LE INCHIESTE DEL “TORINESE”
IL TURISMO
di Luca Briatore – Negli ultimi anni, i numeri del turismo torinese e piemontese sono sempre stati superiori a quelli medi del Paese. Merito delle politiche di rilancio che hanno saputo trasformare il volto della città e della regione, producendo effetti anche sulla percezione del pubblico italiano e internazionale. La Torino “grigia città dell’auto” ormai non esiste più
Quella del turismo a Torino è storia recente. Fino agli anni ’90, la città è stata vista essenzialmente come la capitale dell’auto: una metropoli grigia e poco attraente, completamente al di fuori delle rotte turistiche italiane e internazionali. I torinesi non ci badavano più di tanto: contava il lavoro, l’industria, l’economia. Le vie del centro erano i canali di smaltimento del traffico automobilistico, che mettevano in comunicazione le periferie dell’industria e quelle dei quartieri operai, dove le maestranze degli stabilimenti rientravano alla fine del turno. Le facciate delle case e quelle dei palazzi storici avevano il colore grigio della polvere, ed erano polverosi anche i musei, meta di un pubblico quasi interamente locale. Di sera, poche luci e vetrine spente, e d’estate il deserto. L’intera città si spostava altrove per le ferie. Le piazze del centro assumevano il carattere metafisico dei quadri di De Chirico. Gli alberghi, in tutte le stagioni, chiudevano il sabato e la domenica, quando gli uomini d’affari in trasferta tornavano dalle loro famiglie.
La scarsa attrattività del capoluogo, peraltro, si riverberava su tutta la regione. Solo poche aree erano in grado di attrarre turisti: il lago Maggiore, le montagne del Sestrière, il Gran Paradiso. Le politiche e le strutture per la promozione turistica erano pressoché assenti. L’inversione di tendenza si avvia negli anni ’90, con le amministrazioni Castellani e Ghigo. Ma è a partire dagli anni 2000 che il quadro cambia radicalmente. L’esplosione della popolarità di Torino si ha nel 2006, l’anno delle Olimpiadi. Sullo sfondo, però, già da tempo, c’è la crisi della Fiat. Dopo aver rischiato il fallimento, il colosso automobilistico riesce faticosamente a risollevarsi, ma abbandonando per sempre il ruolo che aveva avuto un tempo, di motore dell’intera economia piemontese. Gli occupati del comparto automotive, che negli anni d’oro, contando anche l’indotto, erano stati molte decine di migliaia, si riducono a qualche migliaio di addetti, spesso obbligati, per periodi più o meno o lunghi, alla cassa integrazione. È questo, nei fatti, il contesto in cui si attua la trasformazione del volto di Torino, da grigia e caotica capitale dell’auto – ricca – a città d’arte di importanza riconosciuta, significativamente impoverita ma splendente, pulita (almeno in centro) e orgogliosa di sé come non accadeva dai tempi del regno sabaudo.
Nulla, ovviamente, avviene per caso. La metamorfosi di Torino e del Piemonte è stata fortemente voluta, tanto dalle amministrazioni comunali e regionali che dagli attori economici superstiti, preoccupati di dare a città e regione delle nuove opportunità, rimediando almeno in parte, con questa e altre iniziative, all’immenso “vuoto Fiat”. Inutile chiedersi se questo vuoto sia stato riempito dal turismo. Storicamente, il peso del turismo sul PIL di un Paese è inversamente proporzionale al suo grado di sviluppo. Il comparto del turismo, in altri termini, produce certamente un movimento di denaro, ma non paragonabile ai flussi di capitale che vengono naturalmente attivati dall’industria. La cultura, allo stesso modo – l’altro grande capitolo su cui Torino e il Piemonte hanno puntato molto – è un investimento di lungo periodo, da cui è inutile aspettarsi grandi ricadute economiche.
Piuttosto che considerare la carta turistica come la panacea di tutti i mali, insomma – oppure, peggio, come la sottile glassa di zucchero che ricopre l’amara pillola della decadenza – è meglio prenderla per quello che è: un’operazione che, nel rendere la città più attraente per i visitatori, contribuisce a migliorare la qualità della vita dei residenti, dando una mano, ovviamente, ad alcuni settori economici. Il tutto in attesa che gli sforzi impiegati in altre iniziative – forse meno attraenti ma si spera più redditizie – tornino a muovere significativamente l’economia. Ma qual è la situazione del Piemonte rispetto al resto d’Italia? Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza del nostro sistema turistico? Cosa si è fatto e cosa si può fare, ancora, per sfruttare pienamente le potenzialità del comparto? Come è cambiata la vita dei torinesi e dei piemontesi, da quando il turismo è divenuto un pezzo importante dell’economia locale?
