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“La casa delle meraviglie”. Un’avventura tra biciclette, amicizia e magia

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Torino tra le righe

Oggi voglio parlarvi di La casa delle meraviglie, un libro per bambini scritto da Anna Vivarelli, una delle autrici più apprezzate della letteratura per ragazzi in Italia. Una penna raffinata e sensibile, capace di creare mondi che parlano ai più piccoli ma che sanno toccare anche il cuore degli adulti.
Laureata in Filosofia a Torino, Vivarelli ha esordito giovanissima nel mondo della scrittura, lavorando come drammaturga e autrice radiofonica per la Rai. La sua è una carriera poliedrica: per molti anni ha svolto attività giornalistica e di copywriting come freelance, oltre a insegnare Storia del teatro in diverse scuole di recitazione. Nel 1994 ha pubblicato il suo primo libro per ragazzi, Uomo nero, verde, blu, da cui il Teatro dell’Angolo ha tratto uno spettacolo teatrale, segnando l’inizio di una lunga e brillante carriera nel mondo dell’editoria per l’infanzia.
Nel 1996 ha vinto il prestigioso Premio Il Battello a Vapore, dando slancio a un percorso costellato di riconoscimenti: due Premi Cento, due Premi Bancarellino, il Premio Andersen nel 2010 come miglior scrittore e, più recentemente, il Premio Rodari alla carriera nel 2023. Ha pubblicato oltre cinquanta titoli con editori come Einaudi, Feltrinelli, Piemme, Mondadori e Rizzoli, molti dei quali tradotti all’estero. Insomma, una vera ambasciatrice della narrativa per ragazzi, torinese di nascita e di spirito.
La casa delle meraviglie racconta la storia di Emma, una bambina vivace, curiosa e amante dell’avventura, che affronta la vita con coraggio nonostante l’abbandono da parte della madre. Accanto a lei ci sono due figure speciali: il padre, un uomo affettuoso e attento, con cui condivide storie, pensieri e lunghe passeggiate in bicicletta, e Filippo, un anziano proprietario del negozio “De Filippis: tutto per i ciclisti”, che diventa per Emma un amico silenzioso e presente, soprattutto nelle serate solitarie in cui il padre è al lavoro.
La loro esistenza è fatta di piccoli spostamenti e traslochi, di case temporanee e oggetti racchiusi in una scatola di plastica, simbolo di una vita in divenire, sempre sul filo dell’equilibrio. Ma un giorno, in un piccolo bosco che sembra uscito da una fiaba, Emma e suo padre trovano un luogo speciale: una casa abbandonata, immersa nella natura, che ai loro occhi diventa subito “la casa delle meraviglie”. Un rifugio, un sogno, forse anche un’opportunità.
Sarà davvero la loro casa definitiva? O è solo una tappa in un viaggio più lungo? Per avere una casa, ci vuole anche una famiglia? E cosa significa, davvero, sentirsi a casa?
Con un linguaggio diretto e spontaneo, Anna Vivarelli ci accompagna nel mondo interiore di Emma attraverso una narrazione in prima persona che crea un’immediata empatia con il lettore. Emma osserva il mondo con occhi aperti e sensibili, ponendosi domande che appartengono a tanti bambini e, in fondo, anche a molti adulti. La sua voce è autentica, priva di artifici, e questo rende la storia ancora più intensa.
Ad arricchire questa delicata avventura c’è il contributo dell’illustratrice Giulia Dragone, che con i suoi disegni dettagliati e poetici dona un volto ad Emma e agli ambienti che la circondano, rendendoli tangibili e familiari. Le illustrazioni non sono solo un accompagnamento visivo, ma diventano parte integrante della narrazione, capaci di evocare emozioni e amplificare il senso di meraviglia che attraversa tutto il libro.
Due autrici, dunque, che lavorano in armonia per costruire un’opera dolce e fresca, che si legge tutta d’un fiato e che lascia il desiderio di proseguire, di sapere cosa accadrà dopo.
La casa delle meraviglie è un libro dolce, luminoso e pieno di significato. Una storia che parla di amore, di radici, di desideri semplici e profondi. Una storia che incanta e coinvolge, lasciando nel lettore un senso di meraviglia e un pizzico di nostalgia. Con un solo difetto: finisce troppo presto.
MARZIA ESTINI

