Noi sogniamo una Cavallerizza rimessa a nuovo, destinata ad accogliere eventi di portata internazionale come quelli che hanno appena coinvolto tanti nostri concittadini. Però, al di là di ciò che ci immaginiamo, vorremmo almeno che chi abbiamo eletto per prendere delle decisioni lo facesse
Tutti i torinesi conoscono, o dovrebbero, il complesso di edifici che, dal retro del Teatro Regio, si sviluppano a lato di via Verdi e arrivano in via Rossini. Si tratta della Cavallerizza Reale, patrimonio dell’umanità e meraviglioso esempio architettonico di complesso urbanistico per funzioni burocratiche: progettato nel 1673 dal Castellamonte e poi completato con i contributi di personaggi del calibro di Juvarra, Alfieri, Melano e Mosca.
Purtroppo la Cavallerizza però si ripropone su giornali e attualità per variegate ed inutili, se non negative, situazioni spesso di degrado: è cronaca il tentativo di vendita di alcune sue parti, andato deserto più volte, da parte del Comune; è cronaca l’occupazione da parte di vari e soliti personaggi di altre sue parti; è cronaca infine l’incendio che la scorsa estate ha danneggiato la struttura.
Non è il caso di aggiungersi nella discussione ad infiniti blog, convegni, comitati, atti pubblici, ordini del giorno (dalla Circoscrizione Uno al Comune di Torino, alla Regione Piemonte un po’ tutti i livelli amministrativi ne hanno parlato), ma si può piuttosto provare a fare una riflessione amara sull’edificio, che rappresenta perfettamente un certo atteggiamento (perdente) della Città di Torino.
Ci stiamo proponendo come capitale dell’Arte contemporanea; ci stiamo sforzando di inventarci una vocazione turistica, con discreti risultati; ci stiamo quasi convincendo (sì, anche noi “chiusi torinesi”) che il posto in cui viviamo sia bello e meritevole di attenzioni. Eppure ci ricordiamo sempre tutti del fatto che Torino sia stata Capitale del Regno d’Italia, capitale della moda ad inizio Novecento, del cinema poco dopo, della televisione poco dopo ancora… e che tutte queste “invenzioni”, questi “ruoli di spicco” ci siano poi stati scippati da qualcun altro, in breve tempo. Un sentimento un po’ nostalgico ed un po’ risentito, di cui però, come spesso accade in queste situazioni, è da imputare solo al nostro “approccio al patrimonio che abbiamo”.
E’ un problema italiano, non solo locale, ma qui da noi sembra essere un’eccellenza del territorio. La Cavallerizza sarebbe da valorizzare come la Reggia di Venaria (un grande merito del primo Ghigo, portato avanti indistintamente dalla amministrazioni successive) e non dovrebbe costituire un problema. Si discute a volte sulla sua finalità, pubblica o privata, e su quanto le malconce casse comunali non possano permettersela: ma non si centra il problema. La si lascia occupare e stuprare, con concerti e degrado, abbandonandola in un’area che nessuno considera (via Verdi) e che è quasi diventata il “retro” di una via del centro secondaria (via Po) per quanto bellissima.
E così noi organizziamo Artissima, Paratissima, Photissima, The Others, mille progetti interessanti e diffusi sul suolo comunale, quando potremmo avere un centro unico e irripetibile (nel mondo) che fonda storia e contemporaneità. Solo un minimo esempio di ciò che potrebbe essere ciò che resta dietro i resti dell’Accademia Reale.
Ma ci siamo mai chiesti perché altre città ci abbiano rubato tante nostre creazioni così innovative e meravigliose? Perché offrono di più e ci credono di più. Perché investono e innovano, valorizzando ciò che hanno e non tenendo i soldi in saccoccia. Noi qui, per fare un parcheggio sotterraneo o un grattacielo, siamo arenati nelle discussioni e innamorati di un effetto NIMBY (“not in my backyard) che non ci lascia vedere anche nei ruderi del passato un futuro possibile. Il recupero si deve limitare ad un restauro, ad una diversa destinazione nel caso più ardito, ma sempre e comunque in un eterno processo di confronto tra mille particolarismi.
Noi sogniamo una Cavallerizza rimessa a nuovo, destinata ad accogliere eventi di portata internazionale come quelli che hanno appena coinvolto tanti nostri concittadini. Però, al di là di ciò che ci immaginiamo, vorremmo almeno che chi abbiamo eletto per prendere delle decisioni lo facesse. E smettesse di tenere, sempre più cadente, in pieno centro un fantasma che ci ricorda tutti i nostri difetti.
Giovanni Vagnone
(Foto: il Torinese)
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