Riforme costituzionali, siamo in dirittura d'arrivo. Ma…

montecitorio 2LA GANGALA VERSIONE DI GIUSI /

di Giusi

La Ganga

 

La maggioranza di centrosinistra ha di fronte due strade. Scegliere di puntare sui contenuti delle riforme, spiegando che sono una condizione necessaria per modernizzare le istituzioni. Oppure l‘alternativa è quella di politicizzare al massimo il referendum, trasformandolo in un plebiscito sul governo Renzi

 

Ormai siamo in dirittura d’arrivo per le riforme costituzionali.  Mercoledì l’ultimo voto al Senato, entro la primavera il voto conclusivo alla Camera.L’esito sembra scontato. La riforma passerà, ma senza la maggioranza necessaria per evitare il referendum confermativo, previsto dalla Costituzione per le modifiche non largamente condivise. 

 

  Una decina di anni fa il centrodestra era arrivato allo stesso punto e si era arenato proprio nel passaggio finale, perdendo il referendum. Non so se a orientare il voto degli italiani allora sia stato un giudizio negativo sulle riforme introdotte, ovvero se abbia prevalso un giudizio politico complessivo sul governo Berlusconi.

 

  Oggi ci apprestiamo ad un nuovo referendum, probabilmente in autunno, che dovrà confermare le innovazioni introdotte nella Carta Costituzionale. La maggioranza di centrosinistra ha di fronte due strade.   Scegliere di puntare sui contenuti delle riforme, spiegando che sono una condizione necessaria per modernizzare le istituzioni.  Nell’interesse di tutti i cittadini, senza distinzioni di orientamento politico. In questo caso l’impostazione della campagna referendaria dovrebbe essere rivolta a sollecitare il voto positivo di tutti i cittadini “di buona volontà”, al di là della contrapposizione maggioranza-opposizione.

 

   L’alternativa invece è quella di politicizzare al massimo il referendum, trasformandolo in un plebiscito sul governo Renzi.  Il nostro Presidente del Consiglio sembra abbia l’intenzione di imboccare questa seconda strada. Da consumato giocatore d’azzardo Renzi sa che gli italiani oggi tendono ad approvare quel che si fa, purché si faccia qualcosa e quindi pensa di puntare alla roulette referendaria sapendo già dove si fermerà la pallina.  Un plebiscito a favore cancellerebbe un vizio d’origine del suo governo, quello di essere nato senza alcun esplicito consenso degli elettori, e che il voto europeo dell’anno scorso aveva solo parzialmente sanato.

 

  Ma questa strategia, fatta di affermazioni nette (“Se perdo me ne vado”), presenta anche qualche rischio.  Non so se sia saggio eccitare gli animi dei tanti oppositori, visibili e invisibili, trasformando il referendum in un’occasione per far nascere una sorta di comitato di liberazione nazionale da Renzi, contrapposto al suo Partito della Nazione.  Occorre ricordare che, nel suo momento migliore il PD ha raccolto meno del 41% e che il residuo 59%, divisissimo su tutto, potrebbe proprio compattarsi in questa occasione. Chi puntava su questa strategia di sfondamento era il generale De Gaulle, a cui andò bene qualche volta, ma alla fine ci rimise le penne.

 

   Aggiungo infine che il plebiscito dovrà fare i conti anche con l’affluenza al voto, da cui si ricaverà il reale valore politico del risultato. Si potrebbe vincere senza vincere davvero, come il re dell’Epiro.

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