Per rispondere a queste domande, occorre partire dai dati che riguardano l’Italia. Negli ultimi anni, il nostro Paese si è confermato come il settimo al mondo per entrate valutarie turistiche. I visitatori stranieri spendono in Italia poco più di 45 miliardi di euro l’anno (il dato è del 2014), facendo del turismo una delle principali voci del nostro export (esattamente, il 3,1% degli scambi con l’estero). Solo negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia e in Cina i turisti stranieri spendono di più. Nel complesso, calcolando anche il turismo interno (quello, cioè, degli italiani che vanno in vacanza nel Bel Paese), il volume d’affari del turismo raggiunge in Italia la ragguardevole cifra di 81,3 miliardi di euro. Le persone impiegate nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione sono circa 2,6 milioni.
Meno positivo è il dato che riguarda l’incidenza del turismo sul nostro PIL: il 4,2%, una cifra significativamente elevata rispetto a quella che interessa la maggior parte dei Paesi sviluppati. Se ai ricavi diretti si aggiunge anche l’indotto, si arriva anzi al 10,4% del prodotto interno lordo: segno evidente della crisi dell’industria. In un Paese come il Brasile, che pure è un’economia ancora emergente, a fronte di un ricavo turistico di quasi 75 miliardi (cifra di assoluto rispetto), il turismo incide sul PIL solamente per il 3,4%.
L’altro dato poco confortante riguarda la quota di mercato detenuta dall’Italia nell’ambito del turismo internazionale. È vero, infatti, che negli ultimi anni il numero dei turisti nel nostro Paese è aumentato costantemente. Se paragonato alla crescita della domanda di turismo che si è avuta nello stesso periodo a livello mondiale, però, il ritmo di crescita è stato davvero lento. Tra il 2000 e il 2013, nel mondo, i ricavi turistici sono raddoppiati, ma solo in minima parte si sono riversati qui. Se nel 2000 andava all’Italia il 5,8% dei ricavi mondiali da turismo, nel 2013 questa quota è scesa al 3,7%. A condizionare il calo è stato, in parte, il proliferare di nuove mete vacanziere, pronte ad accogliere i turisti provenienti da Paesi emergenti come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina. Ma ha fatto la sua parte anche la crisi del nostro mercato domestico – il turismo interno – che da diversi anni appare in calo (nel 2013, per esempio, rispetto al 2012, gli arrivi “dal resto d’Italia” sono calati del 2,5%, mentre i pernottamenti sono scesi del 4,1).
In questo contesto, fatto di luci e ombre, Torino e il Piemonte si sono comportati molto bene, registrando numeri sempre superiori a quelli medi del Paese. Da sempre ignorati (o quasi) dai tour operator, hanno attuato delle politiche di rilancio che hanno saputo trasformare il volto della città e della regione, producendo degli effetti significativi anche sulla percezione del pubblico italiano e internazionale. Oggi, agli occhi di molti, Torino è una delle più belle città d’Italia (“la più bella”, ha detto Vittorio Sgarbi di recente al nostro giornale). Il cuneese, l’astigiano e l’alessandrino, intanto, da aree misconosciute – note solamente per l’importanza di alcuni vini e per la presunta “chiusura” degli abitanti – sono salite agli onori delle cronache.
Per rimuovere i pregiudizi del passato, non bastava ripulire le facciate dei palazzi, né riallestire le collezioni museali in una chiave più moderna. Bisognava creare interesse e attenzione. Per ottenere questo risultato, si è deciso di puntare su alcuni grandi eventi, utili a fare accendere i riflettori sulla regione e sul suo capoluogo: un terreno su cui si è concentrata soprattutto Torino, in primis con le Olimpiadi invernali, ma non solo. A partire dal 2006, oltre a ospitare le manifestazioni olimpiche, Torino è stata la sede di una miriade di eventi sportivi, spesso di rilevanza internazionale. Nel frattempo, è stata Capitale mondiale del libro, Capitale del design, sede del Congresso mondiale degli Architetti, Capitale europea della Scienza, Capitale europea dei Giovani, ospitando anche, nel 2011, le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.Lentamente, ma neppure troppo, l’immagine di Torino ha cominciato a cambiare e molti hanno preso a parlarne, a visitarla e spesso a tornarne entusiasti. Non per gli eventi in sé, ma per l’esperienza che hanno vissuto: spazi accoglienti, strade pedonalizzate, arredi urbani coerenti, vetrine luminose, locali e ristoranti di qualità; e un’offerta culturale vastissima.
