LA STORIA La guerra non aveva neppure svoltato l’angolo ed era forte il bisogno di stare insieme e far festa, pur mantenendo una forte impronta politica. L’idea era partita direttamente da Giancarlo Pajetta e dagli esuli che, l’anno prima, avevano partecipato nella Parigi liberata alla festa de “L’Humanitè”, l’organo del Partito Comunista Francese. Milano era semidistrutta dalle bombe e si decise di trasferire l’iniziativa in una zona periferica
La festa annuale del Pd si tiene a Torino dal 27 agosto al 13 settembre in Piazza d’Armi e torna a chiamarsi Festa dell’Unità. Il segretario provinciale Fabrizio Morri ha detto: “ci saranno meno dibattiti e più festa”. In programma film su Cuba, un torneo di calciobalilla e ci saranno anche un’enoteca di buon livello e un’ area bimbi. Tra gli ospiti: Delrio, Orfini, Guerini, Serracchiani. Ripercorriamo i 70 anni di vita della storica kermesse popolare nell’articolo che segue, scritto per il “Torinese” da Marco Travaglini.
“E fu subito Festa”, 70 anni di feste de l’Unità
di Marco Travaglini
Cadeva di domenica il 2 settembre 1945 quando, nelle brughiere ad ovest dell’abitato brianzolo di Mariano Comense, venne organizzata la prima festa de L’Unità. La guerra non aveva neppure svoltato l’angolo ed era forte il bisogno di stare insieme e far festa, pur mantenendo una forte impronta politica. L’idea era partita direttamente da Giancarlo Pajetta e dagli esuli che ,l’anno prima, avevano partecipato nella Parigi liberata alla festa de “L’Humanitè”, l’organo del Partito Comunista Francese. Milano era semidistrutta dalle bombe e si decise di trasferire l’iniziativa in una zona periferica. Così la scelta cadde su Mariano Comense dove, dal 1944, si erano insediate alcune industrie sfollate dal capoluogo lombardo e fra queste la Breda, dove tra gli operai si contavano molti militanti del Pci. Lì, nei boschi tra la zona delle fornaci e Lentate sul Seveso, al “Casin del Porta”, si svolse la “Grande scampagnata de l’Unità”. Per «testimoniare la ripresa di una nuova e gioconda vita di popolo», come si poteva leggere sul programma, si diedero appuntamento migliaia di lavoratori accompagnati dai famigliari.
A Mariano giunsero con ogni mezzo di trasporto: dalla bicicletta ai treni delle Ferrovie Nord., dalle motociclette ai camion. “Un autocarro portava sette botti di vino, da distribuire alla spina, con i bicchieri di vetro. E c’era anche qualcuno che provò a bere dalla bottiglia, a garganella”, ricordano i più anziani, quelli che “c’erano” quel giorno. “ E i salamini , le costine di maiale, una vagonata di michette e grandi pentoloni di pastasciutta al sugo di pomodoro. Che fame avevamo, e che voglia di far festa”. I muri del paese erano tappezzati da manifesti che salutavano i partecipanti alla festa, firmati dal sindaco, il dottor Giovanni Del Curto, un galantuomo democristiano che venne eletto deputato alla Costituente. Oltre a mangiare, bere e ballare, il programma prevedeva un raduno ciclistico, corse podistiche, uno spettacolo teatrale per i bambini, incontri di pugilato, tiro a segno, alberi della cuccagna, corse nei sacchi, lotterie e una tombolata, con modesti premi, considerato che la guerra era terminata da poco. Poi c’era anche la parte politica, con gli interventi di Amendola, Sereni, “Cino” Moscatelli, Giancarlo Pajetta e Luigi Longo. Dalla tribuna prese la parola, salutando la folla, anche un cappellano delle formazioni partigiane.
Prendeva corpo la storia delle feste de L’Unità, un vero e proprio fenomeno di costume nell’Italia del dopoguerra, concepite come momenti di incontro sia festosi che culturali,dove si consolidava la coscienza popolare. Nulla era lasciato all’improvvisazione e l’appuntamento con la festa veniva preparato nei minimi particolari, con organizzazione, disciplina e la consapevolezza dell’importanza dell’avvenimento. Feste politiche, vetrina di una identità che andava affermata e resa “visibile”, quella del PCI, di quel “partito nuovo”, voluto da Togliatti nel 1944, con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in un partito di governo, progressista e democratico. Ma, al tempo stesso, erano anche feste popolari, dove divertirsi e raccogliere i fondi necessari all’autofinanziamento. Per interi decenni, da quel giorno di Mariano Comense ad oggi, le Feste de L’Unità ( tornate alla loro denominazione legata dal giornale fondato da Antonio Gramsci, dopo la parentesi delle “feste democratiche”) hanno rappresentato uno straordinario appuntamento di popolo. Tra il fumo delle griglie e i mitici “tortellini”, i dibattiti e le danze al ritmo di polke e mazurke, sono passate da quelle feste intere generazioni.
L’impegno dei militanti non si esauriva nella “gestione” durante lo svolgimento delle feste ma c’era anche un prima e un dopo, allestendole e poi smontandole (quando le strutture, come nella maggioranza dei casi, erano temporanee). Dietro alle quinte di ogni festa c’è sempre stato il sudore, la gioia, la fatica di tanti volontari che, gratuitamente, hanno montato gli stand, avvolgendo i cavi degli impianti elettrici, acquistando i viveri, disponendo sedie o lavando enormi pile di piatti e tanti, tantissimi bicchieri e posate. Le Feste de l’Unità sono state rappresentate anche in numerosi film, tra i quali, Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci (1964), Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca(1970) di Ettore Scola, Zitti e mosca (1991) di Alessandro Benvenuti. Vicende che racconta bene anche Anna Tonelli nel suo libro “Falce e tortello. Storia politica e sociale delle Feste dell’Unità”, edito nel 2012 da Laterza. In quelle pagine, senza agiografie, prende corpo la storia di un pezzo d’Italia, di un grande fenomeno politico che si faceva tradizione popolare, fino a diventare patrimonio della democrazia e quindi, al di là delle idee, di tutti. Dalla “scampagnata” del ’45 , come momento di libertà e liberazione, fino alle feste degli anni ’90 senza il Pci ( diventato PDS e poi DS) a quelle d’oggi: ne è passata di acqua sotto i ponti e le feste, come l’Italia, sono cambiate molto. I ricordi di un anziano militante della provincia più a nord del Piemonte, quella di Verbania, rendono bene il clima e le differenze.
“C’era voglia di vivere, e la Festa de L’Unità era uno specchio delle passioni. Anche il dissenso era sanguigno. Ricordo quando qualcuno del provinciale andava a fare il discorso alla Festa de L’Unità di S.Anna, a Pallanza. Se ai compagni andava a genio, tutto bene ma se non era gradito, apriti cielo: appena pronunciava una parola la festa s’animava in tutto e per tutto. L’orchestra provava i pezzi, dalla cucina cantavano, al bancone del bar pure, e le “comande” venivano fatte gridando come se tutti fossero diventati sordi. E così, all’oratore non gradito, non restava altro da fare che rimettersi i fogli in tasca e lasciar perdere. Ora, invece, chi non è d’accordo non lo dice nemmeno. Se ne vanno in silenzio, voltandoti le spalle. Escono dalla porta e non li vedi più. Anche le feste non sono più come un tempo anche se, e meno male, continuano ad esserci”.
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