Dopo l’esperienza alla corte del grande stilista, ha deciso di tornare nella sua città e creare abiti sartoriali per alta moda e prêt-à-porter. Un bell’esempio di imprenditorialità femminile all’insegna del successo
Dalla Maison Valentino di Roma al capoluogo subalpino, dove ha creato il suo Atelier Beaumont: è questo l’iter percorso dalla giovane stilista torinese Paola Benedetta Cerruti che, dopo l’esperienza alla corte del grande stilista, ha deciso di tornare nella sua città e creare abiti sartoriali per alta moda e prêt-à-porter. Un bell’esempio di imprenditorialità femminile all’insegna del successo.
Abbiamo incontrato Paola Benedetta Cerruti nell’elegante palazzo liberty di Via Beaumont a Torino, dove ha ereditato un appartamento e l’ha trasformato nel classico atelier di una volta; diviso in show rom, salotto e laboratorio. Un luogo accogliente in cui far sentire le clienti a loro agio. Qui crea, propone e confeziona abiti su misura, facendo tesoro anche dell’esperienza alla Maison Valentino: «E’ stata un’occasione unica a livello lavorativo e sul piano umano. Ho iniziato dal fiore all’occhiello, imparando moltissimo dalle sarte che sono le mani di Valentino. I loro abiti erano opere d’arte e non si può immaginare quanto lavoro ci fosse dietro. Questo è un mestiere che si impara facendo, ma si ruba anche con gli occhi, soprattutto guardando».
-Per Marilyn Monroe i migliori amici delle donne erano i brillanti; per te l’abito cos’è?
«Non è una frivolezza. Deriva dal verbo abitare e rimanda ad una sensazione positiva, intima, di casa; qualcosa che ci fa stare bene. L’abito è un po’ un nostro prolungamento, dice tantissimo chi siamo e a volte indossare i capi preferiti fa anche virare in meglio l’umore».
-Come nasce un tuo vestito?
«In tanti modi perché tutto è fonte d’ispirazione: una stoffa, una passamaneria o dei bottoni. Spesso mi ispirano i viaggi che aprono visuali più ampie e stimolanti. Ora è in work in progress una collezione ispirata al mondo sottomarino: ho visto fondali stupendi e pesci con accostamenti fantastici, in natura c’è un’armonia incredibile».
-Per Coco Chanel “la moda passa, lo stile resta”. La tua idea di stile?
«La moda deve esprimere classe, eleganza e far sognare qualcosa di bello e femminile. Il mio stile un po’ è classico, ma allo stesso tempo propongo qualcosa di moderno nei dettagli e nella versatilità. Prediligo linee definite, pulite, con le proporzioni giuste; curo e rifinisco il minimo particolare, perché penso che vestirsi bene voglia dire anche volersi bene».
– Hai due linee: partiamo dall’alta moda.
«Creo abiti su misura per spose, eventi speciali o per chi, semplicemente, ama avere un outfit che decidiamo insieme. Sono capi prestigiosi, particolarmente curati, con molti punti e ricami a mano; specie nell’abito da sposa, di cui rifinisco a mano anche il velo».
-E il prêt-à-porter?
«E’ la linea che propongo in taglia, ma che si può modificare in base al fisico e al gusto della cliente:
è il vantaggio dell’atelier. Prediligo materiali animal ed eco friendly che non implichino la sofferenza degli animali; per fortuna oggi ci sono molti tessuti tecnici per abiti meno delicati, da lavare in casa e pratici da mettere in valigia. Ricerco materiali di qualità, ma meno costosi, per rendere le mie creazioni più accessibili».
-Come risolvi il tour de force delle donne che corrono tutto il giorno e devono passare dall’ufficio a un cocktail?
– «Soprattutto con la mia linea prêt-à-porter che ha sempre una grande versatilità. Tessuti tecnici, bottoni automatici ed ecco che uno spolverino -con le scarpe e gli accessori giusti- traghetta facilmente dal lavoro all’aperitivo».
-La stilista francese Madeleine Vionnet disse che “l’abito non deve appendersi al corpo, ma seguire le sue linee”. Immagino sarai d’accordo, ma come ci riesci?
