Ventisette brevi capitoli, raccolti in sette gruppi e un abecedario finale. Cento pagine in tutto, vecchie foto comprese, dove si materializzano i luoghi della vita e dell’anima: il solaio, il mulino dell’infanzia, la cappella, l’eremo. Gli animali: gli adorati gatti, i cavalli, il lupo e la tigre. Gli incontri: la sarta, il portalettere, il fratello. E poi le fresie, i tulipani, la luna, la neve
“Con quella luna negli occhi” è un libro straordinario, di rara profondità e al tempo stesso lieve. L’autrice, Adriana Zarri, (nella foto) è morta quattro anni fa, a 91 anni. Teologa progressista, giornalista e saggista, era nata nel 1919 a San Lazzaro di Savena, nelle immediate vicinanze di Bologna, figlia di un mugnaio (già bracciante), e della figlia di un capomastro. Dal settembre del 1975, ha vissuto nella campagna canavesana, in totale solitudine, seguendo uno stile di vita austero che si può definire monastico, perché l’eremita “nella solitudine ha il suo momento privilegiato d’incontro”. Il suo primo eremo fu una cascina chiamata “Il Molinasso” a Fiorano, nelle colline poco distanti da Ivrea, poi negli ultimi quindici anni, dimorò in una rustica cascina d’epoca, in località Crotte, a pochi chilometri da Strambino.
A un tiro di schioppo – ironia della sorte – da Romano Canavese, paese che ha dato i natali al discusso ex Segretario di Stato Vaticano, monsignor Tarcisio Bertone.Ventisette brevi capitoli, raccolti in sette gruppi e un abecedario finale. Cento pagine in tutto, vecchie foto comprese, dove si materializzano i luoghi della vita e dell’anima: il solaio, il mulino dell’infanzia, la cappella, l’eremo. Gli animali: gli adorati gatti, i cavalli, il lupo e la tigre. Gli incontri: la sarta, il portalettere, il fratello. E poi le fresie, i tulipani, la luna, la neve. E la voce inconfondibile di Adriana Zarri, sottile eppure salda, racconta dalla pagina il proprio amore per il mondo.
«Ho ereditato dei bucaneve viola, dagli anni dell’infanzia. Li ho ereditati stamattina. Erano umidi ancora di rugiada come se fossero colti adesso e non avessero viaggiato, per lunghi sentieri di anni. Da tanto tempo li portavo dentro, in una piega inesplorata di memoria, e a un tratto sono germogliati; come un grano che dorme tutto un inverno con la terra e a marzo fila uno stelo verde, da una crepa del suolo, verso il saluto della primavera». Così inizia il racconto di questa donna straordinaria, capace di profonde riflessioni teologiche come di massime veloci e ironiche. Nelle sue pagine si mescolano perfettamente la voglia di ascoltare e di capire e la capacità di restituire con esattezza e poesia la meraviglia di fronte alla bellezza della natura. Davvero un libro prezioso, straordinario. Da leggere, e rileggere.
Marco Travaglini
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