Scelta per celebrare la riapertura al pubblico dopo tre anni di lavori del Museo Egizio, l’Aida per la regia di William Friedkin è un’opera verdiana senza tempo
Di tutta l’opera dell’Aida verdiana forse l’aria più famosa rimane “Celeste Aida”, la romanza che lega sicuramente la sua celebrità a grandi interpreti come il tenore Enrico Caruso. Di rara bravura sono anche gli interpreti che saliranno sul palco mercoledì 14 ottobre, alle 20, per interpretare l’Aida, cui il teatro Regio di Torino affida quest’anno l’inaugurazione della sua stagione lirica. Il ruolo del capitano Radames è affidato al tenore Marco Berti, quello della schiava etiope al soprano Kristin Lewis, e quello di Amneris, la figlia del faraone invaghita di Radames, al mezzosoprano Anita Rachvelishvili. Sarà un’Aida trionfale da Oscar quella che incanterà il pubblico torinese, da Oscar appunto, perché a firmare la regia è William Friedkin, già premio Oscar per la regia dell’ “Esorcista”, esponente di punta della “New Hollywood” degli anni Settanta e autore di capolavori polizieschi quali “Il braccio violento della legge” (The French connection).
Cresciuto nei quartieri malfamati di Chicago, con il film precedente è stato riconosciuto come un giovane prodigio. Vincitore di cinque Premi Oscar e tre Golden Globe, ha firmato la sua prima regia d’opera nel 1999. Da allora ha realizzato diversi allestimenti che hanno da sempre attirato l’attenzione della critica. “Spesso impiego anche due anni – spiega Friedkin – per mettere a fuoco una regia; non amo le provocazioni inutili che si scontrano con le idee del compositore. Dal mio punto di vista il carattere più interessante in Aida è quello di Amneris, perché in lei convivono emozioni opposte, di amore e odio per il capitano delle guardie, personaggio con il quale faccio fatica a identificarmi, perché veicola un conflitto troppo violento. Appena lo incontriamo sulla scena, il suo desiderio più profondo è quello di condurre il suo popolo in battaglia, ma nel giro di pochi minuti è pronto a lasciar perdere e a tradire la sua gente per amore di una schiava, Aida, figlia del re degli Etiopi”.
In questa produzione Kristin Lewis, originaria dell’Arkansas, sarà Aida. Dotata di un timbro sensuale, corposo e limpido, ha interpretato per la prima volta questo ruolo nel 2006, presso l’Opera del Cairo e ha fatto di questo personaggio verdiano un punto di riferimento. Anita Kachvelishvili sarà Amneris. L’immensa quantità di suono e di armonici che possiede questa mezzosoprano dà nuova luce al difficile ruolo creato da Verdi, di gran peso vocale e drammaturgico. Il tenore Marco Berti, che il pubblico del Regio ha avuto modo di ascoltare in ruoli a lui congeniali, quali don Jose’ , Pollione, Cavaradossi, possiede un timbro luminoso e duttile, perfetto per il ruolo del condottiero, che risulta una parta impervia e complessa, per la quale Verdi scrisse passi di grande finezza espressiva. Il basso baritono Mark S. Doss interpreterà il ruolo di Amonasro, dimostrandosi capace di scolpire ogni sillaba del dettato verdiano con potenza e musicalità. Coerentemente con il lavoro realizzato per il primo allestimento, il regista ha scelto di mantenere in scena le ambientazioni originali dell’antico Egitto. A Torino, dove ha sede il Museo Egizio, il secondo al mondo per le antichità egizie dopo quello del Cairo, con questo allestimento di Aida si è voluto rendere omaggio alla riapertura del Museo dopo tre anni di lavori.
“Ciò che più mi affascina di questa imponente partitura verdiana – spiega il regista – è la visione di Verdi, capace di spaziare da uno spettacolo maestoso, corale e di grande respiro, a piccoli momenti di profonda intimità. Da un lato è presente la grandiosità dei panorami e delle marce trionfali, dall’altra l’intreccio affettivo tra i due amanti, Radames e Aida, che saranno legati per l’eternità, cui si contrappone la solitudine di Amneris, che solo alla fine comprende che Radames prova un amore fortissimo e divorante per Aida, e che ciò è scritto nel destino. La musica di Verdi è dono di Dio, capace ancora oggi di stimolarci e ispirarci, emozionandoci. Le sue opere, oltre a essere bellissime, sono meravigliose da vedere. Basti pensare al finale dell’Atto II, la scena più spettacolare che mai sia stata scritta per l’opera”.
Mara Martellotta
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