STORIA- Pagina 49

Un ricordo del grande Pier Luigi Nervi nel giorno della sua nascita

Oggi compirebbe ben 132 anni uno dei più grandi ingegneri ed accademici italiani di tutti i tempi che, con il suo genio costruttivo, ha dato molto a Torino. Parliamo di Pier Luigi Nervi, nato a Sondrio nel 1891 da genitori liguri e morto a Roma nel 1979.

Partendo dal suo personale concetto secondo cui l’arte non è concepibile soltanto come estetica ma anche come pura funzionalità e staticità, portano la sua firma alcune tra le più significative opere architettoniche contemporanee dell’edilizia civile italiana e mondiale. Innovativo nelle sue soluzioni spaziali e strutturali, ogni sua realizzazione racchiude in sé l’innovazione oltre all’ eleganza, alla modernità in risultati sempre nuovi e sorprendenti dovuti anche ai suoi studi su nuove tecniche e nuovi materiali, studi di cui ci ha lasciato importanti scritti.

 


Ricordiamo soltanto alcuni tra i suoi tantissimi lavori: lo stadio di Firenze negli anni 30, i grandi hangar per l’aviazione italiana ad Orvieto degli anni 40, la sede dell’Unesco a Parigi degli anni 50, il grattacielo Pirelli a Milano e la Sala Nervi in Vaticano. A Torino porta la sua firma il salone di Torino Esposizioni al Valentino del 1949 ed il Palazzo del Lavoro anche giustamente ricordato come Palazzo Nervi, del 1960, quando fu eretto per la grande manifestazione di Italia 61. Si tratta di uno dei capolavori dell’architettura edile del Novecento, che ora arrugginito e vergognosamente abbandonato sta cadendo a pezzi senza che si stia facendo alcunché per salvarlo.

Dicono di questo indimenticabile genio italiano che racchiuse in sé l’audacia dell’ingegnere, la fantasia dell’architetto con la concretezza dell’imprenditore. E dicono bene. Auguri quindi a questo grande italiano che le sue opere hanno reso immortale alla memoria collettiva nei secoli.

Patrizia Foresto

Il Diario Italiano di Pier Franco Quaglieni

Diario Italiano è l’ultimo libro di Pier Franco Quaglieni, storico e saggista, colto polemista che ha abituato i lettori a riflettere su testi che brillano per lo spiccato anticonformismo che ne accompagna da sempre l’assoluta libertà di pensiero, riluttante nei confronti della piaggeria e dei condizionamenti che abbondano in gran parte delle pubblicazioni più o meno engagé che affrontano i temi della storia e del costume contemporanei. Risulta di grande interesse la raffigurazione della storia contemporanea attraverso le biografie di questi ventinove personaggi che hanno saputo influenzare le vicende della nazione e del territorio piemontese. Un’ impresa italiana per nulla scontata e assai ardua poiché Quaglieni ha inteso puntualizzare che i personaggi descritti sono solo alcune delle più importanti personalità che hanno impresso il loro segno in questa storia. Eppure il quadro d’insieme che scaturisce è quanto mai interessante, testimoniando una profonda conoscenza e quello spirito libero e critico che da sempre contraddistingue il direttore del Centro Pannunzio. Sono ritratti di personaggi a loro volta scomodi, capaci di intuizioni o imprese non scontate, molto diversi tra loro come, per fare qualche esempio, Giovanni Agnelli e Carlo Donat-Cattin, Alberto Asor Rosa e Luigi Firpo, Frida Malan e Gino Strada, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e Carol Rama. Oltre a queste personalità e ai loro profili tratteggiati vanno segnalati i due contributi finali contenuti nel libro ( Il mio 25 aprile tra ricordi e storia e I conti con il fascismo) dove Pier Franco Quaglieni riprende e affronta la riflessione sui grandi temi delle ideologie novecentesche, dal comunismo al fascismo, all’antifascismo post bellico e odierno, ai sovranismi del Terzo Millennio. Lo fa con le sue opinioni destinate a far discutere, scegliendo deliberatamente di rappresentare anche le ragioni dei vinti “perché una storia scritta dai soli vincitori appare non accettabile”. In fondo tutto il libro riprende la riflessione “su destra e sinistra nella storia del Novecento, andando oltre le contrapposizioni manichee”. Il male e il bene assoluto, secondo l’autore, “sono assolutizzazioni incompatibili con la ricerca e la comprensione storica che esige invece il distacco dai fatti di cui fu capace Federico Chabod nella sua Storia dell’Italia contemporanea del 1950”. La sua scrittura è animata da una passione civile che, come in più occasioni ha avuto modo di sottolineare, affonda le sue radici culturali nel Risorgimento e nei suoi valori ideali. E la passione per la libertà, il piacere del confronto delle idee e della discussione viene esternata con chiarezza, senza il timore di apparire scontroso o persino urticante nell’esprimere i suoi giudizi, pur rispettando le varie posizioni.  Non è del resto una novità per chi conosce la sua ampia produzione culturale, improntata saldamente su alcuni principi come la difesa dell’oggettività storica e l’allergia nei confronti di ogni fondamentalismo, in nome e per conto di una idea di moderno umanesimo che non può che far bene in questi tempi pigri e opachi.

Marco Travaglini

Il tesoro della Città. Tra storia e tecnologia, i simboli di Torino

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica segnala mercoledì 21 giugno 2023 alle ore 18l’incontro di approfondimento, che si terrà all’Accademia Albertina di Belle Arti, Salone d’onore, via Accademia Albertina 6, Torino.

 

L’evento, in collaborazione con Rai CRITS e Palazzo Madama, propone un excursus sulla storia dei simboli dell’identità cittadina, a pochi giorni dalla festa patronale di San Giovanni Battista: dal timpano della chiesa della Gran Madre di Dio alla mazza d’argento di Torino, oggi conservata a Palazzo Madama.

A guidare il pubblico saranno gli interventi diFabio Amerio ed Enrico Zanellati per l’Accademia Albertina e la sua Pinacoteca, diClelia Arnaldi di Balme, conservatrice di Palazzo Madama, e degli ingegneri Davide Zappia e Alberto Ciprian del Centro Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione della RAI, che descriveranno le tecnologie messe a disposizione dell’indagine storico artistica e della sua valorizzazione.

Ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti disponibili

Prenotazione consigliata: 0110897370 –comunicazione@albertina.academy

A Superga riaprirà lo storico ristorante della Posta

Riaprirà il “Ristorante della Posta”. In strada comunale di Superga 323 – nel tratto finale della strada che porta alla Basilica – il piano terra di un edificio di fine Ottocento ha ospitato per decenni un luogo di ristoro per i contadini locali, i viaggiatori e i pellegrini nel contesto di una piazzetta del borgo caratterizzata da una trattoria e un tabaccaio.

L’attività è proseguita sino ai primi anni Settanta del Novecento, poi la chiusura e il cambio di destinazione d’uso a residenziale. Da alcuni anni il locale dell’ex ristorante è sfitto e inutilizzato; un elemento di degrado edilizio che si riflette sul fabbricato e il contesto circostante.

Con il cambio di destinazione d’uso alla funzione originaria approvato oggi all’unanimità dal Consiglio comunale – Legge 106/2011 in materia di costruzione in deroga al piano regolatore generale – i circa cento metri quadri del piano terreno potranno tornare a ospitare il ristoro; un’occasione per riqualificare l’edificio ampliando l’offerta commerciale del borgo in virtù della sua vocazione turistica.