Brava gente: teatro di vite ai margini secondo Margherita Oggero

TORINO TRA LE RIGHE

Dovete sapere che in piemontese l’espressione “brava gente” ha un significato tutto suo, quasi opposto a quello che ci si aspetterebbe: non indica persone oneste e perbene, ma individui che vivono ai margini, in quel confine sfumato e instabile tra legalità e illegalità. È proprio questo il mondo che Margherita Oggero ci racconta nel suo romanzo Brava gente, edito da HarperCollins: una periferia torinese viva, pulsante, sgangherata e umanissima, dove ogni personaggio è una maschera e insieme una verità.
Margherita Oggero è nata e vive a Torino. Ha svolto l’attività di insegnante nei più svariati tipi di scuole e in seguito si è dedicata a scrivere a tempo pieno. Il suo primo romanzo, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 2002, è stato La collega tatuata (da cui è stato tratto nel 2004 il film Se devo essere sincera, di Davide Ferrario, con Luciana Littizzetto). Tra le altre sue opere i romanzi pubblicati con Mondadori Una piccola bestia ferita (2003), L’amica americana (2005), Qualcosa da tenere per sé (2007), che hanno ispirato la fortunata serie televisiva della Rai Provaci ancora prof, con Veronica Pivetti come protagonista. Ancora per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, L’ora di pietra (2011), La ragazza di fronte (2015, premio Bancarella 2016) e La vita è un cicles (2018).Con Einaudi ha pubblicato Così parlò il nano da giardino (2006), Il compito di un gatto di strada (2009), Non fa niente (2017, vincitore del Premio Maria Teresa Di Lascia) e Il gioco delle ultime volte (2021). Il suo ultimo romanzo è Brava Gente (2023), pubblicato con HarperCollins.
Siamo a Barriera di Milano, quartiere a nord di Torino, dove convivono disperazione e voglia di riscatto, degrado e solidarietà, truffe improvvisate e sogni a occhi aperti. Un luogo reale, duro, ma anche narrativamente fertile, che la penna di Oggero sa trasformare in teatro, nel vero senso della parola: prima ancora che la storia abbia inizio, l’autrice presenta l’elenco dei personaggi come in un copione, pronti a salire sul palcoscenico di una quotidianità che sa di noir e commedia sociale.
C’è Deborah, detta Debby, quindici anni e già più disillusa di quanto dovrebbe. Ha lasciato la scuola, fa la baby-sitter e la badante “a ore”, e tra le sue fantasie c’è anche quella – tutt’altro che innocua – di uccidere il padre Oreste, ex bellone ora camionista, colpevole di aver dilapidato il patrimonio di sua moglie Linda. Linda, madre immatura e svampita, vive in un mondo tutto suo, dove la realtà si tinge di illusioni mai sopite.
E poi c’è lei, Caterina Mazzacurati, anziana vedova energica e indimenticabile, che Debby accudisce e rifornisce abitualmente di cannabis. Una figura ironica, tenera e ribelle, che lotta con le unghie e con i ricordi contro l’idea di finire in una casa di riposo. Sarà Arturo, vecchio amore riapparso dal passato, a cambiare le carte in tavola?
Intorno a loro si muove un microcosmo di anime: Florin, giovane camionista rumeno con la nonna da mantenere in patria e il sogno di un appartamento tutto suo; Albachiara, la cartolaia/edicolaia/souvenirista in perenne battaglia con la vanitosa Giuseppina-Vanessa Delice, manicurista e amante del parrucchiere Alexander The Best; fino a una Lana Turner in versione fantasmatica che compare, in bilico tra memoria e immaginazione, come simbolo di un passato glamour e irreale.
Oggero ci regala una carrellata continua di personaggi e situazioni, in un tempo narrativo che salta avanti e indietro, seguendo i fili intrecciati delle vite di “brava gente” che cerca di cavarsela tra uno scivolone e un colpo di fortuna. Nessun giudizio morale, nessuna forzatura: solo l’osservazione precisa, affettuosa, a volte tagliente di una realtà periferica raccontata senza pietismi.
Il quartiere di Barriera si rivela un set perfetto: ci sono bande, traffici, sparatorie, furti, ma anche momenti comici e slanci generosi, l’aria satura di smog e l’umanità densa che si respira in ogni riga. Perché qui, dove nulla è scontato, anche una vecchia auto può diventare il luogo di un incontro, e ogni piccolo furto è una forma di resistenza o una rivendicazione.
Brava gente è un romanzo corale, una mappa emotiva delle nostre periferie e delle loro mille contraddizioni. Un libro che intrattiene, fa riflettere e racconta Torino da una prospettiva vera, marginale forse, ma più che mai centrale. Come sempre, Margherita Oggero si conferma una voce lucida, elegante, profondamente radicata nel territorio e capace di dar voce agli invisibili con grazia e intelligenza.
MARZIA ESTINI
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Tuffo nella Torino degli anni Ottanta: “I ragazzi sognano in Technicolor” di Erika Anna Savio

