AVVISTAMENTI / di EffeVi
Tra qualche secolo sorrideranno di noi leggendo, tra le altre, della nostra ossessione sulla parità di genere, che ormai si infila in ogni ambito della vita civile, come una spolverata di prezzemolo in cucina. Non intesa come parità di opportunità, che non sarebbe male, ma come sradicamento della distinzione naturale e biologica tra generi: nel vestire, nello stile di vita, persino nel concepimento e nella esperienza della paternità e maternità
Se oggi guardiamo ad alcuni concetti, nel passato indiscutibili, ne sorridiamo: la terra è quadrata, hic sunt leones, il cielo è composto da sette sfere, l’indole criminale si rivela nei tratti del volto e del cranio, sulla Luna vivono i Seleniti, eccetera. Tra qualche secolo sorrideranno di noi leggendo, tra le altre, della nostra ossessione sulla parità di genere, che ormai si infila in ogni ambito della vita civile, come una spolverata di prezzemolo in cucina. Non intesa come parità di opportunità, che non sarebbe male, ma come sradicamento della distinzione naturale e biologica tra generi: nel vestire, nello stile di vita, persino nel concepimento e nella esperienza della paternità e maternità. Non scomodiamo Houllebecq: guardiamo, nel piccolo, al cortile di casa. Il Consiglio Comunale di Torino, una città che versa in condizioni di fallimento finanziario tecnico, ha perso mesi in accesi dibattiti sull’obbligo di vestire una tenuta minimamente decorosa durante le sedute, anche quando il termometro si impenna. Ma perbacco, non è un problema di decoro, ben altro: qui è in gioco la parità di genere. Nientemeno.
La questione non è nuova: da anni, ogni estate – con la puntualità delle ondate di calore, che non sono portatrici di saggio consiglio – l’aeropago cittadino si divideva tra consiglieri uomini, grondanti sudore sotto completi chiazzati e cravatte madide, e consigliere donne, che sfoggiavano con iattanza sandali – purché firmati – e vezzosi capi estivi, riconducibili più al prendisole che al decoro che si convenga non dico agli augusti legislatori, ma persino ai poveri uscieri del palazzo comunale, costretti nelle loro stazzonate giacche in poliestere blu. Insomma, un focolaio di tensione: in questo caso, infatti, le professioniste del genere – amazzoni che sulla parità di genere hanno costruito infiammati discorsi, regolamenti draconiani, leggi che impongono quote rosa, e vere e proprie carriere – sono state ben contente di fruire della condizione di disparità. Mal ne incolse, infatti, ad alcuni consiglieri, noti tra le altre cose per la loro innata eleganza, quando nel torrido luglio torinese hanno introdotto la tenuta balneare da uomo nelle aule, presentandosi in bermuda e scarpe aperte – nulla, al confronto dei teli da mare agitati dalle signore consigliere.
Il pierino Viale, che proprio non ce la fa a tenersele, si è inserito con l’ennesima mozione volta a alleviare i consiglieri dall’obbligo di cravatta: un piccolo passo nella direzione della parità di genere con le consigliere. Chiaro che il vero punto di incontro sarà raggiunto quando il regolamento comunale consentirà pantaloncini a pinocchietto, sandali e bandana per gli uomini, purché accompagnati dall’immancabile marsupio. Mozione respinta in blocco, con voto decisivo delle professioniste della parità di genere, che evidentemente restano bene aggrappate ai pochi lacerti di femminilità che la cultura contemporanea consente. Quando risulta comodo.
(Foto: www.comune.torino.it)
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE