di Pier Franco Quaglieni
La morte a 92 anni a Roma di Giovanni Russo priva il giornalismo italiano di una delle sue figure importanti che tuttavia non sono riuscite a diventare firme note al grosso pubblico dei lettori. Salernitano di nascita, si riteneva lucano come formazione e cultura, anche se da 70 anni abitava a Roma. Ebbe notorietà soprattutto come “meridionalista” ,un termine che l’ultimo Russo diceva che non gli apparteneva .Una volta mi disse, scherzando, che avrebbe querelato di chi lo avesse definito meridionalista. Aveva denunciato con grande lucidità , nel suo primo libro “Baroni e contadini” che raccoglieva gli articoli pubblicati sul “Mondo” di Pannunzio, la grande arretratezza del Mezzogiorno e le profonde ingiustizie sociali che lo portarono a condividere le battaglie di Carlo Levi ,anche se Russo rimase sempre nell’ambito laico-repubblican-socialista e non oltrepassò mai la linea di demarcazione che portò tanti intellettuali democratici a sostenere il PCI, “andando in soccorso al vincitore”, per dirla con il suo amico Flaiano. Va rilevato il fatto, che gli fa molto onore, di aver difeso i valori del Risorgimento sia rispetto a certo sudismo nostalgico di Franceschiello ,sia rispetto alla Lega che vedeva nel Mezzogiorno solo corruzione e assistenzialismo. Russo ebbe anche l’onestà di vedere gli sprechi di certo meridionalismo parolaio e demagogico che creò le famose “cattedrali nel deserto” invece di promuovere il turismo e la cultura come elemento di riscatto dell’economia meridionale.
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Scrivendo “Flaianite” ebbe una maggiore notorietà perché finì di essere l’interprete quasi unico di un genio come Ennio Flaiano che gli dedicò un epigramma che gli diede una sia pur effimera notorietà negli Anni ’50 ,quando vinse il Premio Viareggio che, allora ,era un riconoscimento di grande prestigio :”Alle cinque della sera/sulla piazza di Matera/da una millecento lusso /scende Giovanni Russo,/redattore viaggiante/del Corriere della Sera”/Che successo! Che carriera!”. Di questi versi Russo andava molto fiero, ma Flaiano una volta che gli citai , en passant, Giovannino come lo chiamavamo noi suoi amici, mi disse che il suo intendimento era quello di “sfottere”(mi disse proprio così) la boria del meridionale che era diventato abbiente; mi aggiunse impietosamente che la carriera di Russo si era fermata alla millecento lusso. Sicuramente un giudizio ingiusto perché l’attività di giornalista e anche di scrittore di Russo meritavano e meritano attenzione, anche se non venne mai letto dal grosso pubblico. Era un po’ vanaglorioso, ma si trattava ,tutto sommato, di un peccato veniale. Quando Mario Soldati divenne un po’ troppo anziano e non si muoveva volentieri dalla sua Tellaro,venne nominato vice presidente del Centro Pannunzio e svolse con scrupolo la sua funzione di numero 2. Quando nel 1997 poi Soldati chiese di passare la mano, Russo aspirava alla presidenza, ma venne preferita a lui Alda Croce. Fu imbarazzante per me incontrarlo casualmente in un albergo di Napoli lo stesso giorno in cui ero stato da Alda Croce a comunicarle la notizia della sua elezione a presidente. Russo incassò il colpo, ma non la prese bene. Ovviamente non accettò di restare vicepresidente e si fece da parte.
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Dopo due anni, prendendo spunto da un mio articolo su Croce e la storia contemporanea ,mi attaccò pesantemente sul “Corriere della Sera” ,dicendo che il mio articolo avrebbe fatto arrossire Pannunzio. Evitai di telefonargli. Qualche anno dopo ci trovammo alla biblioteca del Senato per un ricordo di Spadolini e, come se non fosse capitato nulla ,mi salutò e mi abbracciò affettuosamente davanti a Marcello Pera che allora presiedeva il Senato della Repubblica. Ebbe un grande dolore con la morte prematura del figlio e con la fine di un amore importante con una signora svizzera molto avvenente cui Giovannino teneva molto. Scrisse nel 1995 un libretto dal titolo ”Perché la sinistra ha eletto Berlusconi “ in cui analizzò le arretratezze culturali e politiche della gioiosa macchina da guerra occhettiana. Un libretto che anche oggi dovrebbero rileggersi in particolare d’Alema e Bersani. Lo presentammo a Torino e vennero anche Romiti e Bertinotti a parlare del libro . Una volta vidi il limite dell’uomo ,quando venne insieme a Enzo Bettiza a ricordare Pannunzio nel 1998,sostituendo Alberto Ronchey indisposto.Gettò sulla scrivania della segretaria del Centro Pannunzio almeno venti e più scontrini, chiedendo il rimborso anche di cene e caffè consumati a Roma giorni addietro. Quando la segretaria molto imbarazzata gli obiettò che non c’entravano con la sua venuta a Torino(di norma i relatori che parlano al Centro Pannunzio non godono di rimborsi di sorta ),disse che era una vecchietta pidocchiosa perché ai grandi inviati speciali di un grande giornale come il “Corriere” i rimborsi sono sempre forfettari. Solo dopo l’attacco nei miei confronti la segretaria mi disse di quell’episodio. Piccola nota negativa per un uomo che ebbe sicuramente dei meriti giornalistici indiscutibili, anche non adeguatamente riconosciuti. Il suo giornale, il “Corriere della Sera”, gli ha dedicato ieri un grande spazio nelle pagine della cultura, nel silenzio di tanti quotidiani italiani che, nel loro ingiustificato oblìo, sono stati ingiusti verso un giornalista che superava di gran lunga tutti i giornalistini odierni che ci rovinano le serate televisive con le loro meditazioni polemiche ed autoreferenziali da grilli parlanti ,dalla Gruber o da Floris. Rispetto a loro Russo fu grandissimo, ma egli ebbe la sorte di misurarsi con Montanelli, Pannunzio, Flaiano, Longanesi e non poté reggere ad un simile confronto.
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Una volta lui stesso mi raccontò che prese una vignetta di Mino Maccari tra quelle che il maestro disegnava nella redazione del “Mondo” e che aveva scartato, gettandola per terra. Non fu mai protagonista di quella redazione che lui stesso definì il salotto letterario più importante dell’Italia di allora.Era un uomo venuto dal Sud che i raffinati intellettuali del “Mondo” videro sempre con un qualche distacco, anche per il suo vistoso accento meridionale. Russo si distinse invece nel difendere l’eredità di Pannunzio e del “Mondo” con coerenza, opponendosi, sia pure in modo ovattato, all’ invadente vulgata scalfariana”. Al “Mondo erano di casa il barone Francesco Compagna futuro deputato e ministro repubblicano e il proprietario terriero conte Nicolò Carandini. I liberali del “Mondo” non erano così snob come, a prima vista ,sembrava perché anche un altro meridionale, il giovane calabrese Eugenio Scalfari ebbe grande accoglienza delle stanze di via Campo Marzio dove ebbe sede il giornale . Solo i comunisti ritennero quel gruppo degli snob irrecuperabili. Pannunzio ebbe il merito, tra l’altro, di pubblicare i primi articoli di Russo e di farlo conoscere.
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