quindi potevano “raccontare” la loro vita in assoluta in assoluta sincerità. L’autore stesso disse che cinquantatre epitaffi erano ispirati da personaggi di Petersburg, e sessantasei da quelli di Lewistown. Edgar Lee Masters morì in miseria e dimenticato, di polmonite, il 5 marzo 1950. Aveva ottant’anni e fu sepolto nel cimitero Oak Hill di Petersburg. Il suo epitaffio include queste frasi: “Penso dormirò, non c’è cosa più dolce.Nessun destino è più dolce di quello di dormire. Sono un sogno di un riposo benedetto..”. La sua grandezza verrà universalmente riconosciuta solo a partire dagli anni ’60, in cui diverrà uno dei poeti statunitensi più celebri a livello mondiale.
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La pubblicazione in Italia dell’Antologia di Spoon River fu piuttosto tribolata. Durante il ventennio fascista la letteratura americana era ovviamente osteggiata dal regime, in particolare se esprimeva idee libertarie come nel caso di Edgar Lee Masters. La prima edizione italiana ( per i tipi dell’Einaudi) porta la data del 9 marzo 1943 e venne curata dall’allora ventiseienne Fernanda Pivano che raccontava: “Ero una ragazzina quando vidi per la prima volta l’Antologia di Spoon River. Me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’è tra la lettura americana e quella inglese”. Fu un colpo di fulmine: “L’aprii proprio alla metà, e trovai una poesia che finiva così “mentre la baciavo con l’anima sulle labra, l’anima d’improvviso mi fuggì”. Chissà perché questi versi mi mozzarono il fiato: è così difficile spiegare le reazioni degli adolescenti”. I versi di Masters e la loro “scarna semplicità” furono, per la Pivano, una rivelazione. Così, quasi per conoscere meglio i personaggi, iniziò a tradurre in italiano le poesie, naturalmente senza dirlo a Pavese: temeva che la prendesse in giro. Ma un giorno Pavese scoprì in un cassetto il manoscritto e convinse Einaudi a pubblicarlo. Incredibilmente riuscì a evitare la censura del ministero della cultura popolare cambiando il titolo in «Antologia di S.River» e spacciandolo per una raccolta di pensieri di un quanto mai improbabile San River. La Pivano, tuttavia, pagò questa sua traduzione con il carcere; a tal proposito dichiarò: “Quel libro in Italia era superproibito. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare […], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto”. Dal 1943, anno della prima pubblicazione, dell’Antologia di Spoon River sono uscite sessantadue edizioni in diverse collane dell’Einaudi, e si sono venduti più di cinquecentomila esemplari: un piccolo record per un libro di poesia. Vale la pena ricordare anche che, nel 1971, Fabrizio De André pubblicò l’album “Non al denaro, non all’amore nè al cielo”, liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River. De André scelse nove delle 244 poesie e le trasformò in altrettante canzoni. Le nove poesie scelte toccavano fondamentalmente due grandi temi: l’invidia (Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore) e la scienza (Un medico, Un chimico, Un ottico). E l’album è universalmente riconosciuto come una delle “perle” più preziose del grande cantautore genovese.
Marco Travaglini
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