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TORINO TRA LE RIGHE

Per questa nuova tappa di Torino tra le righe vi porto indietro nel tempo, nella Torino degli anni Ottanta, attraverso le pagine di un romanzo intenso e coinvolgente: I ragazzi sognano in Technicolor, esordio narrativo di Erika Anna Savio.
Nata a Torino nel 1976, l’autrice è cresciuta a Mirafiori Sud, all’ombra delle ciminiere della Fiat. Giornalista dal 2013, laureata in Lettere Moderne, ha raccontato la vita delle periferie torinesi nei suoi libri di indagine sociale Mirafiori Sud, vita e storie oltre la fabbrica e Mirafiori Nord, la fabbrica del cambiamento (Graphot Editore, 2014 e 2017), scritti insieme all’urbanista Federico Guiati. Oggi insegna Lettere alle scuole medie, portando con sé una sensibilità rara che ritroviamo tutta in questo romanzo.
Siamo alla fine degli anni ’80. Lisa è una ragazza timida, nel pieno dell’adolescenza. Vive con la famiglia in un paese di mare, finché la separazione dei genitori cambia ogni cosa: dalla luce, al buio. Lisa, la madre e il fratellino si trasferiscono in una periferia torinese degradata e triste, dove la madre deve lavorare e Lisa si ritrova a prendersi cura del fratello, caricandosi sulle spalle responsabilità troppo pesanti per la sua età. Ma il peggio arriva con l’arrivo del nuovo compagno della madre: un uomo violento che renderà il quotidiano ancora più buio.
E allora Lisa cerca di adattarsi, prova a ritagliarsi nuovi spazi, a costruire nuove relazioni. Tra queste c’è Alex, un ragazzo dalla brutta fama, ma che – come lei – ha un disperato bisogno di essere salvato.
Con grande intensità, l’autrice ci accompagna tra i cortili e le strade della Torino anni Ottanta, restituendoci l’adolescenza in tutte le sue sfumature: le incomprensioni, la rabbia, la solitudine. Lisa e Alex sono due anime in cerca di un legame, di qualcuno che veda oltre le maschere, che dia loro ascolto e fiducia. Perché, spesso, i primi a non capire sono proprio gli adulti.
È una storia che invita a riflettere sui bisogni emotivi dei ragazzi, sul ruolo educativo degli adulti e su quei sogni che, nonostante tutto, devono continuare a brillare.
Attorno ai protagonisti ruota una galassia di personaggi con storie forti e personalità sfaccettate:
Nunzia, figlia di immigrati, una delle più care amiche di Lisa. Concreta e determinata, se la cava sempre da sola, senza illusioni.
Luca, il primo amore di Lisa, confuso e ribelle, incapace di trovare un centro.
Nikola e Sonia, figure borderline come lui.
Ivan e Paolo, gli “amici metallari”, che nella musica trovano un’identità.
E poi Karen, apparentemente diversa per provenienza e possibilità, ma desiderosa di essere accettata dal gruppo, nonostante una famiglia che tenta di tenerla lontana da “quei ragazzi”.
Tutti abitano il quartiere “Le Serre”, un luogo che è molto più di un’ambientazione: è un microcosmo umano, pieno di contraddizioni e sogni, di lotte silenziose e piccole vittorie. Ogni personaggio sogna – a modo suo – l’adulto che vorrà essere.
E poi, ci sono Lisa e Alex.
Lisa è stata sradicata da ciò che conosceva, Alex è cresciuto nel caos di una famiglia disfunzionale. È un ragazzino sfrontato, forse ingestibile, ma impossibile da odiare. Perché sotto ogni sua azione c’è solo una richiesta di attenzione, di amore, di senso.
E gli adulti?
Gli adulti, in questa storia, non fanno una gran figura. Sono spesso egoisti, distratti, incapaci di assumersi responsabilità. Non solo quelli apertamente “cattivi”, ma anche quelli che mettono se stessi al centro, che non ascoltano, che non vedono. Assenti o semplicemente ciechi.
Eppure, tra le ombre, c’è una luce. Una speranza.
Sono i sogni, l’appiglio a cui si aggrappano i ragazzi. Se ci credi davvero, anche i sogni possono sembrare reali, in technicolor. Così vividi da sembrare veri. È questa la magia che Erika Anna Savio riesce a restituire: l’energia instancabile dei ragazzi, la loro capacità di trasformare l’ordinario in straordinario. L’amore, l’amicizia, la musica, le risate. Tutto è vissuto intensamente, come se fosse la prima – e unica – volta.
Perché i ragazzi vogliono vivere, vogliono immaginare un futuro migliore, anche quando nessuno glielo promette.
E noi adulti abbiamo il compito – enorme – di non spegnere quella luce, ma anzi, di aiutarli a farla brillare.
MARZIA ESTINI
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“La maledizione di Joshua” un noir intenso che intreccia memoria, vendetta e mistero