18 giugno, anniversario dei Bersaglieri

Oggi festeggiamo un compleanno davvero importante per noi italiani: la nascita, la fondazione del ” Corpo ” dei Bersaglieri, unità operativa sia per l’esercito sardo allora che per quello italiano oggi . Era il 18 Giugno del 1836 e a Torino Re Carlo Alberto di Savoia emise il ” Regio Viglietto ” con cui ne ufficializzò l’avvenuta nascita. Ma l’idea nacque ad un suo giovane e coraggioso ufficiale, Alessandro La Marmora, che presentò direttamente al Sovrano la sua ” Proposizione per la formazione di una compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per suo uso “. Nacque così la 1a Compagnia del Corpo dei Bersaglieri che è a tutt’oggi una specialità dell’Arma di Fanteria del nostro Esercito, secondo le funzioni di fanteria leggera cui spettava anche il primo contatto con il nemico, con una propria autonomia operativa. Estrema celerità di spostamento con la loro caratteristica marcia di corsa, grande resistenza alle fatiche, una mira impeccabile con la carabina di ordinanza, sicurezza nell’Arma ed in sè stessi, rispetto assoluto per i superiori, tutto questo da sempre venne richiesto ai giovani che entrarono a far parte delle Compagnie nate sul territorio. Sono da sempre decisamente folcloristici e conosciuti anche per il loro cappello piumato che si chiama Vaira, oggi solo in uso per le parate, composto di penne cangianti per motivi mimetici. Considerevoli i loro interventi nella nostra storia: uno per tutti è il loro spettacolare assalto alla breccia di Porta Pia a Roma nel 1870 dopo la caduta temporale del papato e l’avvenuta nascità dell’Unità d’Italia. La nostra città, Torino, nella centrale Via Cernaia ricorda il generale La Marmora con un monumento a lui dedicato.

Patrizia Foresto

Giuseppe Mazzini: troppo avanti per essere attuale

Ricordando la fastosità con cui celebrammo in tutto il Paese i 150 anni dell’Unità d’Italia, confesso che mi sarei aspettato qualche sforzo in più per commemorare lo scorso anno  – a 150 anni dalla morte- Giuseppe Mazzini: l’ideologo perennemente incompreso (ma sempre opportunisticamente sfruttato), colui che definì le basi etiche della nostra repubblica.

Dei quattro protagonisti del Risorgimento, Mazzini dovette vivere il suo sogno da esule, persino da rinnegato, o “magnifico perdente“, come recita il titolo di un bel romanzo di Sonia Morganti a lui dedicato. Non si può certo dire che gli altri procedessero in armonia verso la strada che li portò a raggiungere lo storico traguardo: Vittorio Emanuele e Cavour si detestavano, ma condividevano l’odio per Mazzini… e la tragica prematura morte del Conte ce ne risparmiò le possibili conseguenze. Garibaldi -inizialmente seguace di Mazzini – abbandonò il sogno repubblicano per unire l’Italia sotto la monarchia, ma mai perdonò a Cavour la cessione di Nizza, sua città natale. Nell’aula del Parlamento Subalpino a Palazzo Carignano ancora riecheggiano le pesanti parole rivolte a Cavour dal neo deputato Giuseppe Garibaldi, appena eletto nel collegio di Nizza, che, quand’egli giunse all’emiciclo, non era più italiana…

…Palazzo Carignano, appunto: qui -dove Vittorio Emanuele II nacque, il Conte Camillo Benso di Cavour lavorò intensamente e Garibaldi fieramente inveì- ha sede il Museo Nazionale del Risorgimento, che purtroppo a Mazzini dedica ben poco spazio e considerazione. Da questa istituzione, almeno in occasione dell’anniversario, confidavo un qualche risarcimento postumo, magari nelle sale riservate alle mostre temporanee, che invece ho trovato  occupate da un colorato collage di immagini dedicate al fenomeno di Garibaldi (nel 2022 ricorrevano i 140 anni dalla sua morte) “Icona Pop“: l’Eroe dei due Mondi rappresentato come fenomeno di marketing e brand pubblicitario, insomma.

Questa premessa rende ancor più meritevole l’iniziativa del direttore/fondatore del Centro Studi Mario Pannunzio di Torino Pier Franco Quaglieni, che ha curato la riedizione del saggio sui “I Doveri dell’Uomo“, pubblicato dalla Casa Editrice Pedrini proprio in occasione dei 150 anni dalla morte di Mazzini.

Quaglieni nel libro  ci fa subito notare come la scelta di ricordare in questo modo Giuseppe Mazzini si riveli sempre attuale: lo fu nel centenario, quando già cinquant’anni fa il Centro Pannunzio -allora presieduto da Arrigo Olivetti- decise di promuovere un convegno incentrato sul tema “Mazzini e il marxismo“, una cultura che ai tempi esercitava forte egemonia soprattutto negli ambienti universitari. Il convegno, purtroppo, saltò a causa di elezioni anticipate (allora, come oggi, guarda caso) che distrassero uno degli illustri relatori -Giovanni Spadolini- eletto senatore e “volato” ad altri lidi, quelli che poi segnarono la sua carriera politica.

