STORIA- Pagina 26

“Gatto Selvaggio”, Romolo Gobbi 60 anni fa a Mirafiori

26 luglio 1963 …26 luglio 2023. Sono passati 60 anni che sembravano un’eternità.

Romolo Gobbi, studente all’ultimo anno di giurisprudenza, diffondeva davanti ai cancelli della
Mirafiori un giornale, di cui era direttore, dall’emblematico titolo “Gatto Selvaggio”.
Riprendeva lo scontro sociale a Torino.
Giusto un anno prima alla Fiat si era ripreso a scioperare per il contratto di lavoro e l’egemonia
Vallettiana stava venendo meno.
Vittorio Valletta si era fatto un proprio sindacato SIDA, soprannominato sindacato giallo. Anni di
conflitto, anni di crescita sociale e direi anche di crescita culturale.
Torino, Città Fabbrica, produceva tante automobili, ma anche una nuova classe politica che
avrebbe avuto nel ‘68 il suo punto più alto nella contestazione. Direi conflitto costruttivo perché
produceva. Proprio così, produceva qualcosa di positivo per il dopo.
Romolo Gobbi, come scrisse il giornale ABC, figlio della buona borghesia Torinese era anche
Direttore del Gatto Selvaggio, attirando gli strali della magistratura e della politica, in particolare
dei politici del PCI. Precisamente era considerato amico da una parte dei dirigenti comunisti
sindacalisti come Sergio Garavini o Vittorio Foa, e visto come fumo negli occhi da Adalberto
Minucci, allora Segretario provinciale, che in un articolo sull’Unità gli diede del prezzolato. In poche
parole, accusò Romolo Gobbi di essere al libro paga della Fiat per gettare scredito sul movimento
operaio. Affermazione falsa, totalmente falsa. Ovviamente si poteva essere o non essere d’accordo
con quello che diceva Romolo. Non cadendo (forse volutamente) nel dileggio si rimane nel
confronto politico sulle idee. Un gruppo di iscritti alla FGCI contestò le affermazioni pesanti di
Minucci.
Tra i firmatari il mio amico Marco Moratto, sedicenne con il pallino della politica. Fu espulso dalla
Federazione Giovani Comunisti. Anni dopo rientrò nel PCI, con la sua proverbiale scettica
intelligenza.
Ma alla fine cosa contestavano a Romolo Gobbi? Di essere favorevole al sabotaggio in fabbrica. Più
che una esaltazione, la sua era una costatazione, anzi si auspicava il passaggio dal sabotaggio alle
forme di lotta come il gatto selvaggio. Concretamente squadre di operai si astenevano 15 minuti a
turno di fatto bloccando per l’intera giornata la catena di montaggio. Il minimo sforzo con il
massimo risultato. Era una forma di lotta osteggiata dal sindacato, ma sicuramente più apprezzata
dagli operai. Anni dopo, in un documentario RAI sulle lotte operaie per il contratto di lavoro, gli
operai intervistati, a maggioranza, si dichiararono favorevoli agli scioperi a gatto selvaggio. Del
resto, è la nostra stessa Costituzione a prevedere il diritto di sciopero, indipendentemente dalla
forma.
Comunque Romolo si beccò 10 mesi, condannato per apologia di reato. Venne assolto dal più
grave reato di istigazione a delinquere. Venne difeso dall’Avvocato Guidetti Serra, che aveva dato il
placet alla stampa del Gatto Selvaggio, dal momento che più nessuno era stato condannato per
apologia di reato a mezzo stampa sin dalla caduta del Fascismo.
Poi… di fatto fu una ” medaglia ” che si è portato dietro tutta la vita.
Si laureò un anno dopo tra gli strali del Preside di giurisprudenza che lasciò l’aula come segno di
disapprovazione verso Romolo Gobbi e i contenuti della sua tesi.
Ora? Tanti ricordi…ma non solo.
Romolo sta rivivendo un terza se non quarta giovinezza a 86 anni. Ed in fondo anche noi che non
siamo più giovani e siamo stati suoi studenti. E non solo ricordi ma anche la presunzione d’essere
stati protagonisti di un pezzettino di Storia della nostra Città. Così ai primi di ottobre presso la
libreria Trebisonda- via Sant’Anselmo 22- si terrà la presentazione del suo libro: Come eri bella
classe operaia. Insomma, il nostro professore Romolo Gobbi non molla.
PATRIZIO TOSETTO