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TORINO TRA LE RIGHE

Per gli amanti del noir e delle atmosfere torbide, oggi vi porto nel cuore del nuovo romanzo di Patrizia Valpiani, La maledizione di Joshua (Edizioni Pedrini): una storia avvincente che mescola passato e presente, colpi di scena e riflessioni profonde sull’animo umano.
Originaria di Pietrasanta, ma ormai torinese d’adozione, Valpiani ha saputo fare della nostra città non solo lo sfondo, ma il respiro stesso della sua narrativa. Alternando poesia e romanzo noir, ha affinato negli anni una scrittura attenta all’introspezione psicologica e alla costruzione di atmosfere dense e inquietanti. Il suo noir non urla, sussurra. Non ostenta la violenza, la lascia emergere lentamente, dalle crepe dell’anima.
Protagonista ricorrente delle sue opere è Pietro Jackson, pittore e musicista dalla sensibilità straordinaria, capace di cogliere le vibrazioni più oscure della realtà. Nato con Ascoltando Coltrane (Neos Edizioni, 2009), Jackson si muove in una Torino meticolosamente descritta nei suoi dettagli urbani, sociali e culturali: una città che, nei romanzi di Valpiani, è presenza viva e pulsante.
Dopo una pausa narrativa, l’autrice è tornata a raccontare le vicende di Jackson in collaborazione con il medico legale Gianfranco Brini, sotto lo pseudonimo di Tosca Brizio. Da questa sinergia sono nati Chiaroscuro (2017) e L’ombra cupa degli ippocastani (2019), pubblicati da Golem Edizioni. Alla scomparsa di Brini, Valpiani ha continuato da sola il cammino del suo protagonista, portandolo avanti fino al recente Pietro J (2022).
Con La maledizione di Joshua, ci troviamo di fronte a un nuovo capitolo, denso di tensione e mistero. La storia prende avvio a Santa Fé, in Argentina, dove incontriamo Joshua, un uomo di origini ebraiche la cui vita è stata devastata dall’antisemitismo degli anni Quaranta. Ormai anziano e gravemente malato, Joshua decide di tornare in Italia per chiudere i conti con il passato e reclamare giustizia. O forse vendetta.
Il romanzo si sposta poi a Torino, dove le ombre di Joshua si intrecciano con quelle di Pietro e Matteo, un giornalista deciso a far luce su una serie di eventi oscuri che coinvolgono una famiglia italiana. In questo mosaico di personaggi e destini, Valpiani intreccia con maestria la memoria storica e la tensione narrativa, regalando al lettore un noir che è anche un viaggio nell’inconscio.
La maledizione di Joshua conferma la capacità dell’autrice di tenere il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, dimostrando che il noir può essere non solo intrattenimento, ma anche strumento di riflessione.
Un romanzo da non perdere, perché dietro ogni pagina si cela una verità inattesa. E, come sempre nei libri di Patrizia Valpiani, niente è mai come sembra.
MARZIA ESTINI

Guido Catalano e la poesia della fragilità: “Cosa fanno le femmine in bagno?”

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TORINO TRA LE RIGHE

Per Torino tra le righe, oggi vi parlo dell’ultima opera di Guido Catalano, Cosa fanno le femmine in bagno? (Feltrinelli, 2024): un esperimento poetico in versi liberi, una ballata romantica e ironica che celebra la bellezza della fragilità umana.
Catalano, torinese doc, è legatissimo alla sua città, dove è nato e ha sempre vissuto. Inizia a scrivere ai tempi del liceo classico, tra qualche bocciatura e molte poesie. A 17 anni è il frontman dei Pikkia Froid, una band rock-demenziale per la quale scrive i testi. Quando la band si scioglie, si accorge che quei testi “assomigliano a poesie”. Dopo il liceo si iscrive a Lettere Moderne, mentre svolge i lavori più disparati: correttore di bozze per Einaudi, portiere, bozzettista. Nel 2000 pubblica la sua prima raccolta, I cani hanno sempre ragione, e nel 2005 apre il blog che lo lancerà nel mondo dei reading e dei poetry slam.
La sua poesia, sempre in versi liberi, si distingue per uno stile semplice e diretto, amatissimo dal pubblico ma non privo di detrattori. Catalano è stato accusato di fare un “cattivo servizio alla poesia” o persino alla “nazione”, e di rappresentare “la deriva della poesia contemporanea”. Nonostante (o forse grazie a) queste critiche, è diventato un fenomeno virale: i suoi versi circolano nei bar, nei centri sociali, nei festival e sui social network, conquistando anche i teatri e i live club più importanti d’Italia con numerosi sold out.
Nel 2016 arriva al cinema con il mockumentary Sono Guido e non Guido, presentato al 34° Torino Film Festival. Lo stesso anno pubblica il suo primo romanzo, D’amore si muore ma io no (Rizzoli), seguito nel 2018 da Tu che non sei romantica. Sempre nel 2018 è ospite fisso della trasmissione Brunori Sa su Rai 3. Tra i suoi progetti più originali c’è Poesie al megafono (2019), un libro poetico “parlante”, e due podcast prodotti da Chora Media: Amare Male (2021) e Amare a Marzo (2022). Dallo stesso universo nasce anche il romanzo-memoir Amare Male, pubblicato da Rizzoli.
Dopo sei anni senza nuove poesie, nel 2023 torna alla poesia con Smettere di fumare baciando (Rizzoli). Nel 2024 arriva Cosa fanno le femmine in bagno?, un’opera in versi liberi e felici che si trasforma anche in pièce teatrale.
Il libro è un viaggio nell’educazione sentimentale di un bambino, un ragazzo e un poeta: tre facce dello stesso personaggio. Si apre con una filastrocca e le avventure del bimbetto innamorato della maestra, appassionato di robot e soldatini. Prosegue con il ritratto di un adolescente timido e impacciato, e si conclude con la voce di un poeta che osserva con tenerezza i suoi alter ego più giovani. Tra flashback e frammenti di vita, Catalano ci regala un racconto introspettivo che esplora amore, poesia e curiosità infantile.
L’amore, d’altronde, è uno dei temi più ricorrenti nelle sue opere, spesso trattato con leggerezza apparente e ironia pungente. L’autoironia, come dice lui stesso, è “la salvezza dalle brutture della vita”. Anche nei suoi reading, veri e propri spettacoli tra poesia e cabaret, Catalano gioca con la fisicità e con il suo evidente rotacismo, che diventa cifra stilistica.
“Cosa fanno le femmine in bagno?” è un inno delicato alla vulnerabilità, una riflessione poetica che invita ciascuno a confrontarsi con il proprio vissuto e con la ricerca di senso. Un’opera tenera, buffa e malinconica, che conferma – se ce ne fosse ancora bisogno – la voce unica e inconfondibile di Guido Catalano nella poesia contemporanea italiana.
MARZIA ESTINI
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Anche i quadri raccontano storie: Andrea Prestifilippo e i volti dell’anima