Il tema scelto era accattivante: Mazzini e Marx si conobbero a Londra, dove erano vicini di casa, e inizialmente sembrava potesse nascere ta loro un’intesa, ma molto presto le posizioni si allontanarono. Ancora nel 1972, ci ricorda Quaglieni, l’ “intellighenzia” imperante filo marxista seguiva le tesi gramsciane che ritenevano Mazzini un “utopista impolitico” che “aveva totalmente svalutato i limiti del marxismo – leninismo e della sua realizzazione storica in Russia che il suo sodale Gobetti aveva definito una “rivoluzione liberale”. Gobetti giunse a teorizzare che Mazzini andasse sostituito da Marx, un’affermazione che lasciò dubbioso anche il gobettiano Norberto Bobbio che aveva rivolto la sua attenzione più a Cattaneo che a Mazzini in un raffinatissimo saggio dedicato alla cultura militante”.

Va detto che Michail Bakunin definì Mazzini “l’essere umano più nobile e più puro che io abbia incontrato in tutta la mia vita“.

Ed ora ci troviamo a dar ragione a Giuseppe Mazzini, troppo spesso inascoltato e troppo poco rivalutato.

Nel saggio pubblicato da Pedrini possiamo leggere un inedito di Renzo De Felice che rimase nell’archivio dei lavori preparatori del convegno: “Mazzini e il Socialismo“, anche queste righe si rivelano adesso premonitorie.

A 150 anni dalla morte, il pensiero di Mazzini potrebbe essere richiamato per contrastare il fenomeno del nazionalismo populista che tanta presa ha nella pubblica opinione.

Mazzini, meglio di ogni altro, seppe interpretare la differenza fra patriottismo e nazionalismo. In una lettera del 1861 ad un corrispondente tedesco scrisse: “chi fa la santa parola di Nazionalità sinonimo d’un gretto geloso ostile nazionalismo commette lo stesso errore di chi confonde religione e superstizione”.

Per “gretto nazionalismo” -scrive maurizio Viroli- “Mazzini intende la perversione del principio di nazionalità”. Il valore della nazionalità degenera in meschino nazionalismo quando si trascura il principio che «la libertà d’un popolo non può vincere e durare se non nella fede che dichiara il diritto di tutti alla libertà».

La Patria é una comunione di liberi e d’uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale. La Patria non é un aggregato, é una associazione. Non v’é dunque veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non v’é Patria dove l’uniformità di quel Diritto é violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze dove l’attività d’una porzione delle forze e facoltà individuale é cancellata“, leggeremo nel saggio sui Doveri.

Recensendo l’ultimo libro di Pier Franco Quaglieni, “La Passione per la Libertà“, scrissi di “un capitolo che non c’è“, ma del cui spirito tutto il libro è permeato. Il saggio è stato redatto in periodo di piena pandemia, quando le nostre libertà venivano spesso limitate dalle responsabilità che avremmo dovuto assumerci per tutelare la salute nostra e dell’intera comunità. “Libertà significa anche responsabilità”: è un concetto ben chiaro a Quaglieni nelle considerazioni che andava stilando. La pubblicazione de “I Doveri dell’Uomo” sembra essere la naturale continuazione del suo percorso di autentico e irreprensibile storico liberale.

Quando Mazzini, nel 1860, pubblicò “I Doveri dell’Uomo” si rendeva naturalmente conto che scrivere di doveri costituiva un argomento impopolare nell’epoca dei “droits“: “un mezzo aleatorio, difficile da proporre a un movimento politico -cito Sauro Mattarelli- non perché fosse superato, ma, semmai, perché si guardava troppo avanti, a una società ideale che non c’era. Erano richieste consapevolezze e responsabilità che raramente si trovano nelle persone; ma, soprattutto, questa teoria si basava (e si basa) su una prospettiva che rompeva con gli schemi concettuali a cui siamo abituati“. E anche oggi potremmo dire lo stesso.