Appuntamenti in quota con la Storia a Bardonecchia

 

UFFICIO DEL TURISMO DI BARDONECCHIA

PRENDE IL VIA GIOVEDI’ 3 AGOSTO 2023 LA 3^ EDIZIONE. QUATTRO GIORNATE ALLA SCOPERTA DELLE OPERE MILITARI DEL VALLO ALPINO E DELLE FORTIFICAZIONI

Anche quest’anno su proposta di Turismo Torino e Provincia, Ufficio del Turismo di Bardonecchia, con il patrocinio ed il contributo della Civica Amministrazione, la collaborazione con l’Associazione Monte Chaberton e con le Guide Alpine Valsusa, sull’onda del successo degli ultimi due anni, prende il via giovedì 3 agosto la terza edizione di “Alla scoperta delle opere militari del Vallo Alpino e delle fortificazioni di Bardonecchia. Appuntamenti in quota con la storia”.

Occasione imperdibile per residenti, turisti e villeggianti di ripercorrere nei tre giovedì e nell’ultimo mercoledì del mese, 3, 10, 17 e 23 agosto, in piena sicurezza, grazie alla costante presenza delle Guide Alpine Valsusa di Bardonecchia, le antiche vie militari alla scoperta della storia delle numerose fortificazioni ottocentesche e del Vallo Alpino presenti nella Conca di Bardonecchia.

Forma di turismo, sempre più praticata che si avvale della disponibilità e delle competenze acquisite negli anni dai soci dell’Associazione Monte Chaberton, presieduta da Davide Corona, bravi nel dare contenuti storici alle escursioni ludiche e didattiche, fornire puntuali informazioni volte a far conoscere, apprezzare e approfondire la storia e gli aspetti tecnici di quaranta e più straordinarie opere di ingegneria militare situate a presidio del confine di cui talvolta se ne ignora l’origine, lo scopo e l’esistenza.

Progetto articolato in quattro escursioni sul territorio italiano, diverse da quelle proposte la scorsa estate con quota d’iscrizione di € 11,00 a persona, con prenotazione entro le ore 17.00 del giorno precedente l’uscita guidata e con ritrovo di fronte all’ Ufficio del Turismo in Piazza Valle Stretta 1, presso i locali del Palazzo delle Feste, in abbigliamento adeguato ad una camminata in montagna, con zaino, pranzo al sacco e scorta d’acqua.

Spostamenti con mezzi propri e rientri entro le ore 17.30.

Programma:

Giovedì 03 agosto: Forte del Foens, con partenza dalla borgata Le Broue, ritrovo ore 08.30, dislivello 500 mt. circa, difficoltà facile;

Giovedì 10 agosto: Valle del Frejus (Caserme 32-33 e Centro 44) ritrovo ore 08.30,

dislivello 450 mt. circa, difficoltà facile/media;

Giovedì 17 agosto: Pian del Colle-Colle della Scala (Centri 37-36bis ed eventualmente 37bis e 37ter), ritrovo ore 8.30, dislivello 400 mt. circa, difficoltà facile/media;

Mercoledì 23 agosto: Valle di Rochemolles (Centro 64) ritrovo ore 8.30, dislivello 600 mt. circa, difficoltà facile/media.

Per maggiori informazioni e prenotazioni: Ufficio del Turismo di Bardonecchia, Piazza Valle Stretta 1 (presso il Palazzo delle Feste), telefono + 39 0122.99032.

 

Triora, il paese delle streghe

Misteri e leggende nell’entroterra ligure

La Liguria è una meta estiva molto apprezzata. Con le sue bellissime spiagge, i deliziosi luoghi di villeggiatura, ad un passo da Torino (lavori stradali permettendo), è una valvola di sfogo naturale dalla nostra città continentale verso il blu del mare, i bagni e il relax, in poche parole questa regione per i piemontesi, e non solo, è sinonimo di vacanza.

Oltre alle località prettamente marine che amiamo raggiungere soprattutto nel week end per affrancarci dal caldo urbano, ci sono piccoli paesi e borghi che meritano assolutamente una visita, anche durante le altre stagioni. Tra questi c’è Triora, un centro medievale avvolto dal mistero e da storie che narrano di magia e sortilegi.

