“Si tratta di un invito che ricorda l’impronta pastorale e culturale dell’indimenticabile card. Michele Pellegrino e di tutto ciò che il suo magistero ha rappresentato in questi anni per Torino e per tutto il Piemonte”
Alcuni giorni fa l’arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, ha invitato tutti i partiti e i movimenti torinesi a porre al centro dei loro programmi elettorali in vista delle ormai prossime comunali il tema della povertà e delle persone che sono in seria difficoltà. O meglio, ha invitato chi si presenterà per la prossima tornata amministrativa a non dimenticare gli ultimi, le persone che patiscono maggiormente la crisi e tutti coloro che subiscono sulla loro pelle le ripercussioni pesanti della situazione economica e sociale. Che a Torino, purtroppo, come in altre grandi città italiane, sono tantissimi. Sotto questo profilo, si tratta di un invito che ricorda l’impronta pastorale e culturale dell’indimenticabile card. Michele Pellegrino e di tutto ciò che il suo magistero ha rappresentato in questi anni per Torino e per tutto il Piemonte.
Ma il richiamo rivolto laicamente e nel pieno rispetto della distinzione dei ruoli da Mons. Nosiglia, assume un’importanza fondamentale ai fini della stessa qualità dell’offerta politica. Un’offerta politica che, soprattutto per i partiti e i movimenti che fanno del solidarismo e del riformismo la loro cifra politica e programmatica, non può trascurare l’invito e la riflessione avanzata proprio dall’autorevole presule torinese. Del resto – e mi rivolgo in particolare ed innanzitutto al campo del centro sinistra – il programma di un partito o di uno schieramento è la carta di identità con cui ci si presenta di fronte ai cittadini elettori. E il programma, al contempo, non può ridursi ad una grigia ed arida sommatoria di priorità e di impegni che poi rischiano di essere puntualmente smentiti appena si conclude la competizione elettorale. Anche se oggi non ci sono più partiti che fanno dell’ispirazione cristiana o della scelta classista la loro ragion d’essere nella dialettica politica nazionale e locale, è indubbio che il capitolo della povertà, o degli ultimi, o delle persone in difficoltà, non può diventare un settore programmatico relegato alla sola dimensione della politica sociale o dell’assistenza. Messa così, il tutto si ridurrebbe ad una visione puramente caritatevole ed assistenzialistica per chi rischia – e purtroppo il numero è destinato ad aumentare in modo esponenziale – di finire ai margini dello sviluppo e della potenziale crescita economica e produttiva. Certo, non c’è benessere se non c’è crescita e sviluppo.
E l’obiettivo, anche e soprattutto per una città come Torino che in questi anni ha saputo “reinventare” la propria offerta e la propria identità senza perdere nessuna scommessa, resta proprio quello da saper unire in un disegno armonico e percorribile la cultura dello sviluppo e della crescita con la difesa e la promozione di chi rischia di non agganciare – o di non avere alcuna ricaduta positiva – quel carro potenzialmente sicuro e garantito. E l’invito/riflessione di Mons. Nosiglia, al di là delle appartenenze politiche e culturali, non può che essere accolto e condiviso sino in fondo.
Giorgio Merlo
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