Che Mazzini fosse un utile strumento di propaganda valido per tutte le stagioni lo dimostra l’utilizzo che della sua opera e del suo pensiero è stato fatto nei decenni seguenti la morte: “I Doveri dell’Uomo” venne adottato nella scuola di inizio ‘900 come testo obbligatorio, ma purgato di quelle parti che potevano infastidire la monarchia; il suo pensiero -radicalmente cambiato nelle premesse e profondamente falsificato – passò come base fondativa della dottrina fascista, principalmente tramite il lavoro del filosofo Giovanni Gentile e del giurista Alfredo Rocco, tanto che l’opera originale fu bandita dall’Italia fascista; Luigi Einaudi teneva in bella mostra sulla sua scrivania una lettera autografa di Giuseppe Mazzini “al quale si ispirò per il suo settennato soprattutto nella dimensione del senso educativo che l’istituzione repubblicana comportava” (parole di Carlo Azeglio Ciampi), ma forse anche per mostrare la sua fede all’istituzione repubblicana, lui che aveva votato per la monarchia; Carlo Calenda apre e chiude il suo ultimo libro “La Libertà che non Libera” con citazioni de “I Doveri dell’Uomo“, opera che dichiara essere fonte primaria di ispirazione per la sua attività politica…. Mazzini, insomma, può sempre venire in soccorso per giustificare, corroborare, legittimare e persino indirizzare l’opinione che si vuol comunicare ad interlocutori più o meno autorevoli. Troppo spesso, però, si tratta di citazioni abusive e abusate, stravolte dalla mancanza di quel senso etico che Giuseppe Mazzini seppe dimostrare con la sua esistenza esemplare.

Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, vi opprimono, dove l’esercizio di tutti i diritti che appartengono all’uomo vi è costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi e ciò che si chiama felicità è per gli uomini dell’altre classi, vi parlo io di sacrificio e non di conquista? Di virtù, di miglioramento morale, d’educazione, e non di benessere materiale? È questione che debbo mettere in chiaro, prima di andare innanzi...” Scrive Mazzini, “Libertà vera non esiste senza eguaglianza, e l’eguaglianza non può esistere fra chi non move da una base, da un principio comune, da una coscienza uniforme del Dovere“, aggiungerà.

Con questo spirito abbiamo riletto  “I Doveri dell’Uomo” consapevoli  del pensiero di un uomo che è sempre stato avanti.

Troppo avanti per essere attuale.

EDOARDO MASSIMO FIAMMOTTO
Pannunzio Magazine

Un convegno organizzato dalla Fondazione Firpo sulla figura di Costantino Nigra

 

La Fondazione Firpo organizza  venerdì 16 giugno alle ore 10 un incontro con Gianpaolo Fassino  dell’Università del Piemonte Orientale e con Andrea Pennini dell’Università  di Torino,  con l’introduzione di Claudio  Risso,  dell’Università del Piemonte Orientale.

Presso la Sala Seminari della Fondazione Firpo, in piazza Carlo Alberto 3, al primo piano, si parlerà di “Costantino Nigra. Dalla piccola patria al grande mondo”.

È ben noto il ruolo cruciale svolto da Costantino Nigra a Parigi nella preparazione diplomatica della seconda guerra d’indipendenza,  un ruolo che la letteratura ha trasfigurato fino ad attribuirgli connotati romanzeschi. Si pensi a Salvator Gotta e all’omonimo scenaggiato agli albori della televisione italiana

Nigra diede un contributo di grande rilievo alla costruzione del Regno  d’Italia e continuò  a svolgere importanti funzioni diplomatiche sino alla vigilia della morte, che lo colse all’età di 79 anni.

Meno nota è  la sua attività di letterato e di pionieristico raccoglitore della cultura  popolare piemontese,  che fa di lui uno dei fondatori dell’etnologia e dell’etnomusicologia.

Andrea Pennini e Gianpaolo Fassino si soffermeranno sulle due anime del politico canavesano che, come ha scritto lo storico Umberto Levra, mentre svolgeva la sua delicatissima missione alla corte  di Napoleone III, non trascurava, però, la pubblicazione a puntate a Torino della prima versione ampliata delle Canzoni popolari del Piemonte. L’evento avverrà in collaborazione con la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino.