«E’ un gioco di equilibrio, proporzioni, lunghezze e taglio. Il punto di forza dell’atelier è proprio l’abito su misura che viene pennellato addosso, permettendo di mascherare i difetti, valorizzare i punti di forza e di esprimere al meglio anche la personalità della cliente».
-Da dove inizi?
«Si prendono le misure e si fa un cartamodello con le proporzioni esatte, si monta sul manichino e si procede con le prime sdifettature. Poi su una telina di cotone si confeziona l’abito vero e proprio. Lo si prova sulla cliente e lo si costruisce insieme: semplicemente tagliando e puntando spilli posso dimostrare subito cosa sia meglio ed apportare le migliorie necessarie. Una volta sdifettata la telina non imbastisco neppure, taglio e cucio direttamente il vestito».
-Ci racconti la tua ultima collezione Midnight?
«E’ispirata a una bellezza senza tempo e a un’atmosfera magica che unisce sogno e realtà; proprio come la mezzanotte che segna la fine di un giorno e l’inizio di un altro. Must sono i cappotti e gli spolverini, versatili ed ideali per la primavera: in microfibra o tessuti tecnici, dalla linea dritta e slim, oppure con cinture in vita, impreziositi da bordi in pizzo o con bottoni automatici, tasche a vista o a soffietto e martingala. I capi spalla, in colori dalla forte personalità, possono essere dress-coat grintosi oppure sofisticati, adatti per il giorno come per la sera. Poi ho creato abiti da cocktail dalle linee avvolgenti che scivolano sul corpo esaltando la silhouette: con texture cangianti, impreziositi da ricami, broche raffinate o un semplice filo di paillettes. Pull-jacket che s’infilano come maglie: con un ampio scollo e tasche a pattina in tessuto tecnico elasticizzato. Da abbinare ai pantaloni in microfibra, con taschino e baschina; ideali per la donna contemporanea che passa con disinvoltura dall’ufficio all’happy hour. Ed ho rivisitato la redingote facendola in tessuto tecnico: con il collo a lancia che disegna la scollatura e tre bottoni laterali per enfatizzare -con discrezione- la femminilità del punto vita».
-Quanto è difficile essere stilista Torino?
«E’ una città che si presta molto perché le torinesi sono particolarmente riservate ed apprezzano essere accolte in un ambiente come l’Atelier Beaumont. Sono abitudinarie e all’inizio può essere difficile conquistarle, però poi si affezionano e le hai per sempre. E’ il caso delle giovani spose che vesto per le nozze: scoprono i vantaggi dell’abito su misura e tornano per farsi confezionare altri capi».
– Chi sono le tue clienti?
«La mia cliente tipo attraversa un po’ tutte le fasce d’età, ha una personalità spiccata, veste classico ma ricerca anche qualcosa di particolare, quel tocco in più che indossa solo lei. Ama valorizzarsi ed esaltare la sua femminilità, ma con buon gusto e senza esibirla in modo eccessivo. Direi che le mie collezioni corrispondono perfettamente».
Laura Goria
Venerdì 15 aprile 2016 è stato presentato a Torino il nuovo libro dello stimato avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani, “Vi Dichiaro Divorziati” – Come Cambia il Matrimonio in Italia. Alla presentazione, tenutasi alle ore 18.00 presso la libreria Feltrinelli di Piazza C.L.N., oltre all’autore del libro, hanno partecipato e preso la parola anche l’avvocato Edoardo Rossi – presidente AMI Piemonte e Valle D’Aosta – l’avvocata Teresa Besostri – consigliera Ordine degli Avvocati di Torino – la psicoterapeuta Monica Cismondi e infine il nostro quotidiano “Il Torinese” grazie alla partecipazione della nostra redattrice Simona Pili Stella.
In una libreria gremita di persone, si sono affrontati temi attuali e di grande interesse, ponendo la maggiore attenzione sul binomio matrimono-divorzio in Italia e su alcune delle delicate tematiche – quali quella dell’affidamento dei figli minori – riportate nei vari capitoli del libro. L’ultimo lavoro dell’avvocato Gassani (che aveva esordito nel 2012 con il suo primo libro “I perplessi Sposi”) sta già riscuotendo un notevole successo in tutta Italia.