Arroccato a circa 800 metri sopra la riviera ligure di ponente, in provincia di Imperia, questo gioiello che si affaccia sulla Valle Argentina è popolato da poco più di 200 persone. Tria-Ora, il nome originario che vuol dire le tre bocche e rappresenta i tre prodotti alimentari tipici del luogo (vite, castagno e grano), è famoso per i suoi paesaggi montani e i meravigliosi boschi che lo circondano ma soprattutto per la sua storia, quella tra il 1585 e il 1589, che lo ha fatto divenire il Paese delle Streghe.

Nel sedicesimo secolo a Triora, infatti, ci furono diversi terribili eventi, pestilenze e carestie, e una ventina di donne furono accusate di procurare siccità, morte del bestiame e persino di mangiare i bambini; forti di questa convinzione i cittadini decisero di processare queste fattucchiere che furono giudicate dall’Inquisizione e torturate per costringerle a confessare, alcune di esse arrivarono addirittura al suicidio per sfuggire alle crudeltà a cui furono sottoposte. Diverse case vennero trasformate in prigioni e Triora, a causa questi eventi legati a malefici incantesimi, fu chiamata la “Salem d’Italia” e divenne famosa in tutta la penisola.

La storia di questo adorabile paesino, avvolto dalle montagne, è inevitabilmente legata a questi eventi macabri, ogni angolo, ogni strada o luogo rimanda, infatti, alle famose streghe con suggestivi dipinti murali, statue, ma anche oggetti, tarocchi e i famosi cioccolatini “il bacio della strega”. Ogni anno, per ricordare i magici incantesimi delle megere, la prima domenica dopo ferragosto si celebra la “Strigora” durante la quale un corteo di streghe (si fa per dire) raggiunge un edificio, la Cabotina, dove sembra che queste ultime ,nel periodo malefico, si riunissero . Il Museo di Etnografia e Stregoneria, oltre all’esposizione di una ricreazione della vita contadina del passato, raccoglie alcuni documenti relativi ai processi, ricostruzioni degli interrogatori e delle torture.

Triora, oltre alla sua storia di magia nera, è considerato uno dei borghi più belli d’Italia grazie alla sua posizione, allo scenario in cui è incastonato, alle sue mura di cinta, ai suoi meravigliosi panorami, ai resti del castello ma anche per alcune attrazioni come la chiesa di San Bernardino, nota per i suoi affreschi del 400, i portali di ardesia, Palazzo Stella, la Collegiata e la Fontana Soprana.

Maria La Barbera

Per maggiori informazioni:

www.trioradascoprire.it

http://www.comune.triora.im.it

Collodi e l’invenzione di Pinocchio

Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini, nacque a Firenze il 24 novembre del 1826 e divenne celebre come autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Il padre Domenico era un cuoco e la madre, Angiolina Orzali, una domestica, entrambi a servizio dei marchesi Ginori. Angiolina era originaria di Collodi , frazione di Pescia, nel  pistoiese.

Fu proprio il nome del paese natale della madre ad ispirare a Carlo lo pseudonimo che lo rese famoso in tutto il mondo come autore di Pinocchio. A diciotto anni il giovane Lorenzini  entrò in contatto con il  mondo dei libri come commesso nella libreria Piatti a Firenze e un anno dopo, nel 1845, ottenne una dispensa ecclesiastica che gli permise di leggere l’Indice dei libri proibiti . La passione per la lettura lo indusse a cimentarsi con la scrittura e iniziò a redigere recensioni e articoli per La Rivista di Firenze.