MARA MARTELLOTTA

 

In mostra nel “Chiostro di San Francesco” a Cuneo preziose miniature

“Tacuinum sanitatis: dalla Cura della Terra alla Salute del Corpo e dell’Anima”

 Illustrazioni tratte da un Codice medievale

Da sabato 17 giugno a sabato 1° luglio

Cuneo

Risalgono al Trecento ma, sotto l’aspetto scientifico, toccano tematiche di grande attualità. Nel complesso sono 32 le preziose miniature ingrandite che descrivono le proprietà medicinali di spezie e cibi – ma anche stagioni, eventi naturali e psichici che incidono non poco sulla salute dell’uomo – contenute nel “Tacuinum sanitatis: dalla Cura della Terra alla Salute del Corpo e dell’Anima”, esposte dal prossimo sabato 17 giugno (inaugurazione, ore 15) a sabato 1° luglio (da martedì a domenica, dalle 15,30 alle 18,30), presso il Chiostro del “Complesso Monumentale di San Francesco”, in via Santa Maria 10 (tel. 0171/634175), a Cuneo. Curatrice, insieme a Maurizio Tulliani, Elena Modena (fondatrice del trevigiano “Centro Studi Claviere” e docente all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia), la mostra, realizzata con il sostegno della “Provincia di Treviso”,  è organizzata da “Maestro Società Cooperativa” di Cuneo e fa parte del calendario di appuntamenti del “Festival Modulazioni. Musica senza tempo” che porta la musica antica nei siti storici della città di Cuneo con una ricca proposta distribuita in quattro fine settimana a partire dal mese di giugno fino al prossimo ottobre. In occasione dell’inaugurazione, sabato prossimoalle 17“InUnum Ensemble” (fondato nel 2003 per la divulgazione del repertorio medievale, in particolare della produzione polifonica sacra dal Duecento al Quattrocento) proporrà il concerto “Laude iocunda / La Musica che sana”, in collaborazione con il “Museo Civico” di Cuneo e il “Centro Studi Claviere” di Vittorio Veneto (Tv). Gli ingressi agli eventi sono gratuiti, fino a esaurimento posti.

Per info e per conoscere il programma completo è possibile consultare il sito www.modulazioni.net, le pagine Fb (www.facebook.com/modulazioni.net) e IG (www.instagram.com/modulazioni) o scrivere a info@modulazioni.net

Spiegano i direttori artistici del Festival, Alessandro Baudino e Paola Cialdella“Sotto il nome di ‘Tacuina sanitatis’ vengono classificati tutti quei manuali di scienza medica scritti e miniati dalla seconda metà del XIV secolo al 1450 circa. L’esposizione consta di 32 pannelli di dimensioni tali da arredare il chiostro in un percorso contemplativo di lettura, ascolto, riflessione. Contenuti, suoni e voci dell’‘InUnum Ensemble’ saranno in armonia con la mostra, portando lo spettatore a fare un tuffo nel passato, che dà lezioni al tempo presente, nel momento in cui siamo chiamati a una speranzosa ricerca di equilibrio per la nostra salute, personale e sociale. Un’esperienza da vivere”.

In una fase storica di scambievoli incroci di civiltà (fra mondo greco, arabo, latino ed ebraico – cristiano) il “Tacuinum” esposto a Cuneo documenta, in modo essenziale, come l’attenzione alla salute, anche psichica, trovi forti radici nell’alto Medioevo “che riconducono – sottolinea la curatrice della rassegna, Elena Modena –   alle sottili riflessioni sul tema proposte dai Padri della Chiesa e dai monaci del deserto, per trovare, poco dopo il Mille, ulteriore elaborazione negli scritti di Corrado di Hirsau, Ugo di san Vittore, Ildegarda di Bingen, in particolare entro il tema del contrasto tra vizi e virtù letto in chiave psicologico-comportamentale”“Nel ‘Tacuinum’ – ancora Modena – lo sguardo aperto alle esigenze del corpo e dell’anima, che arriva a includere le emozioni, il movimento fisico, la musica in ogni sua forma pratica, mantiene questa visione armonica della creatura umana, fatta di evidente complessità, basata a sua volta su intrecci di equilibri soggetti a cambiamento con il mutare delle stagioni, dei venti, dell’età, dell’alimentazione e delle dinamiche relazionali e sociali”.

g.m.