Niente tecnicismi, nessun “dialetto avvocatese”: la vera forza di questo saggio romanzato sta nell’aver raccontato, tramite storie vissute e realmente accadute, lo scenario di un Paese che si sta trasformando da un punto di vista culturale, sociale ma soprattutto legislativo.
Dal riconoscimento del diritto dei figli alla bigenitorialità, dalla legge 162/14 -che introduce il “divorzio fai da te”- fino ad arrivare alla legge 55/2015 che consente il divorzio breve: la genialità di Gassani sta proprio nel rendere comprensibili a tutti quelle che sono le principali norme che governano il diritto di famiglia.
Con il soprano Julia Wischniewski e l’Astrée Gruppo cameristico dell’Academia Montis Regalis, orchestra italiana tra le più apprezzate nel panorama internazionale della musica antica

quella che si raggiunge soltanto attraverso l’arte. Steve McCurrey è soprattutto un fotografo di anime, l’anima del sarto che attraversa un fiume d’acqua in una terra sulla quale si è abbattuta la furia dei monsoni, stringendo fra le mani la sua macchina da cucire Pfaff, il bene più prezioso, la sua unica fonte di sostentamento, l’anima dei bambini soldato cresciuti in fretta, troppo in fretta, che hanno imparato troppo presto a fare la guerra in un’età in cui alla guerra si gioca soltanto, le anime dei viaggiatori di terza classe su un treno indiano, le anime dei pescatori dello Sri Lanka che attendono pazientemente, seduti su pali, le loro prede. Tra le 250 foto esposte nella mostra ospitata alla Citroneria della Reggia di Venaria dal 1 aprile al 25 settembre spicca, però, intenso e sconvolgente, il “Ritratto della ragazza afgana”, diventato ormai un’icona, la foto più
conosciuta dell’artista: lo scatto, realizzato in un campo profughi vicino a Pesshawar, in Pakistan, fu pubblicato, nel 1985, sulla copertina di “National Geographic”, e da allora ha fatto il giro del mondo ed è stata definita la foto del secolo. Soltanto 17 anni più tardi il mondo avrebbe conosciuto il suo nome Sharbat Gula e Steve McCurry sarebbe riuscito ad incontrare e a fotografare di nuovo la ragazza che, a 12 anni, portava negli occhi tutta la malinconia del mondo, quegli incredibili occhi verdi che feriscono le coscienze e che fanno riflettere. Sharbat Gula era diventata una donna segnata dal tempo e dai dolori e rimase indifferente vedendo la foto di tanti anni prima e disse soltanto che quella era stata l’unica volta che era stata fotografata in tutta la sua vita, vita che era proseguita senza che il clamore che il suo ritratto aveva suscitato la potesse raggiungere, toccare, persino rovinare. Sharbat Gula, al di là della sua storia, è destinata a restare per tutti, per sempre, semplicemente la “ragazza afgana”, assurta a simbolo di tutte quelle generazioni di orfani e di profughi che fuggono dai conflitti, dalla fame, dalle carestie, le generazioni di ieri, di oggi e, purtroppo, di domani.


Nell’occasione, i librai animeranno la piazza con le loro bancarelle colorate e offriranno una rosa rossa a chi acquisterà un libro, in omaggio alla tradizione catalana del 23 aprile, festa patronale di Sant Jordi, che vede scambiarsi simbolicamente in dono libri e rose, trasformando i portici in una grande libreria a cielo aperto, una piccola “rambla” sotto la Mole in cui passeggiare, incontrare scrittori, assistere a performance. Anche alla Biblioteca civica Centrale (via della Cittadella 5, ang. corso Palestro), verrà donata una rosa alle signore che effettueranno un prestito di libri. La Sala Conferenze dell’Oratorio vedrà alternarsi, dalle 10 alle 20, incontri con l’autore, premiazioni dei “lettori forti” delle Biblioteche civiche torinesi e dei vincitori dei Concorsi Leggilo perché e Booktrailer e la proiezione del film “Vento. L’Italia in bicicletta lungo il fiume Po”.