TORINO TRA LE RIGHE
Anche i quadri raccontano una storia. Ed è proprio questo il filo conduttore che mi porta oggi, in questa puntata di Torino tra le righe, a parlarvi di un artista nostrano: Andrea Prestifilippo.
Classe 1983, nato a Torino, Andrea scopre fin da bambino l’amore per il disegno, ispirato dai lavori pittorici delle zie e dai bozzetti della madre. Una passione che cresce con lui e lo guida prima al liceo artistico “R. Cottini”, dove inizia a costruire le fondamenta della sua espressione artistica, e poi all’Accademia di Belle Arti, dove approfondisce le tecniche. Se inizialmente si avvicina alla scultura, è nella pittura che trova il suo linguaggio più autentico.
Dopo qualche anno di pausa, nel 2015 torna a dipingere con costanza e inizia a esporre le sue opere in locali torinesi, partecipando a manifestazioni come Paratissima e a esposizioni internazionali, tra cui due gallerie londinesi. Nel 2019 decide di cambiare aria – e luce – trasferendosi a Málaga, dove attualmente vive e lavora.
Prestifilippo dipinge volti. E nei suoi ritratti esplosivi, dominati da colori vivi, pennellate energiche e linee dirompenti, ci sono le icone che lo hanno accompagnato nella crescita: artisti che hanno fatto della propria immagine un manifesto, un’arma, un messaggio. Dalì, Bowie, Jagger, Freddie Mercury… Non semplici ritratti, ma vere e proprie esplorazioni dell’identità e dell’espressione.
Il volto di Salvador Dalì, ad esempio, lo vediamo filtrato da una lente tenuta da una mano infuocata e deformante. Quattro occhi si moltiplicano su un solo viso: è una visione disturbata, surreale, che richiama la capacità – e la necessità – di vedere il mondo da prospettive alternative, deformate, artistiche. In una sola immagine, Andrea ci parla della follia creativa, del genio che sa guardare dove gli altri non osano.
Nel ritratto di Mick Jagger, invece, il volto esasperato e quasi grottesco è circondato da una pioggia di lingue rosse, simbolo della band e icona pop. È un’esplosione di vitalità, provocazione e anticonformismo, ma anche una riflessione su come il volto di un artista diventi, nel tempo, un logo, una maschera, un urlo.
E poi c’è Bowie, con il fulmine che gli taglia il viso: un’immagine potente, citazione evidente di Aladdin Sane, ma qui rivisitata con pennellate ancora più libere e colori che colano, come se anche l’identità – fluida, aliena, teatrale – si stesse sciogliendo sulla tela. Gli occhi azzurri ci guardano con intensità: non è solo un ritratto, è un dialogo muto tra chi crea e chi osserva.
Uno sguardo azzurro trafitto dal colore e dal dolore. Kurt Cobain. L’intensità magnetica di Freddie Mercury prende vita tra colate di giallo e magenta. Le emozioni non sono solo rappresentate, ma sembrano sgorgare dalla tela, come se le lacrime, il sudore e la passione dei protagonisti si mescolassero alla pittura stessa. Ogni goccia è un grido, un ricordo, un’eco.
Un momento fondamentale nella carriera di Prestifilippo è stato quello della pandemia. Costretto a casa, si è trovato a fare i conti con sé stesso e con una nuova dimensione della pittura, più intima, riflessiva. È in questo periodo che nascono le mani.
Mani ingrandite, mani tese, mani che cercano o che proteggono. Mani che, all’improvviso, diventano simbolo di paura, di distanza, ma anche di desiderio, di contatto umano, di calore.
Non più volti, non più icone: solo mani. Mani che si cercano, che si sfiorano, che sembrano chiedere contatto ma trovano distanza. Mani che parlano un linguaggio universale, fatto di assenza e di desiderio. In queste opere, l’artista si allontana dalla celebrazione del personaggio per esplorare la fragilità umana, il bisogno ancestrale di vicinanza, la paura del tocco e insieme il suo struggente potere.
Non mani qualsiasi, ma mani vive, espressive, dense di emozioni e significati. Mani che raccontano quello che le parole a volte non riescono a dire. In un momento storico in cui il contatto era negato, Prestifilippo ha trovato un modo potente e autentico per restituirgli voce.
I colori sono forti, vibranti, stratificati: rossi accesi, gialli intensi, blu elettrici e ombre profonde che si mescolano in un caos perfettamente orchestrato. Ogni pennellata sembra un frammento di esperienza, un grido o un abbraccio. Le mani di Andrea parlano una lingua fatta di gesto e materia, di mancanze e presenze.
Quelle opere, inizialmente nate come espressione personale, sono diventate nel tempo una sorta di narrazione collettiva, capaci di toccare chiunque le osservi. C’è chi ci vede la forza di un legame, chi una ferita ancora aperta, chi un invito a non dimenticare.
Andrea Prestifilippo racconta sé stesso e il mondo che lo ha formato attraverso i volti e le mani. Pittura gestuale, colori accesi, emozioni crude. Le sue tele non cercano la somiglianza perfetta, ma scavano nell’anima del soggetto, estraendone un’energia che continua a vibrare ben oltre i contorni.
Torino è la sua origine, Málaga la sua casa, ma la sua arte non conosce confini. E anche da lontano, continua a raccontare – con pennellate dirompenti – la storia di ciò che siamo stati, e di ciò che possiamo ancora diventare.
MARZIA ESTINI
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Tutti conoscono tutti: un giallo torinese dove nessuno è davvero innocente