Si è cercato, in poche parole, di andare incontro alla domanda turistica degli ultimi anni, che non concepisce la vacanza come un semplice periodo di riposo, ma come un’occasione di arricchimento personale, nella quale ciascuno intende soddisfare le sue personali aspettative ed esigenze specifiche, che spaziano dal ristorante tipico alla performance artistica, dalla musica antica a quella elettronica, passando per lo shopping e per le più classiche visite a mostre e musei. È questa la ragione per cui si è fatto il possibile per dare risalto alle più disparate risorse artistiche e culturali della città e del suo territorio, ma anche a quelle enogastonomiche e dell’accoglienza. L’imperativo era: accontentare tutti. Nella consapevolezza che, nell’era di internet, migliaia di viaggiatori sono portati a condividere in rete le impressioni ricevute, e che un solo commento negativo tende a prevalere su dieci recensioni entusiastiche, e va quindi, nei limiti del possibile, evitato. Un percorso analogo, a partire da un contesto diverso, è stato seguito in alcune aree rurali del Piemonte, fino a ottenere, nel 2014, il riconoscimento delle Langhe, del Roero e del Monferrato – oggi le più importanti mete agrituristiche italiane – a Patrimonio Unesco dell’Umanità.
I risultati sono lusinghieri. In Piemonte, nel 2014, i pernottamenti hanno superato i 13 milioni, con una crescita del 3% rispetto all’anno prima e del 30% rispetto al 2005. I turisti sono stati 4,4 milioni (+3,8%), mentre il periodo medio di permanenza in regione è stato di tre giorni. Importante la presenza straniera, che ha rappresentato il 40% dell’utenza, ma è positivo anche il dato del turismo domestico, che è cresciuto del 3,5% nei pernottamenti e del 3% negli arrivi, in forte controtendenza rispetto ai risultati nazionali, che nello stesso periodo hanno registrato significativi cali. Particolarmente brillanti sono state le performance di alcune aree, come il novarese (+ 22% di presenze) e l’astigiano (+ 9,5%). La Provincia di Cuneo registra un +2,4% negli arrivi e un +2,2% nei pernottamenti (che superano la soglia del milione), mentre le colline di Langhe e Roero guadagnano il 3,7% negli arrivi e il 2,1% nei pernottamenti (oltre 640mila). Qualche flessione si registra nel Distretto turistico dei Laghi, nell’Alessandrino e nel Vercellese, dove presenze e pernottamenti calano in percentuali che variano tra il 2 e il 5%.
Torino, intanto, fa la parte del leone, confermandosi al sesto posto tra le città d’arte maggiormente visitate in Italia, alle spalle di Roma, Milano, Venezia, Firenze e Napoli. Nel 2014 in città e nei comuni limitrofi i pernottamenti hanno superato la soglia dei 4 milioni (+3.5%), mentre gli arrivi sono stati oltre 1.6 milioni (+3.3), con una forte crescita degli arrivi dall’estero (+7,2%). Nel 2015 il quadro positivo sarà certamente confermato, complici alcuni eventi come l’ostensione della Sindone, il Bicentenario della nascita di don Bosco e anche i mega concerti di Madonna e degli U2.
Dati importanti, insomma, sia se considerati in sé, sia se posti a confronto con i numeri che riguardano l’intero Paese e la maggior parte delle regioni italiane. Solo i dati della Lombardia lasciano pensare che si possa fare ancora meglio. L’anno scorso – prima, quindi, della grande kermesse dell’Expo – l’aumento delle presenze in Lombardia ha toccato infatti il 20%. I turisti stranieri, inoltre, che sono circa il triplo rispetto a quelli che arrivano in Piemonte, spendono in Lombardia circa il quintuplo, tanto nello shopping (cosa relativamente comprensibile, vista la posizione di Milano nel campo della moda) che nei ristoranti. Sono Milano e la Lombardia, sembra di capire, i più diretti concorrenti di Torino e il Piemonte. Nei prossimi giorni, il Torinese raccoglierà commenti, proposte e suggerimenti utili ad affrontare la sfida. Li condivideremo con i nostri lettori.
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