E’ un patrimonio inestimabile quello dell’Ermitage, con oltre 2000 dipinti nella collezione di pittura francese (la più vasta al di fuori della Francia). Dal luogo di “svago e delizia” in cui la zarina Caterina II aveva disposto le sue collezioni d’arte, ecco alcuni capolavori della pittura francese, dal 1600 a fine 800, selezionati dai curatori Clelia Arnaldi di Balme, Natalia Demina ed Enrica Pagella.
corso del suo lungo regno (dal 1682 al 1725). Poi fu la volta della zarina Caterina II che – vista con sospetto dalle corti europee (per la sua ascesa al potere con il colpo di Stato del giugno 1762 e la morte improvvisa dello spodestato Pietro III) – cercò riscatto presentandosi al consesso delle altre nazioni come sovrana illuminata e protettrice delle arti. Grazie al suo gusto raffinato ed alla notevole abilità, nel 1772 riuscì ad aggiudicarsi la prestigiosa raccolta d’arte del banchiere parigino Pierre Crozat, e divenne a tutti gli effetti una mecenate di altissimo livello.
A Palazzo Madama sono esposte le opere di circa 50 artisti, scelte tra le più emblematiche e rappresentative dell’evolversi del gusto artistico in Russia, tra passione per l’arte francese e testimonianze di amore anche per l’Italia.Si parte dal classicismo del Seicento con opere della caratura di “Madonna con Bambino” di Simon Vouet, che fu 1° pittore di Luigi XIII ed elaborò una personalissima versione del caravaggismo, in cui a dominare le tele erano luce ed armonia cromatica. Poi, Philippe de Champaigne, al servizio di Maria de Medici che gli affidò la decorazione del palazzo del Lussemburgo, ma fu apprezzato anche dal cardinale de Richelieu per le sue composizioni sacre.
esponente francese della pittura rococò con le sue scene galanti. François Boucher che – con Lemoyne, André Van Loo e Natoire- fu protégé di madame de Pompadour e 1° pittore del re: grazie al suo modo di rappresentare la società parigina che ruotava intorno a Luigi XV, con spunti mitologici, rappresentazioni pastorali ed echi religiosi. Jean-Honoré Fragonard, uno dei maggiori artisti francesi del XVIII secolo, morto povero e dimenticato dopo essere stato pittore attentissimo ai giochi di luce che impreziosivano le sue tele, raffiguranti scene di vita ambientate tra giardini, templi, statue e fontane.
La sezione dedicata all’Ottocento testimonia il trionfo del sentimento romantico, una nuova attenzione al valore dell’anima ed alla forza creatrice della natura, con contenuti morali, orientalisti e realisti. Tra le opere esposte, il magnifico “Arabo che sella il suo cavallo” dipinto da Eugene Delacroix nel 1855, mentre era in missione diplomatica presso il sultano.
(STS3_campidoglio) sulla linea del 13 nel tratto tra Piazza Statuto e Piazza Campanella con a bordo performance musicali e interventi artistici. Sabato pomeriggio si parte alle 17 da Piazza Statuto con le chitarre manouche del duo Musettes e i ritmi worldbeat di Dj Grissino, mentre domenica sul tram ci saranno le istrioniche selezioni del duo al femminile Ladies Collage aka Donna Camillo e Coqo Djette, per concludere domenica sera con l’Afterparty Mastroianni. E ancora, ConiglioViola compie 16 anni e li festeggia su STS3 con il lancio in anteprima di un nuovo remix e video di Ci sarà estratto dall’EP “Nostalgia Coniglia”. A bordo si potrà prendere parte ai progetti di produzione artistica di comunità legati dal fil rouge del “Lasciare traccia”, che narrano un quartiere che si incontra e lascia un segno nel territorio che abita a cura di de:forma + CO.H, Simona Ambrosini e del collettivo artistico deviAzioni. Tanti gli appuntamenti anche in piazza Risorgimento in collaborazione con Torino Living Lab, Ecocamp, FirstLife, l’Alveare che dice si, il Museo diffuso della Resistenza e il MAU Museo d’Arte Urbana. SMARTRAMS