Torino che non c’è più: immagini e stranezze mai viste

TORINO CHE NON C’È PIÙ

9 giugno – 29 settembre 2023

 

E’ stata inaugurata il  9 giugno, in occasione della Notte degli Archivi, la mostra dal titolo Torino che non c’è più. Curiosità, stranezze e immagini mai viste. Nelle sale dell’Archivio Storico della Città di Torino saranno esposti, fino al 29 settembre, oltre 200 pezzi tra fotografie, documenti e disegni che immortalano fatti storici e avvenimenti stravaganti della Torino di ieri e di oggi.

Tra i documenti più rari, sarà esposto per la prima volta il progetto originale di Alessandro Antonelli della cuspide della Mole, con il genio alato che dal 1889 sormontò la cupola fino al 1904, quando fu abbattuto da un uragano e sostituito con l’attuale stella. Si potrà ammirare anche il dagherrotipo del 1850 che ritrae Fritz, l’elefante indiano di re Carlo Felice che viveva nei giardini della Palazzina di Caccia di Stupinigi, o la foto della giraffa che transitò in via Roma nel 1955. Al Teatro Regio, in occasione del cinquantennale dalla ricostruzione, l’Archivio Storico dedica un’ampia sezione della mostra, dall’incendio che distrusse il teatro l’8 febbraio 1936 alla serata inaugurale del nuovo Regio il 10 aprile 1973. Infine, una serie di fotografie storiche e contemporanee mette a confronto il passato e il presente di decine di luoghi della città.

La mostra allestita all’Archivio Storico della Città di Torino (via Barbaroux 32)  potrà essere visitata dal 9 giugno al 29 settembre, con orario lunedì-venerdì 8.30-16.30. Apertura straordinaria venerdì 9 giugno dalle 18 alle 23. Ingresso gratuito.

 

Info: www.comune.torino.it/archiviostorico

Scarica alcune foto della mostra al seguente link: https://bit.ly/torinochenoncepiu

  • incendio del teatro Regio, febbraio 1936
  • inaugurazione del Teatro Regio, 10 aprile 1973
  • Palazzo Madama con l’Osservatorio astronomico, inizio Novecento
  • Progetto della guglia della Mole di Alessandro Antonelli, 1888
  • Sulla Mole viene posizionata la stella, 31 gennaio 1961
  • Torino porto di mare, progetto del 1865
  • Una giraffa in via Roma, 10 settembre 1955
  • Un gregge in via Pietro Micca, 1939
  • Un tram deragliato e sospeso sulla Dora, 25 maggio 1960

Il racconto di Federica Fulco, “Guerra non è libertà”

Tratteggia la storia d’Italia attraverso le due guerre mondiali

Guerra non è libertà è un racconto di Federica Fulco, in cui l’autrice tratteggia la storia d’Italia anche attraverso il racconto dei nostri nonni e non soltanto da ciò che è stato ricavato dai libri di scuola.

“Guerre dove protagonisti – afferma l’autrice- erano giovani uomini, giovani soldati mandati a combattere. Uno di questi era il fratello di mia nonna, Antonio Marengo, caduto in guerra disperso sul fronte russo. Mia nonna, Maria Maddalena Marengo, era l’ultima di undici fratelli e sorelle nata a Cherasco nel 1914 e mancata nel dicembre del 2018 all’età di 104 anni. Ricordo molto bene quando, da piccola, mi facevo raccontare il periodo della guerra che aveva vissuto.

Mi raccontava che durante la guerra la caserma occupata dai tedeschi era poco distante dalla loro Cascina e spesso andavano a fare dei veri e propri assalti da loro, anche mentre erano a tavola per vedere se nascondevano delle armi, oppure se fosse nascosto qualche partigiano”.

Un racconto questo in cui emergono limpidi i racconti della nonna nativa di Cherasco, accompagnati da particolari tratti dai testi di storia, quali i dati dei Ministero della Difesa, che forniscono cifre impressionanti di 84 mila e 830 soldati morti o dispersi, dei quali di ben 30 mila non si conosce il destino. Secondo la nonna dell’autrice del racconto, molti morirono soprattutto per congelamento.

MARA MARTELLOTTA