La vicenda del figlio maggiorenne che non ha raggiunto l’autosufficienza economica a causa della propria “inerzia” e’ ormai su tutti i giornali e tv.
Il ragazzo, a questo punto – dopo la sentenza – ufficialmente sfaticato, non ha diritto a ricevere dal padre divorziato l’assegno di mantenimento che gli permetta di condurre un tenore di vita simile a quello che conduceva la sua famiglia prima della separazione. Il tribunale di Torino ha infatti revocato il contributo di 1.500 euro al mese che il ventiquattrenne chiedeva al genitore, ex amministratore delegato di una importante azienda poi fallita, che al momento della rottura dei legami familiari guadagnava oltre 167 mila euro all’anno. Il giovane aveva promesso che voleva riprendere gli studi sospesi tre anni fa in quarta liceo e aveva detto che disponeva si un’abilitazione di personal trainer di primo livello ma era praticamente disoccupato. Una lezione forse il ragazzo, un po’ pigro, la meritava davvero. A volte i presunti “deboli” o bisognosi , come in questa storia che ha tra gli interpreti un padre ricco e un “povero” giovane, sono tali solo all’apparenza: non si tratta di persone private dei loro diritti. E la giustizia non deve lasciarsi intenerire.
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