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TORINO TRA LE RIGHE
Per Torino tra le righe oggi vi porto tra le atmosfere sospese e ambigue di un giallo tutto torinese: Tutti conoscono tutti, il nuovo romanzo di Francesca Mautino, edito da Longanesi nel 2025.
L’autrice, nata a Ivrea e laureata in Storia del Cinema, ha lavorato per la televisione prima di approdare alla narrativa con Qualcuno che conoscevo (2024). Ora torna a far parlare di sé e della sua città con una nuova protagonista: Valentina Bronti, podcaster investigativa e mamma alle prese con la sua caotica quotidianità.
Torino, in questa storia, è più di uno sfondo: è un personaggio vivo, contraddittorio, pieno di magia e segreti. In una città dove davvero “tutti conoscono tutti”, Valentina si muove tra l’incertezza lavorativa e relazionale, con l’unica certezza delle telefonate dalla scuola per qualche nuovo guaio delle sue pestifere gemelline. Ma sarà un Capodanno in una villa sulla collina a riaprire una ferita mai del tutto chiusa.
Tra gli invitati, Valentina riconosce una donna elegante che le rivolge frasi sibilline prima di sparire nella notte. È Cristiana Landorni, coinquilina ai tempi dell’università e amica di Mattia, un ragazzo che all’epoca faceva parte della compagnia e che è morto anni prima in circostanze mai del tutto chiarite.
Ma se non fosse stata una fatalità? Se quelle parole fossero un indizio? Inizia così un’indagine personale e arbitraria, che spinge Valentina a rivivere amicizie sbagliate, tradimenti, crudeltà adolescenziali e silenzi pesanti come pietre.
Francesca Mautino ci racconta una Torino che conosce profondamente: la città dei salotti borghesi e delle periferie dimenticate, dei ricordi universitari e delle solitudini metropolitane. Il romanzo è scritto con stile fluido e tagliente, capace di scavare tra le pieghe dell’animo umano con precisione e autenticità.
Per chi ha amato il romanzo d’esordio dell’autrice, questo secondo libro è una conferma del suo talento. Non mancano i rimandi al precedente caso, ma Tutti conoscono tutti si può leggere anche in totale autonomia.
Un cold case che diventa occasione di riscatto, riflessione e rivelazione. Un giallo tutto torinese da leggere e divorare in un battibaleno.
MARZIA ESTINI
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Atena Ferraris e la rivoluzione della diversità: sveglie, enigmi e ironia

