di Pier Franco Quaglieni *
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….Settimo Torinese non ce l’ha fatta. Capitale italiana della cultura 2018 sarà Palermo. Non poteva accadere diversamente. Ma è stato importante che Settimo si sia piazzata tra le dieci città finaliste , forse l’unica che non abbia ricordi storico-artistici importanti come Recanati, Trento , Ercolano, Aquileia, ad esempio. Il riconoscimento , per altro, è un premio non alla “città più bella e ricca di storia”, ma alle sue capacità di progetto in campo culturale. In questo senso, non appare così scontata la supremazia di Palermo che ha invece vantato soprattutto il fatto di essere “una delle capitali del Mediterraneo, espressione delle diverse culture che dialogano con il mondo arabo”. Infatti il suo progetto non è affatto entusiasmante, come non può esserlo il suo sindaco, persona , umanamente anche simpatica (che ho conosciuto in convegni siciliani su Giovanni Gentile),ma politicamente piuttosto datata, sia pure- a scanso di equivoci- mille volte meglio di Ciancimino e di quasi tutti gli altri sindaci, esclusa l’unica donna-sindaco, Elda Pucci. Settimo – e non altre città del Piemonte- si è classificata tra le prime dieci. Un motivo di riflessione per tanti sindaci del Piemonte. Settimo, periferia di Torino e città post-industriale, non avrebbe, in passato, mai potuto ambire a questo risultato. Un mio compagno di scuola che lì viveva, una volta mi disse, tra il serio e il faceto, che a Settimo c’è spesso la nebbia perché la città, per pudore ,tende a nascondere la sua bruttezza. Invece è riuscita a primeggiare . C’è da domandarsi il perché. Le sue attività culturali sono diventate via via sempre più vivaci ed attrattive ,anche se ritengo che la perla sia la sua biblioteca che ha avuto un direttore fuori ordinanza come Eugenio Pintore. Anni fa una docente dell’Università del Piemonte Orientale che non aveva mai letto il famoso libro di Julien Benda “Il tradimento dei chierici”-pare incredibile,ma è così- cercava quel libro e me lo chiese in prestito. Nel timore che il libro, con una preziosa annotazione di Bobbio ,non tornasse indietro,mi attivai per segnalarle dove l’avrebbe potuto richiedere. L’unica biblioteca che lo possedeva era quella di Settimo Torinese. Fu una piacevole sorpresa, poi capii cos’era quella straordinaria biblioteca, epicentro e motore della cultura non effimera a Settimo e non solo. Se la città si è piazzata tra i primi dieci, credo lo debba soprattutto alla sua biblioteca.
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…. Il breve discorso del presidente del consiglio comunale di Torino Fabio Versaci, trentenne pentastellato , in occasione della Giornata della Memoria, è stato considerato “imbarazzante”. L’ho risentito in video ed ho provato rispetto nei suoi confronti,non foss’altro perché non si è rivolto agli uffici e non ha letto il solito testo paludato. Ha parlato della sua esperienza di studente che visitò un campo di sterminio. Certo ,Versaci riflette una scuola che non insegna la storia,ma a me,francamente, sembrano più imbarazzanti quei politici che si fanno scrivere tutto e leggono spesso anche malamente. Lo attendo il 10 febbraio al Giorno del ricordo delle foibe. A quello interverrò personalmente e lo ascolterò con interesse. Temo molto che la scuola che ha frequentato non gli abbia mai parlato di foibe e di esodo.
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….Il quartiere San Salvario si è scoperto improvvisamente periferia di Torino, abbandonato alle mani della microcriminalità. Abbiamo sentito dire per anni che San Salvario aveva imboccato la strada giusta con la movida che rende la vita difficile ai residenti. Io conosco degli intellettuali che hanno scelto quel quartiere per risiedervi, in quanto ,ovviamente, multietnico. Una moda cretina che camuffa forse anche l’idea molto più banale di comprarsi casa a costo più basso. I veri intellettuali radical-chic restano infatti nei loro palazzi nel centro cittadino o magari in zona precollinare dove non vogliono i profughi in via Asti,pur invocando l’accoglienza di tutti, senza eccezioni,purché restino distanti da dove risiedono lor signori.La realtà di San Salvario-salvo qualche isolato verso corso Vittorio o dopo corso Marconi- è che il quartiere non è migliorato affatto:alla malavita,alla sporcizia,alla prostituzione e alla droga, ha aggiunto anche la movida. L’insicurezza dei cittadini è palpabile,ma nessuno agisce di conseguenza. Lo scorso anno mi hanno invitato a parlare presso i locali della biblioteca di quartiere della storia di San Salvario: è stata un’esperienza tragicomica confrontare il passato,certo non molto significativo,ma borghesemente decoroso,con un presente ,a dir poco, problematico ,di fronte a quattro gatti di uditori.
