Era il 3 febbraio del 1957 quando la televisione mandò in onda la prima puntata di Carosello, portando nelle case degli italiani che avevano quella “scatola magica”, la “réclame”. Lanfranco Bellarini, ragazzone con una trentina d’anni sulle spalle, era al Bar dell’Imbarcadero, quella sera. I lampioni del lungolago di Pallanza, dall’altra parte del lago, parevano lucciole tremanti nel buio freddo di quelle sere. Era il primo esercizio pubblico ad avere la televisione e le trasmissioni erano un evento che richiamava un sacco di avventori. C’era persino chi si portava la sedia da casa, per potersi godere in santa pace lo spettacolo. La prima puntata di Carosello incuriosì tutti ma Lanfranco restò a bocca aperta, imbambolato. Per quasi vent’anni, fino al 31 dicembre del 1976 – quando toccò a Raffaella Carrà, con un certo “aplomb”, fare l’annuncio di commiato – non si perse una sola delle puntate che andavano quotidianamente in onda, dalle 20,50 alle 21,00. Per i ragazzini era quasi un segnale: immediatamente dopo Carosello, “tutti a nanna”. Solo due volte – venerdì santo a parte – l’appuntamento giornaliero con la pubblicità fu sospeso: quando a Dallas, il 22 novembre del 1963, fu assassinato il presidente Kennedy ed il 12 dicembre del 1969 quando una bomba provocò la strage di Piazza Fontana a Milano. La sera dell’annuncio della chiusura di Carosello, Lanfranco era a casa di suo fratello Vittorio, per passare in famiglia l’ultimo dell’anno. Le parole della Carrà, nonostante fossero state pronunciate con grazia, gli fecero l’effetto di una fucilata in pieno volto. Il Carosello non c’era più? Roba da matti. E perché mai? Non riusciva a farsene una ragione. Non voleva credere alle sue orecchie. Il Carosello era l’unico momento della giornata in cui tirava il fiato. Meccanico nell’officina del Giusto, non aveva quasi mai orari e feste comandate. E prima di andare a letto, quei dieci minuti, erano come un sorso d’acqua per l’assetato nel deserto. Delle ragioni vere non gli importava nulla. Il mercato della pubblicità si stava trasformando? Diventava più moderno e dinamico? I produttori stavano diventando insofferenti verso i limiti di tempo imposti da questo modo di reclamizzare i propri prodotti? A lui importava un fico secco. A lui, Carosello piaceva: e bon! Se fosse stata una “boiata” perché i filmati di Carosello erano stati girati da registi come Sergio Leone, i fratelli Taviani ed Ermanno Olmi ? Perché prestavano la loro faccia attori come Totò, Govi, Gassman, Tognazzi, Manfredi, Fabrizi o il grande Eduardo De Filippo? Eh, perché? Il povero Vittorio non aveva parole e non riusciva a dar pace al fratello che sembrava davvero disperato per un lutto tanto doloroso quanto inatteso. I personaggi gli ballavano nel cervello, tutti insieme, come una sarabanda indemoniata. Calimero, piccolo e nero con l’olandesina della Mira Lanza stava insieme a Cimabue (“fai una cosa né sbagli due”), mentre la linea di Cavandoli – senza dire una parola – cercava la titina dentro una pentola a pressione della Lagostina. Unca Dunca, uscito dalla penna di Bruno Bozzetto, sognava la Riello mentre l’Omino coi baffi preparava un caffè con la “moka” Bialetti a Lancillotto ed ai cavalieri della tavola rotonda. Il caffè, ovviamente, proveniva dalla Lavazza e l’avevano portato Carmencita e il suo “caballero misterioso”.Dall’angolo della strada balzava fuori, con i confetti Falqui, Tino Scotti che – muovendo i suoi baffi – diceva “basta la parola!”.Nel tourbillon c’erano tutti: “E che, ci ho scritto Jo Condor?”, “E la pancia non c’è più” grazie all’Olio Sasso, “Gigante buono, pensaci tu”, “Miguel-son-sempre-mi” ed il suo merendero, la famiglia degli Incontentabili alla ricerca di un elettrodomestico che li accontentasse. Vedeva Ubaldo Lay con il suo impermeabile da tenente Sheridan sorseggiare un’aperitivo Biancosarti mentre discuteva con l’ispettore Rock della Brillantina Linetti sul sorriso smagliante di Carlo Dapporto (vorrei vedere: si lavava i denti con la Pasta del Capitano). L’attore Franco Cerri era l’uomo in ammollo che vedeva lo sporco andar via dalla sua camicia a righe e la biondissima svedese Solvi Stubing invaghiva tutti sussurrandoci “sarò la tua birra”. C’era Virna Lisi che “con quella bocca può dire ciò che vuole”, mentre il grande Ernesto Calindri stava seduto al tavolino in mezzo al traffico caotico a bersi un estratto di carciofo (il Cynar) “contro il logorio della vita moderna”. Come poteva stare senza quel motivetto (“Tatataratararatarara..”) che accompagnava l’apertura del sipario del teatrino in una festa di trombe e mandolini ? Lanfranco era disperato. Nel paese si era avviata una disputa tra chi denunciava gli effetti dell’educazione di massa al consumo e chi, invece, metteva in risalto l’arte della pubblicità e la «pubblicità come arte». Lui, solo con il suo malessere, stava sempre più male e si chiuse in se, rifiutandosi di andar a lavorare. Non mangiò più e si lasciò andare fino al punto che le cure del dottor Verdi non servirono a nulla. Erano le quattro del mattino del 26 maggio 1977 quando passò dal sonno alla morte L’estate prima, sul “Corriere della Sera”, nel luglio del 1976, Enzo Biagi anticipò un “coccodrillo” per Carosello. Scrisse : “ Mostrava un mondo che non esiste, un italiano fantastico, straordinario: alcolizzato e sempre alla ricerca di aperitivi o di qualcosa che lo digestimolasse; puzzone, perennemente bisognoso di deodoranti e detersivi, sempre più bianchi; incapace di distinguere fra la lana vergine e quell’altra, carica di esperienze; divoratore di formaggini e scatolette, e chi sa quali dolori se non ci fossero stati certi confetti, che, proprio all’ora di cena, venivano a ricordare come, su questa terra, tutto passa in fretta”. Anche il Lanfranco Bellarini è passato in fretta. E’ passato dall’infanzia alla morte attraverso una lunga adolescenza. Si era rifiutato di crescere, come Peter Pan. Preferiva il mondo di “Carosello” alla realtà. Ciò che vedeva attorno a sé gli metteva paura ed angoscia, Aveva il terrore del male, dell’invidia e del dolore. Allora scelse la via più breve e più facile: evitò di guardarsi attorno e, come un bambino mai cresciuto, si chiuse nel suo mondo con Calimero, Capitan Trinchetto, Tato e Tata, Olivella e Mariarosa, Buc il bucaniere e Gino Bramieri che gli diceva “e mò? Moplen”. Scelse di vivere, libero, nel fantastico mondo del pianeta “Papalla”. Ed è rimasto lì.
Marco Travaglini
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