TORINO TRA LE RIGHE

Per “Torino tra le righe” oggi vi parlo di un romanzo che mescola suspense e ironia, portandoci alla scoperta di un personaggio davvero fuori dal comune.
Con Le ventisette sveglie di Atena Ferraris, Alice Basso fa nuovamente centro. Dopo il successo delle serie dedicate alla ghostwriter Vani Sarca e alla dattilografa Anita Bo, l’autrice dà vita a un nuovo personaggio esilarante e originale che conquisterà senza dubbio i lettori. Non c’è da stupirsi: Alice Basso, con mezzo milione di copie vendute, si conferma una delle scrittrici più amate e apprezzate della scena letteraria italiana contemporanea.
Alice Basso, milanese di nascita, ha lavorato per diverse case editrici come redattrice, traduttrice e valutatrice di proposte editoriali. Quando non scrive, ama cimentarsi in passioni creative come il canto, il sassofono e il disegno. Confessa però di cucinare male e di guidare peggio, con l’ironia che la contraddistingue anche sulla pagina. Il suo percorso letterario è costellato di successi, tra cui la serie dedicata a Vani Sarca, iniziata con L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome (2015), e quella che vede protagonista Anita Bo, con titoli come Il morso della vipera (2020) e Il grido della rosa (2021).
Anche questa volta, Alice Basso dimostra una straordinaria capacità di coinvolgere il lettore fin dalle prime righe. L’incipit di Le ventisette sveglie di Atena Ferraris è potente e originale: “Mi chiamo Atena Ferraris e mi sa che non sono come gli altri, inutile girarci intorno.” Con queste parole, l’autrice ci introduce Atena Ferraris, un personaggio che non teme di mostrarsi in tutta la sua complessità.
Atena, trentenne torinese, è una donna straordinariamente bizzarra. Imbranata, scoordinata e goffa, Atena soffre di iperlessia, un disturbo che comporta una lettura compulsiva e una memoria sorprendente, e ha una passione per l’enigmistica che la rende unica. La sua vita è scandita da ventisette sveglie quotidiane, che regolano ogni aspetto della sua giornata: lavoro, appuntamenti, la telefonata quotidiana al fratello Febo, il momento di riposare, mangiare e persino pensare. Questi allarmi costanti sono fondamentali per lei, senza i quali perderebbe facilmente il filo delle sue giornate, divagando, spinta dalla curiosità e dall’insaziabile sete di novità.
Atena trova conforto nella sua rivista di enigmistica, una “bolla” di ordine e logica che le permette di rifugiarsi da un mondo spesso imprevedibile e caotico. Odia le sorprese e vive secondo regole ben definite, dove ogni enigma conduce a una soluzione unica, rassicurante, immutabile. La sua enciclopedica conoscenza e il suo modo diretto di comunicare la rendono una sfida continua per chiunque dialoghi con lei, creando situazioni tanto comiche quanto imbarazzanti.
Accanto ad Atena, il romanzo introduce una serie di personaggi vivaci e imprevedibili, come suo fratello Febo, costantemente coinvolto in avventure bizzarre, e un gruppo di amici della scuola di magia da lui frequentata: Jacopo, Gemma, Marina e il Prof. Gluck. Saranno loro a trascinare Atena in una gradevole e simpatica avventura in stile giallo, dove il cozy crime si mescola a situazioni esilaranti e battute sagaci.
Con Le ventisette sveglie di Atena Ferraris, Alice Basso regala ai lettori un racconto divertente e intelligente che affronta anche temi importanti, come la diversità e l’accettazione di sé. La narrazione in prima persona, ricca di citazioni culturali italiane, giochi di parole e riferimenti letterari e scientifici rende il romanzo non solo un piacere da leggere, ma anche un brillante esercizio di intelligenza.
Alice Basso si conferma una maestra nel mescolare ironia, cultura e profondità emotiva. Le ventisette sveglie di Atena Ferraris è una lettura imperdibile per chi cerca divertimento, riflessione e un personaggio indimenticabile.
MARZIA ESTINI
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La Regina delle Lacrime: tra magia, oscurità e desideri proibiti

