I “partiti plurali” sono al capolinea?

di Giorgio Merlo

La stagione dei “partiti plurali” e’ gia’ arrivata al capolinea? In effetti pare proprio di si’. E questo per una semplice ragione: i partiti “personali”, tanto per per citare Ilvo Diamanti, sono di fatto incompatibili con la pluralita’ culturale interna che dovrebbe caratterizzare, almeno formalmente, quei soggetti politici. Nei partiti del “capo”, del resto, il dissenso non e’ previsto. E nelle poche volte in cui si manifesta viene giustamente bollato dai dirigenti come un atteggiamento negativo e anche nocivo per il buon funzionamento di quel partito. Dopodiche’ ci sono modalita’ diverse su come regolamentare e disciplinare il dissenso interno. Chi procede direttamente attraverso le espulsioni, chi con l’invito ad andarsene, chi con la non tollerabilita’ dei suddetti e chi con la delegittimazione crescente del dissenziente. Ma un filo rosso accomuna tutti questi atteggiamenti: l’insopportazione verso chi dissente. E questo, di norma anche se non sempre, e’ anche e soprattutto il frutto della pluralita’ culturale ed ideale che caratterizza i singoli partiti. Democratici o meno che siano al loro interno. Anche se ci sono politici di estrazione culturale diversa che, con il tempo, si limitano ad applaudire sempre e solo il “capo” partito per ragioni facilmente comprensibili. Certo, il ritorno al sistema proporzionale inesorabilmente si trascina dietro una maggior identita’ di partito. Identita’ non culturale visto e considerato che i partiti italiani sono ormai cartelli elettorali permanenti che prescindono da un “pensiero” organico e da una robusta e visibile cultura politica. Ma il dato di fondo che puo’ far saltare i vecchi equilibri e modificare in profondita’ lo stesso sistema politico italiano e’, appunto, la scomparsa dei “partiti plurali”. E questo non solo perche’ si ridefinisce l’identita’ dei partiti ma soprattutto perche’ questo processo puo’ dar vita a nuovi soggetti fortemente caratterizzati sotto il profilo identitario. C’e’ un unico rimedio a questo epilogo. Ed e’ quello che i partiti recuperino quel pluralismo culturale ed ideale che resta alla base dei “partiti plurali”. E che, soprattutto, ci sia un vero riconoscimento della dialettica democratica interna ai partiti. Un elemento che resta, pero’, decisivo anche per poter ancora garantire la democrazia interna ai partiti. Giorgio Merlo

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