Massimo Taparelli marchese d’Azeglio,figlio di Cesare, noto esponente della restaurazione sabauda, e di Cristina Morozzo, nacque a Torino il 24 ottobre 1798. Ritornato nella città dei Savoia dopo l’esilio fiorentino, imposto dalle circostanze determinatesi a causa dell’occupazione napoleonica,si iscrisse a filosofia, ma preferì intraprendere la carriera artistica di scrittore e pittore, frequentando i salotti intellettuali di Roma, Firenze e Milano (dove conobbe la sua prima moglie, Giulia, figlia di Alessandro Manzoni). L’interesse per la politica, alla quale si approcciò con un “taglio” da liberale moderato, lo vide protagonista a Torino come primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852 nel difficile e complicato periodo successivo alla Prima guerra d’Indipendenza. Rassegnato il proprio mandato nelle mani del Re, propose Cavour come proprio successore e Vittorio Emanuele II lo nominò senatore. Il suo pensiero era tenuto in gran conto e nel luglio del 1859, dopo la cacciata delle truppe pontificie, ebbe l’incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna. Sei mesi dopo, a fine gennaio, venne nominato governatore della Provincia di Milano, carica che mantenne fino al 17 marzo 1861. D’Azeglio morì a Torino il 15 gennaio 1866, lasciando anche delle opere importanti come scrittore, tra le quali l’ “Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta”, pubblicata nel 1833, una sorta di emblema della virtù cavalieresca di un eroe dell’identità nazionale ante litteram.
Ma la storia ci racconta anche del suo innamoramento per la bellezza del lago Maggiore, tant’è che – nell’estate del 1856 – iniziò a farsi costruire una villa a Cannero, sulla parte alta della sponda piemontese del Verbano, dove poter trascorrere periodi di tranquillità lontano dalla vita cittadina. L’edificio su due piani, semplice e lineare nello stile architettonico, sorge tutt’ora direttamente sulla riva del lago ed è nascosto alla vista dalla folta vegetazione del giardino circostante. Il marchese D’Azeglio lo definì una “Cartagine sorgente”, un luogo, come scrisse al nipote Emanuele, “dove al caso possa da un giorno all’altro trovar ricetto, se un motivo qualunque m’obbligasse a dar un calcio alle grandezze umane”. Dal carteggio conservato nel Fondo Rossi dell’Archivio di Stato di Verbania risulta che contribuirono alla progettazione della villa l’architetto Defendente Vannini e l’ingegnere Antonio Rossi; mentre l’ingegnere Vittore Caramora si occupò essenzialmente della direzione dei lavori. La casa, “non una villa sontuosa ma ridente, piacevole, di buon gusto, che tende alla semplicità”, venne edificata tra il 1856 e il 1857, cioè nello stesso periodo in cui si metteva mano al secondo lotto della strada litoranea che portava al Canton Ticino. Una lapide posta sulla parete rocciosa di fronte al cancello d’ingresso ricorda al “passeggero” che il marchese in quella villa “vi dimorò spesso e a lungo, dolce rifugio dai clamori del mondo, dalle fallacie della politica. I famosi “Ricordi” furono meditati e scritti nella pace di questi luoghi”. Un’opera importante, nella quale si può leggere anche la sua celebre frase “S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani” . Pare, tra l’altro, che in quel periodo D’Azeglio si dedicasse a sedute spiritiche, invocando spesso il defunto amico Camillo Benso conte di Cavour. Con quali esiti, però, non è dato a sapere.
Marco Travaglini
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