Leo Muscato s’aggira da un po’ di tempo attraverso il mondo shakespeariano e del Bardo, mettendo in scena As you like it o Come vi piace (pronto a calarsi nell’Estate teatrale veronese e soprattutto negli umori del pubblico cinese), ovvero quel testo poco rappresentato da noi poiché certi pregiudizi letterari lo avrebbero (o lo hanno effettivamente) segregato nel confuso e poco frequentabile mondo pastorale, affronta il suo titolo numero cinque. Per farsi strada in esso, racconta Muscato, lui s’è posto alla continua ricerca di certe similitudini, di certi specchi che vogliano rimandare immagini antiche nel mondo di oggi, di entrare in chiara conoscenza con ben precisi personaggi celebri nella Londra dell’epoca per riversarli in fisionomie di oggi. S’è prefisso di rivitalizzare quel mondo di fiaba con quanti agganci si potessero trovare con la realtà che stiamo vivendo, mantenendo politicamente la dicotomia dei due mondi in scena, quello del Potere occupato dal Duca usurpatore, fatto di soprusi e di arbitrii e di lotte fratricide, e quello bucolico, del tutto leggero, dove il popolo è fuggito assai velocemente, uno spazio ritagliato oltre i confini del mondo, felice e senza pensieri, quello che è ad un passo dal primo ma nascosto tra gli alberi della foresta di Arden. Quel rinvenimento significherebbe vitalità e divertimento, nuova conoscenza, rimando continuo di idee, di percezioni, di simbologie, fermo restando il fatto che in quella continua trasmissione di dati temporali e fisici s’innestano piacevolmente e fantasiosamente nuove concretezze, sberleffi e pastiches impensabili, come i coretti rivistaioli di un branco di innocenti pecore che introducono alla seconda parte del racconto o un cantante in giacca di lamé pronto a esibirsi modernamente ad un microfono.
Forse, ma il parere è da rinchiudersi immediatamente nelle corde personali di chi scrive, quel divertimento sempre promesso fa un po’ fatica a manifestarsi appieno e soprattutto a rovesciarsi in platea, certi dialoghi e le situazioni che li creano e li circondano peccano a tratti di un qualche meccanismo, non sempre l’ironia e la linguaccia del Buffone di Eugenio Allegri raggiungono lo scopo, per cui si finisce con il fare marcia indietro e apprezzare più la pacata melanconia del Jaques di Michele di Mauro, pronto a dirci che tutto il mondo è un palcoscenico e ad aggirarsi con il suo alberello beckettiano su e giù per la scena. Nel gran gioco, che tuttavia regge nello scorrere degli avvenimenti, piace l’”hors du rôle phisique” dell’Orlando di Daniele Marmi o l’allegria della Febe di Mariangela Granelli, tutti con i loro compagni accompagnati dalle musiche, queste immancabile perno dell’intero spettacolo, firmate e eseguite da Dario Buccino. Già apprezzata quest’anno come combattiva Arialda, Beatrice Vecchione è Rosalind e supera la prova, non facile se si tengono a mente le tante giravolte del suo personaggio, con un perfetto ottimismo per il suo futuro. Ha un peso notevole e tira la carretta con l’aria dell’attrice che s’è già ben fatta le ossa, e lo dimostra appieno.
Elio Rabbione