Qualcuno avrà abitato quel numero civico 14 oggi incorniciato dentro un muro scrostato. Qualcuno avrà attraversato quei viottoli lunghi e stretti, colpiti dalla luce dei lampioni, quegli acciottolati dove oggi non ci sono più orme. Qualcuno si sarà addormentato in quel letto o seduto su quella sedia che oggi, in un armonico intersecarsi delle loro bacchette di ferro, sono semplici e spoglie geometrie. Qualcuno un tempo si sarà aggirato felice tra quei terreni, oggi spaccati dall’aridità, dove occhieggiano qua e là fasci di girasoli secchi, di fiori bruciati e pendenti, senza vita. Qualcuno avrà guardato quegli alberi poderosi, nodosi, intrecciati di tante vite, diverse tra loro, o quegli altri dai rami secchi e filiformi o quelli che oggi sfuggono in un gioco di nebbie che tutto nasconde e tutto lascia trasparire. Qualcuno avrà per un attimo riposato su quella panchina, ormai rovinata dal tempo, immersa in un paesaggio ovattato, antico, ormai a tratti impercettibile.
È il mondo della bellezza e della memoria quello di Antonio Sarcina e delle sue fotografie, ospitate – il risultato di tre anni di lavoro – con il titolo Sguardo essenziale sino a sabato 20 prossimo nello spazio della galleria “martinArte” di corso Siracusa 24, a cura di Fernando Montà e Cosimo Savina, maestro quest’ultimo un tempo della sua tecnica e di quel gusto per la composizione che oggi ce lo fa ammirare. Sarcina, nato a Napoli 48 anni fa, vive da decenni a Torino e lavora come ingegnere di una multinazionale di consulenza, creando tra lavoro e passione una continua osmosi di ordine e di originalità, di rigore estremamente dimostrato e di un lirismo che denuncia tutta intera la sua sensibilità. In questa c’è tutta la padronanza nel saper cogliere il profumo del tempo passato, il gusto per i particolari, la ricerca degli oggetti, la loro denunciata normalità, la loro umanità e la loro essenza, in un panorama di non-luogo e di non-tempo (soltanto certi squarci di Matera sembrano tradire questa volontà), quasi si trattasse di una operazione archeologica, di scavo, di ritorno appassionato alle radici. Sarcina lavora di tagli di luce straordinari, di colori appiattiti, il bruno e il seppia, vira al blu totale quando meno te l’aspetti, consegnandoti il prima e il poi di certi fiori preziosi, anche i ritratti di una donna e di una ragazza, la moglie e la figlia, paiono arrivare da un’epoca a noi lontana. Con gli anni ha affinato la tecnica, anche il profano o chi non è abituato a frequentare camere oscure s’appassiona al suo lavoro, vi scorge la ricerca, il tempo speso per la resa migliore, l’effetto studiato, il risultato davvero eccellente.
Tecnicamente, lui vi spiegherebbe il percorso verso un viraggio cromatico o i processi della stampa “Lith” o alcune antiche tecniche di stampa a contatto, come la cianotica o la stampa al platino/palladio, come l’uso di certi supporti artigianali costituiti da carte di fibre naturali, diverse per grammatura, superficie, colore e trama: noi, come bambini portati per mano, con una buona dose di entusiasmo, abbiamo netta la sensazione della bellezza e dell’armonia che trovano spazio in queste opere e ci appassioniamo ad un albero immerso nella nebbia o a quel letto, alle sue geometrie che s’incrociano con quelle di una sedia, la ruggine del loro ferro, il muro intonacato e antico che gli fa da sfondo.
Elio Rabbione
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