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TORINO TRA LE RIGHE
 
Cosa fareste se trovaste un genio dei desideri?
Per Torino tra le righe oggi voglio parlarvi di un fantasy che mi ha particolarmente colpito: La Regina delle Lacrime di Maria Carla Mantovani.
L’autrice, nata a Torino e laureata in Economia, vive in Piemonte con il marito, il figlio e il suo Labrador, Claire. Ha all’attivo due dilogie: La Dilogia del Fulcrum, uno sci-fi distopico ricco di colpi di scena ed emozioni, e La Dilogia del Sangue, un noir dalle tinte gialle con un tocco di mafia romance. A queste si aggiungono due trilogie, La Trilogia di Alpha e la sua continuazione, Seconda Trilogia Alpha, entrambe ricche di azione e adrenalina. Inoltre, ha pubblicato due romanzi autoconclusivi: Al Chiar di Terra, un fantasy young adult ambientato in una scuola di magia sulla Luna, e La Regina delle Lacrime, un fantasy romance con un genio dei desideri e una strega malvagia.
La storia si svolge in un regno assediato dal bellicoso popolo dei Danii, dove da cinque anni è scomparsa la temibile sovrana Sophia, conosciuta come La Regina delle Lacrime per la crudeltà inflitta ai suoi sudditi e alle sue ancelle nella disperata ricerca dell’immortalità. Accanto a lei, i due sacerdoti Balthasar e Primus Gaius. La sua caduta è stata accolta con sollievo e celebrata ogni anno con una festività nazionale, Il Giorno delle Lacrime.
Cinque anni dopo, la giovane avventuriera Evie viene incaricata di recuperare un misterioso manufatto in una caverna che si dice abitata da un’entità oscura e demoniaca. Qui, però, scopre qualcosa di molto diverso: un essere incorporeo, che si rivela più umano di quanto sembri. Tra loro nasce un legame profondo, forse destinato a diventare qualcosa di più. Al suo fianco c’è anche l’amico Petyr, pronto a sostenerla nell’impresa.
Ma il manufatto esiste davvero o il compito di Evie è legato alla scomparsa di Sophia? E la terribile regina, che aveva sacrificato la sua gente pur di ottenere l’immortalità, è davvero svanita nel Giorno delle Lacrime o ha trovato un modo per sopravvivere?
La Regina delle Lacrime è un fantasy che si sviluppa su due piani temporali, intrecciando la storia di Evie e quella della regina Sophia, fino a un sorprendente epilogo. Il punto di forza del romanzo è il rapporto tra Evie e l’enigmatica entità della caverna, che diventa una metafora della potenza trasformativa dell’amore. Altro elemento di grande valore è il personaggio di Sophia: crudele ma sfaccettata, ben lontana dallo stereotipo della “cattiva” priva di profondità.
Non è sempre facile, in un fantasy, trascinare il lettore fuori dalla realtà per immergerlo completamente nel mondo del romanzo. Maria Carla Mantovani ci riesce perfettamente, grazie a una scrittura scorrevole, un ritmo incalzante e personaggi di grande spessore, capaci di offrire anche letture simboliche più profonde.
Un libro consigliato non solo agli appassionati del genere, ma a chiunque voglia perdersi in una storia avvincente e ricca di emozioni.
MARZIA ESTINI
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Tra memoria e storia: il viaggio in “Città sommersa” di Marta Barone

Torino tra le righe

Ci sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia, ma scavano nella memoria, riportando alla luce frammenti di un passato personale e collettivo. Città sommersa di Marta Barone (Bompiani, 2020) è uno di questi: un’opera che intreccia la vicenda privata dell’autrice con la storia della Torino degli anni di piombo, in un viaggio che si muove tra ricerca e ricostruzione.
Finalista al Premio Strega e vincitore del Premio Fiesole Narrativa Under 40, Città sommersa è il primo romanzo per adulti di Marta Barone, già autrice di libri per ragazzi e curatrice dell’opera di Marina Jarre. Il libro nasce da una scoperta casuale: una memoria difensiva appartenente al padre della scrittrice, Leonardo Barone, medico arrestato nel 1982 con l’accusa di aver partecipato a un’organizzazione di banda armata, accusa dalla quale fu poi assolto. Questo ritrovamento innesca un’indagine personale e storica che porta la protagonista, e con lei il lettore, a immergersi in una città che esiste al di sotto della superficie: la Torino della lotta politica, delle illusioni e delle disillusioni, delle speranze e delle sconfitte.
Lo stile della Barone è asciutto, ma ricco di immagini evocative e dotte citazioni che testimoniano il suo profondo legame con la letteratura. Il romanzo si muove tra memoir e reportage, tra la ricostruzione del passato e la riflessione sulla memoria, con una scrittura che oscilla tra la precisione documentaristica e il lirismo della narrazione personale. L’autrice riesce a trasformare una vicenda familiare in un racconto universale, in cui il destino di un uomo diventa specchio di un’intera generazione, di un’epoca segnata da ideali radicali e conflitti sociali.
Uno degli elementi più affascinanti del libro è proprio il modo in cui Marta Barone riesce a restituire la complessità del padre: un uomo pieno di contraddizioni, distante eppure presente, un idealista la cui figura sfuma tra le ombre della storia. La sua ricerca non porta a una verità assoluta, ma apre nuove domande, mostrando quanto la memoria sia sempre un territorio incerto e mutevole. Attraverso documenti, testimonianze e archivi, l’autrice scava nel passato, ma ogni risposta ne genera un’altra, in un processo che mette in discussione la stessa idea di verità e di identità.
Non meno importante è l’ambientazione del romanzo, una Torino che si fa essa stessa protagonista, con le sue trasformazioni urbanistiche e sociali. La città non è solo uno sfondo, ma un’entità viva, capace di riflettere le tensioni di un’epoca, le sue lotte e i suoi drammi. La Torino degli anni Settanta e Ottanta appare come un luogo di fermento e contraddizioni, un crocevia di speranze e disillusioni che emergono nei ricordi della protagonista.
“Città sommersa” è un’opera che chiede al lettore di immergersi, di perdersi nei meandri della memoria e della storia. Un libro che non offre facili risposte, ma invita a interrogarsi sul passato e sul suo impatto nel presente. Una lettura intensa, capace di lasciare un segno, che parla non solo di una storia privata, ma di una generazione e di una città che porta ancora le tracce di quegli anni turbolenti.
MARZIA ESTINI
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