E’ mancato a 90 anni l’anglista Claudio Gorlier,una figura di grande spicco a livello internazionale,ma sicuramente uno dei protagonisti della cultura torinese. Era nato nel 1926 a Perosa Argentina ed è stato dei quei piemontesi,come Alfieri,Baretti e Gobetti che sapeva guardare oltre le Alpi con sguardo lungimirante. Fu collaboratore della “Gazzetta del Popolo” a Torino e, successivamente de “La stampa”.Credo ci fossimo conosciuti proprio alla “Gazzetta” nella sua sede di Corso Valdocco, tanti anni fa,quando iniziai a scrivere su quel giornale. Era uno dei fiori all’occhiello del nostro Ateneo non solo perché aveva vinto la prima cattedra di Letteratura americana in Italia.Solo il germanista Claudio Magris,più giovane di lui di dieci anni,professore a Torino e poi a Trieste,ha avuto più vasta notorietà e risonanza di Gorlier. Abbiamo condiviso un’amicizia comune con il sommo francesista Giovanni Macchia ,il grande studioso di Proust, con Franco Simone, il francesista mancato immaturamente nel 1976 e con Lionello Sozzi,morto nel 2014,ambedue maestri non dimenticati dell’Università torinese.
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Carlo Fruttero si ispirò a lui per creare il personaggio dell’anglista Bonetto nel romanzo “La donna della domenica”che diede a Gorlier quella fama presso i “non addetti “che lo studioso forse non avrebbe avuto e che decretò lo strepitoso successo della coppia Fruttero -Lucentini. Aveva frequentato intensamente il mondo culturale piemontese:da Fenoglio a Calvino,da Primo Levi ad Arpino.Questi rapporti d’amicizia meriterebbero un approfondimento. Gorlier un uomo libero e non condizionato da schematismi ideologici. Era stato nel Pci quand’era studente,ma quella militanza la considerò “una breve parentesi sulla scia resistenziale”,come disse a Bruno Quaranta nella bella intervista a lui concessa per il compimento dei 90 anni. Aveva collaborato all’edizione torinese de “L’Unità”,ma insieme a Raimondo Luraghi, l’eroico partigiano e grande storico della Guerra civile americana, aveva abbandonato quel mondo. Avrebbe voluto essere partigiano (l’età glielo avrebbe consentito,ma non partecipò alla Resistenza) e le sue idee collimavano con quelle del partito d’azione. Molti giovani come lui finirono sedotti dal PCI,alcuni diventarono comunisti-come diceva il socialista Lucio Libertini quando confluì nel 1972 nel Pci,provenendo dallo Psiup-,spesso molto convinti ed intolleranti,altri capirono cosa fosse il comunismo tanti anni prima della caduta del Muro del 1989. Tra questi ultimi ci fu Gorlier.
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Quando consegnai il Premio “Pannunzio” a Giampaolo Pansa l’intellighenzia antifascista torinese tentò di isolarmi e in parte ci riuscì per davvero.Il giorno dopo la premiazione ricordai a Settimo Torinese Piero Calamandrei e sentii il gelo attorno a me.Solo la nipote di Calamandrei, Silvia, mi trattò come le altre volte e, qualche giorno dopo il “misfatto”,Gorlier venne a parlare al Centro “Pannunzio,”dicendomi che ,malgrado le pressioni ricevute,era venuto lo stesso.Mai-mi disse- avrebbe accettato di far sua la faziosità di certi ambienti a cui pure apparteneva. Su “La stampa” abbiamo avuto una vivace discussione, lui si pronunciò per la cucina multietnica, io per il recupero di quella tipicamente piemontese. Fu uno scambio di opinioni che il redattore capo Paolo Baroni pubblicò con interesse,lui che a Torino viveva da pochissimi mesi. Una delle ultime,belle pagine da lui scritte è stata la postfazione al libro di poesie di gozzaniane della comune amica Marina Rota,”Amalia, se voi foste uomo”,uscito lo scorso anno nel centenario della morte del poeta torinese. Era un grande anglista,ma anche uno studioso capace di misurarsi sul terreno della letteratura italiana(la scuola di Ferdinando Neri aveva lasciato in lui una traccia,come in Mario Soldati e tanti altri) e sui temi civili. Con lui Torino perde una delle sue menti più aperte e geniali. Gorlier è stato uno degli ultimi grandi maestri che l’Università di Torino abbia avuto. Il vuoto che lascia difficilmente sarà colmato.
Pier Franco Quaglieni
Direttore del Centro “Pannunzio“
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