Steve McCurry: gli occhi del mondo

La fotografia assume un’azione salvifica, sottraendo all’oblio individui dimenticati con i loro dolori, le loro gioie, le loro personalissime e uniche esperienze di vita e le emozioni di quel momento nel quale sono stati bloccati dallo scatto

MCCURRYE

Occhi di uomini, donne, bambini, vecchi, occhi sbarrati, sgranati, disperati, stanchi, occhi che hanno visto gli orrori delle guerre, della miseria, di un mondo immenso come l’oceano o piccolo come uno spicchio d’ombra al meriggio, occhi del Pakistan, della Russia, del Kashmir, dello Sri Lanka, di Cuba, degli Stati Uniti, dell’Italia: questo è il mondo di Steve McCurrey, uno dei più grandi fotografi contemporanei che, attraverso istantanee di volti, attraverso i suoi ritratti, racconta mille storie diverse, dando voce a chi, spesso, si trova ai margini della società. La fotografia assume un’azione salvifica, sottraendo all’oblio individui dimenticati con i loro dolori, le loro gioie, le loro personalissime e uniche esperienze di vita e le emozioni di quel momento nel quale sono stati bloccati dallo scatto della macchina fotografica, impressi in un’istantanea che ha regalato loro una forma di immortalità, MC CURRYEquella che si raggiunge soltanto attraverso l’arte. Steve McCurrey è soprattutto un fotografo di anime, l’anima del sarto che attraversa un fiume d’acqua in una terra sulla quale si è abbattuta la furia dei monsoni, stringendo fra le mani la sua macchina da cucire Pfaff, il bene più prezioso, la sua unica fonte di sostentamento, l’anima dei bambini soldato cresciuti in fretta, troppo in fretta, che hanno imparato troppo presto a fare la guerra in un’età in cui alla guerra si gioca soltanto, le anime dei viaggiatori di terza classe su un treno indiano, le anime dei pescatori dello Sri Lanka che attendono pazientemente, seduti su pali, le loro prede. Tra le 250 foto esposte nella mostra ospitata alla Citroneria della Reggia di Venaria dal 1 aprile al 25 settembre spicca, però, intenso e sconvolgente, il “Ritratto della ragazza afgana”, diventato ormai un’icona, la foto piùMCCURRIE3 conosciuta dell’artista: lo scatto, realizzato in un campo profughi vicino a Pesshawar, in Pakistan, fu pubblicato, nel 1985, sulla copertina di “National Geographic”, e da allora ha fatto il giro del mondo ed è stata definita la foto del secolo. Soltanto 17 anni più tardi il mondo avrebbe conosciuto il suo nome Sharbat Gula e Steve McCurry sarebbe riuscito ad incontrare e a fotografare di nuovo la ragazza che, a 12 anni, portava negli occhi tutta la malinconia del mondo, quegli incredibili occhi verdi che feriscono le coscienze e che fanno riflettere. Sharbat Gula era diventata una donna segnata dal tempo e dai dolori e rimase indifferente vedendo la foto di tanti anni prima e disse soltanto che quella era stata l’unica volta che era stata fotografata in tutta la sua vita, vita che era proseguita senza che il clamore che il suo ritratto aveva suscitato la potesse raggiungere, toccare, persino rovinare. Sharbat Gula, al di là della sua storia, è destinata a restare per tutti, per sempre, semplicemente la “ragazza afgana”, assurta a simbolo di tutte quelle generazioni di orfani e di profughi che fuggono dai conflitti, dalla fame, dalle carestie, le generazioni di ieri, di oggi e, purtroppo, di domani.

 

Barbara Castellaro

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