Proporre una mostra delle opere di Giorgio Piacenza nel Museo Civico di Moncalvo significa soddisfare due esigenze: da un lato ricordare l’impegno etico sociale di un industriale tessile che ha dato lavoro alla città, dall’altro ampliarne la conoscenza del ruolo di artista non arrivata ad un vasto pubblico se non ad una nicchia riservata a critici ed intenditori.
Schivo, restio all’autopromozione non volle mai gettarsi nella mischia, non cercò la visibilità aderendo malvolentieri ad esposizioni ufficiali; gli amici e gli estimatori dovevano insistere per convincerlo ad esporre le sue opere che egli definiva modestamente un hobby mentre erano per lui ragione di vita. Scelse di lavorare nella solitudine della sua villa di Superga (da qui lo pseudonimo Dassu con cui celava il proprio nome) dove seguiva ogni nuovo movimento artistico traendone ispirazione e sperimentando proprie soluzioni. Mecenate, accanito collezionista, si trasformò egli stesso in artista tra la fine degli anni cinquanta e il 1969, anno della sua morte, facendo esplodere il talento che già si intravedeva nella creazione di tessuti e confezioni a sua firma che evocavano assimilazioni delle avanguardie.
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Erano gli anni in cui Torino viveva la grande stagione di rinnovamento che, partendo dal prisma dei molteplici movimenti della prima metà del XX° secolo quali futurismo, cubismo, astrattismo, espressionismo, surrealismo, dada, cercava nuove vie oltre la figurazione. L’amicizia con Tapiè promotore e teorico della corrente informale, “ l’art autre”, in cui confluirono action painting, spazialismo, pittura segnica o materica, espressionismo astratto, cobra e tutti quei movimenti che cancellavano la forma visibile, provocò in Piacenza una radicale svolta. D’ora in poi anch’egli dipinge non ciò che vede al di fuori ma ciò che sente dentro; non è più, come precedentemente, influenzato dal fauvismo di Matisse che gli suggeriva le pur semplificate nature morte e neppure dalle scomposizioni cezanniane e picassiane che, nonostante fossero innovative, mantenevano la forma. Aspirò ad una libertà assoluta anche nell’uso del colore con l’abbandono della pittura ad olio a favore di quella vinilica e si staccò completamente dalla scuola del suo primo maestro Giulio da Milano ancora legato ad esperienze casoratiane. Il suo sguardo è rivolto all’assoluta cancellazione iconica e i suoi riferimenti diventano, tra i molti, Capogrossi, Fontana, Jorn, Wols, Garelli, Gallizio, Tàpies.
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Mai però si può parlare di asservimento ai pionieri dell’informale, piuttosto avviene un percorso parallelo per affinità elettiva che mantiene una propria autonomia stilistica. I grumi materici che l’accostano agli “ostaggi ” di Fautrier, pur avendo una tecnica simile, esprimono una spirito diverso che non ha niente a che vedere con il senso di agonia e impotenza di una livida e putrefatta materia che elude la speranza, anzi, è proprio la materia caotica che sembra riconciliarlo alla vita facendogli ritrovare una vitalità che la malattia gli aveva tolto. Maneggiare i materiali poveri, legno, pietra, metallo, sabbia, era per Piacenza ritornare alla purezza spirituale ed istintiva dell’uomo faber che si affidava fiducioso alla potenzialità interna della materia che già possiede in nuce dimensione artistica e capacità di evocare l’opera suggerendo infinite occasioni di riuscita stilistica. Soprattutto sono i suoi décollages, gli strappi di colori vinilici essiccati su lastra di polietilene, assolutamente originali, a consegnarlo giustamente alla grande arte dell’avanguardia novecentesca come questa mostra vuole evidenziare. A questo vuole contribuire il Museo Civico di Moncalvo con un esauriente e riuscito allestimento in cui riaffiora la personalità umana, imprenditoriale e artistica di Giorgio Piacenza Dassu.
Giuliana Romano Bussola
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Giorgio Piacenza Dassu industriale della moda e pittore ( Torino 1910-1969)
Dal 10 giugno al 30 luglio Museo Civico di Moncalvo Via Caccia 5.
ORARI: Sabato e domenica dalle 10 alle 18
Feriali su rfichiesta cell 3277841338 0141 917427
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