In questi giorni si è riaccesa la diatriba tra il ritorno ai parametri di Maastricht e la proposta di uscita dall’Euro anche perché lo scontro politico si è riacceso dopo le recenti comunali e di conseguenza ha alzato l’attenzione sulle proposte economico-finanziarie dei vari schieramenti, in particolar modo quelli del Pd e della Lega Nord.
Forse già in troppi hanno commentato gli scenari futuri possibili e hanno proposto le previsioni più azzardate tra filoeuropeisti e antieuropeisti anche nella logica di quanto sta avvenendo nel Regno Unito con il fenomeno “Brexit” dai contorni non ancora così nitidi, nonostante il referendum popolare inglese non sia così recente, segno che il fenomeno democratico sia ancora tutto non solo da sancire quanto da applicare.
Orbene le formule matematiche hanno dimostrato in economia tutti i propri limiti e i “tecnici” non hanno brillato né per consenso presso la pubblica opinione né nei risultati in concreto: la famigerata “spending review ” ha distrutto un tessuto sociale ben definito di piccole e medie imprese e lasciato sul campo di battaglia agonizzanti milioni di partite IVA condannate a estinguersi tra mille sofferenze e allo stesso tempo non ha sanato un malato tumorale quale lo Stato che, per sopravvivere, si è nutrito delle cellule sane, i cosiddetti “lavoratori”.
L’ “austerity” intesa quale politica finanziaria ed economica non ha minimamente intaccato le salde impalcature del clientelismo istituzionale nel suo complesso, ma ha logorato unicamente la capacità di tanti piccoli Comuni di effettuare quei modesti ma diffusissimi investimenti a salvaguardia del territorio, ormai allo stato brado ovunque, impedendo quel volano così importante per le numerose imprese di costruzione edile in genere composte da pochi addetti con un peso specifico nella propria totalità non di poco conto.
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L’incapacità di produrre risultati concreti ha fatto sì quindi che i partiti di Governo o in generale quelli europeisti così tanto garantiti da Napolitano prima e da Mattarella oggi abbiano perso negli ormai nove anni di crisi milioni di elettori o che se da un lato hanno optato per i Cinque Stelle o i Leghisti dall’altro si sono disinteressati al recente voto destando non poco sgomento tra i famosi e autorevoli sostenitori del modello democratico in termini di partecipazione e rappresentanza. Che dire sui pettegolezzi autorevoli su famigerati accordi tra Renzi e la Unione Europea nel negoziare flessibilità di bilancio in deroga ai parametri di Maastricht in cambio della “disponibilità” italiana a ospitare i “rifugiati” provenienti da mezza Africa che i nostri cari padri latini non avrebbero esitato a chiamare barbari?
Dall’altra sponda la demagogia impazza rimpiangendo la cara e vecchia Lira o meglio le funeste “svalutazioni competitive” che per chi non lo ricordasse negli anni 80’ hanno portato al fallimento o al commissariamento di tante Signore Aziende italiane così strutturalmente sbilanciate in dollari nell’imprescindibile approvvigionamento delle materie prime dall’estero. Che peso specifico avrebbe la Nostra Lira nello scenario europeo e mondiale? Da quale risorse sarebbe tutelata? Riserve auree o petrolifere?
La nostra ricchezza è il Lavoro, parola troppo strumentalizzata nelle sigle, negli slogan, nelle Leggi e sempre più distante dal suo etimo più naturale. Perché i massmedia e soprattutto i politici e i cronisti economici non affrontano mai il tema degli investimenti, o meglio del crollo del 30% che essi hanno subito dal 2008 a oggi? Se nessuno, sottolineo italiano o straniero che sia, crede più in questa Nazione un motivo ci sarà!
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Se la preservazione della classe politica e della struttura istituzionale italiana nel suo insieme non deriva più dalla competenza, dalla professionalità e dalla trasparenza per non scomodare il tanto citato “consenso”, ma dal varo continuo di norme burocratiche indecifrabili, lontane da elementi concreti, ma sempre più tendenti al sofismo di coloro che le interpretano chiaramente a loro uso e consumo, la propensione degli operatori di mercato inevitabilmente sparisce, disincentivata dalla concreta quanto mai oggettiva impossibilità a ipotizzare qualunque forma di ritorno sull’investimento che, ripeto, non è tutelato nei fatti in alcun modo.
A pochi giorni dalla scomparsa di Paolo Villaggio e del suo genio satirico teatrale nel celebrare un’Italia abitata fondamentalmente da antieroi, così impegnati reciprocamente ognuno per i mezzi e le capacità che possiede, proporzionalmente nel vivere alle spalle del prossimo, mossi da un egoismo miope e parassitario incurante delle sorti dell’azienda o meglio del Paese, che senso ha parlare di politiche economiche se non si rimette al centro il vero problema: la mentalità e il ruolo di questo leviatano chiamato Stato. Allora invito tutti a parlare meno di Euro e di Lira, di formule alchemiche finanziarie e a riportare maggior attenzione sul principale problema che abbiamo oggi: il sistema Paese.
E’ inutile, quindi, strapparsi le vesti dietro a ideologie finanziarie: fino a quando non si interverrà con un’intelligente mannaia per recidere tutte quelle sacche di privilegio e di parassitismo vero o improprio derivante anche da accordi taciti da referenti istituzionali o di chi se lo è arrogato attraverso forme improprie di usucapione, nessun operatore di mercato con un briciolo di intelligenza, nemmeno il più temerario, accetterà di sacrificare quel tanto o quel poco che ha per finanziare la propria naturale propensione alla scalata sociale, impedendo pertanto a l’unica e vera “mano invisibile”, manovrata non da Governi o forze occulte ma da milioni di Cittadini uniti nei loro sforzi da quello slancio vitale che connota il genere umano verso la Libertà e il Benessere.
Carlo Carpi
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