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….I ristoranti torinesi sono in decadenza. Certamente è causa della crisi, ma anche del decadimento del gusto. Già tanti anni fa Mario Soldati, il primo scopritore della cultura del cibo tanto prima di Carlin Petrini, mi diceva che per mangiare bene bisognava andare in provincia. Amava la locanda della Posta di Cavour dove da almeno tre generazioni tengono alto il nome del ristorante preferito da Giolitti. A Torino mal si adattava. Se oggi rivivesse,Mario si troverebbe spiazzato. Ho preso in un uno dei pochi ristoranti dove continuo ad andare, malgrado la dieta ferrea che mi sono imposto, una pessima guida edita a scopo pubblicitario da un quotidiano per palati non proprio sopraffini. Mi sono trovato tra proposte sconvolgenti,alla ricerca di ricette bislacche che puntano solo sull’inventiva di cuochi un po’ velleitari e saccenti che sgomitano per far parlare di sé. Gente che cerca la visibilità più che i risultati in cucina dove si deve faticare in silenzio. I veri esperti gastronomi ci sono ed il migliore è indiscutibilmente Luca Ferrua ,l’unico degno di Soldati ed anche del dimenticato Sandro Doglio, il gentiluomo di campagna per antonomasia che sapeva apprezzare gli antichi e semplici sapori di un tempo. Ma la cucina torinese non offre più le delizie di un tempo. Oggi si assiste a Torino all’imbastardimento di tutto, persino di quella cucina toscana che sotto la Mole aveva i suoi templi, ormai chiusi da anni, come il” Firenze”, le” Duchesse”, la “Cittadella” prima versione ,il ” Mon Ami” dove si gustava un “paglia e fieno” che non ho più potuto assaporare. L’altra sera ho mangiato una ribollita che quasi sicuramente proveniva da una scatola. Un orrore. Edoardo Ballone un tempo fu giudice, non sempre imparziale, di buoni locali, ma allora era facile promuovere perché i buoni locali c’erano: i” Due Lampioni”, “la Vecchia Lanterna”,” il “Rendez- Vous” e parecchi altri. Resiste solo il” Vintage 1997″, erede del mitico “Tiffany” dove andavo a cena con Spadolini ( e Giulio Einaudi ci offriva una bottiglia del suo dolcetto) e lo storico “Gatto Nero” che resiste al tempo che logora. Non c’è più un ristorante di pesce che valga la pena, per non dire dei ristoranti cinesi. La vecchia birreria” Mazzini” (dove andavano a cena comunisti e liberali “progressisti” e dove c’era una celebre pasta e fagioli) ha chiuso da tempo i battenti. Certi locali storici dove andavano ex partigiani e intellettuali di sinistra, come l’”Osvaldo” di via Mercanti ,come il ristorante dell’albergo Canelli dove si davano appuntamento gli uomini del CLN piemontese(ricordati in una lapide sicuramente scomparsa) hanno abbassato da tempo le saracinesche. Si dovrebbe parlare anche del modo di accogliere i clienti, del servizio a tavola, dell’arredamento e di tanti altri aspetti che rendono gradevole un ristorante o anche solo una trattoria: oggi la linea di demarcazione non è così netta, forse neppure nei prezzi. I camerieri torinesi non conoscono le lingue ed è raro un menu bilingue. Se si pensa che Torino si vanta di essere una città turistica, nella ristorazione forse è davvero riuscita a diventare “turistica” nel senso deteriore. A Firenze, a Roma, a Bologna, a Palermo ,ad esempio, io riesco ancora a distinguere il turistico da evitare dal tipico da conoscere. A Torino è diventato quasi impossibile. Di poco turistico ,nel senso migliore della parola, i locali torinesi hanno le chiusure la domenica, nel mese di agosto e nel periodo di Natale. Cosa direbbe Soldati oggi ? Posso immaginarlo, ma non lo scrivo. Il nuovo che avanza, non riesco ad apprezzarlo e forse sono io che sbaglio.
*direttore del Centro Pannunzio
Linea di confine, spigolature di vita e storie torinesi
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