La maternità nell’arte africana, le opere dalla raccolta Albertino-Alberghina

Nel cuore di Milano, in via Sella 4, tra il Castello Sforzesco e il Duomo, il Museo d’Arte e Scienza è un laboratorio di ricerca e sviluppo culturale che tende ad approfondire sempre più una già sua vocazione multietnica. Lo ha fondato, ventisette anni fa, Gottffied Matthaes, raggruppando varie collezioni di grande valore scientifico, allineando un settore che espone vasi di terracotta e sculture di provenienza greco-romana ed etrusca come ceramiche dalla Cina e dal Sud America a tappeti e arazzi di pregiata fattura, da quella che è una vetrina di arte buddhista apprezzata in tutto il mondo, risultato degli innumerevoli viaggi del fondatore in Oriente, alla sezione dell’arte africana, una delle maggiori mostre permanenti italiane con oltre 500 oggetti di alto valore storico-artistico provenienti da diverse etnie dell’Africa Nera (maschere, sculture, reliquiari, simboli di autorità, feticci e svariati oggetti di uso quotidiano, fatti dei più svariati materiali) ad una specifica mostra didattica dedicata al genio di Leonardo.

In simile cornice s’inaugura mercoledì 27 prossimo, alle ore 18, la mostra Mama Africa, la maternità nell’arte africana – 40 sculture e dodici immagini a cura di Bruno Albertino e Anna Alberghina, torinesi, ricercatori e viaggiatori appassionati del continente africano, medici entrambi. In prima linea lui soprattutto in veste di collezionista, lei a realizzare immagini che testimonino la figura femminile all’interno di quelle etnie nei ritratti, nell’abbigliamento e nelle acconciature, nelle abitudini della quotidianità, il tutto in una suggestiva eleganza formale e in una felice immediatezza, pronti negli anni a dividersi il ruolo di realizzatori delle esposizioni di grande successo, ricordando per tutte “Africa: alle origini della vita e dell’arte” (Carmagnola, 2013), “Vanishing Africa” (dal novembre 2014 al gennaio 2015, a Torino) e “African Style” nelle sale del palazzo Salmatoris di Cherasco (2015 – 2016). Nella stessa occasione verrà presentato il volume omonimo (Neos Edizioni), approfondito studio corredato di preziose schede e di oltre cento immagini a colori che testimoniano la ricerca degli autori ormai quarantennale, i percorsi nei territori subsahariani e occidentali sino alle aree più inaccessibili come quelle centro-equatoriali, i molteplici contatti con le differenti etnie dei paesi visitati, la varietà dei materiali impiegati, legno metallo avorio terracotta e pietra, gli aspetti sociali e religiosi cui sono indirizzate le sculture raccolte durante i viaggi.

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Uno sguardo sull’arte africana quindi, che rimette in campo una visione artistica e religiosa, per troppo tempo sottovalutata e dimenticata, rivalutata in seguito da un gruppo d’artisti come Picasso, Matisse, Braque, Derain e Brancusi, pronti ad attingere “alla grande lezione formale offerta da quegli idoli, maschere e feticci, per tradurla in una nuova e vitale stagione estetica”. Un percorso quello della valorizzazione, che ha trovato un favore incondizionato e supportato dai sentimenti della passione e della consapevolezza da parte dei viaggiatori, dei collezionisti, degli etnografi pronti a guardare con un occhio diverso l’Art nègre, sino a svelarne l’eredità culturale arrivata sino a noi. “I nostri studi, i viaggi che compiamo, gli scambi che da sempre sviluppiamo con altri appassionati e studiosi ci dicono la necessità di testimoniare di un’Africa che lentamente si dilegua, travolta dal vortice della globalizzazione, dall’economia di mercato, dalle religioni importate e dal neocolonialismo economico”, sottolinea Albertino. E ancora, circa l’importanza del significato intrinseco di un oggetto d’arte africana, approfondisce: “Gli artisti del primo Novecento si limitarono ad una analisi plastica delle sculture, traendone grande ispirazione. Tuttavia, è necessario ricordare che, nell’oggetto africano, la funzione è essenziale, è la ragione prima del suo esistere. Si tratta di oggetti, maschere e feticci, figure di maternità e di antenati, carichi di potenza soprannaturale, strumenti di culto, simulacri del divino in grado di proteggere chi li possiede da influssi maligni, in grado di assicurare l’ordine sociale e la giustizia. Addentrandoci con gli anni nella ricerca, abbiamo sempre cercato di approfondire la storia dell’oggetto, sia per quanto riguarda il suo significato rituale che il suo percorso. In Africa non esiste l’arte per l’arte, la pura componente estetica, vi è una stretta, forte connessione tra forma, funzione pragmatica degli oggetti, uso rituale, politico e sociale, è ben viva quella componente magico-religiosa dentro la quale l’artista è il semplice esecutore votato all’anonimato e non certo il creatore da ricordare e celebrare”.

All’interno della mostra, in apertura, il professor Alberto d’Atanasio, docente di storia dell’Arte estetica dei linguaggi visivi, terrà una relazione su “Il mistero della Grande Madre”, mentre il 16 ottobre Albertino e Alberghina terranno una conferenza dal titolo “Scarificazioni e decorazioni corporee nella vita e nell’arte dell’Africa subsahariana”. La mostra proseguirà sino al 19 ottobre.

 

Elio Rabbione

 

 Nelle immagini:

Bamboline Akuaba Ashanti, Ghana

Maternità Muchimba, Angola, fotografia di Anna Alberghina

Maschera Pounou Tsangui, Gabon

La copertina del libro “Mama Africa, la maternità nell’arte africana”, Neos Edizioni

 

 

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