Allo scoppio della Prima guerra d’indipendenza, nel 1848, Lorenzini si arruolò volontario combattendo contro gli austriaci al fianco di altri studenti toscani a Curtatone e Montanara. Tornato a Firenze fondò una rivista satirica Il Lampione che subì ben presto la censura, cessando le pubblicazioni. La passione non venne meno, impegnandolo in un’intensa attività culturale nel campo dell’editoria e del giornalismo, dove si occupò di letteratura, musica e arte. Trentenne, nel 1856, durante la sua collaborazione con la rivista umoristica La Lente, iniziò a firmarsi con lo  pseudonimo di Collodi e a pubblicare i primi libri. Allo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza non si tirò indietro, partecipandovi come soldato regolare piemontese nel Reggimento Cavalleggeri di Novara. Terminata la campagna militare fece ritorno a Firenze, occupandosi di critica teatrale. Invitato dal Ministero della Pubblica Istruzione a far parte della redazione di un dizionario di lingua parlata, il “Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze”, si impegnò con slancio e  passione in questa nuova impresa culturale. Il suo approccio al mondo delle favole iniziò all’alba dei cinquant’anni quando ricevette dall’editore Paggi il compito di tradurre le fiabe francesi più famose. Collodi non si limitò ad una pura e semplice opera di traduzione, effettuando anche l’adattamento dei testi integrandovi una morale. Un lavoro di grande interesse che venne poi pubblicato sotto il titolo I racconti delle fate. Nel 1877 apparve Giannettino, il primo di una lunga serie di testi per l’educazione dei più giovani che spaziavano dalla geografia alla grammatica e all’aritmetica .

Questa serie di libri faceva parte della Biblioteca Scolastica dell’editore Felice Paggi: un libro era venduto a due lire e, se era legato in tela con placca a oro, il prezzo saliva a tre. Sia questa serie che il successivo Minuzzolo anticiparono di fatto la nascita di Pinocchio. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del periodico per l’infanzia Giornale per i bambini (praticamente l’archetipo dei periodici italiani per ragazzi) uscì la prima puntata de Le avventure di Pinocchio con il titolo Storia di un burattino. Due anni dopo, raccolte in volume e arricchite dalle illustrazioni di Enrico Mozzanti, le vicende del burattino che voleva diventare un bambino in carne e ossa vennero pubblicate quasi in contemporanea con la sua nomina a direttore del periodico che ne aveva anticipato il testo. Carlo Lorenzini, ormai per tutti Collodi, morì a Firenze nel 1890 dove riposa nel cimitero delle Porte Sante. Pinocchio, nonostante abbia compiuto il suo 140° compleanno, è ben vivo e vegeto: pubblicato in 187 edizioni, tradotto in 260 lingue o dialetti, protagonista di film, cartoni animati e sceneggiati, riprodotto in mille maniere. In molti hanno provato a catalogarne significati e morali per spiegarne l’incredibile longevità e freschezza. Per Italo Calvino Pinocchio è stato l’unico vero protagonista picaresco della letteratura italiana, proposto in forma fantastica; le sue avventure rocambolesche, a volte scanzonate, a tratti drammatiche, rimandano alla letteratura di genere che ebbe origine in Spagna con  Lazarillo de Tormes e il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, l’opera che segnò la nascita del moderno romanzo europeo.

A noi che lo incontrammo da piccoli e che imparammo ad amarlo piace pensarlo all’Osteria del Gambero Rosso, seduto in compagnia del Gatto e della Volpe, mentre fugge con Lucignolo nel paese dei Balocchi e finisce per trasformarsi, dopo cinque mesi di cuccagna, in un asinello. Mastro Ciliegia, Geppetto, il Grillo Parlante, Mangiafuoco e la Fata Turchina lo accompagnano fin quando smette di essere un burattino e diventa un ragazzo in carne ed ossa. Pinocchio è ben più che un libro per bambini perché ci aiuta a non perdere il contatto con la fantasia, nutrendo la creatività. Come ricordava Gianni Rodari, non vi è nulla di più sbagliato che etichettare la fantasia come “roba da bambini”; al contrario, dovremmo accoglierla, svilupparla ed utilizzarla per conoscerci e vivere meglio.

Marco Travaglini

Palio di Susa, vince il Borgo dei Nobili

Nell’epoca di maggior splendore della corte segusina, a metà dell’XI secolo, si svolgevano gare e feste in onore della Contessa Adelaide di Susa e del consorte Conte Oddone di Savoia, figlio del capostipite della dinastia dei Savoia Umberto I Biancamano.
I tornei, nell’arena romana di Susa, erano in pratica il divertimento preferito dai Signori del Medioevo e in questo modo si festeggiavano le vittorie, le nozze o l’arrivo di principi da terre lontane. Ma si trattava di vere e proprie battaglie che spesso finivano in spargimenti di sangue con morti e feriti. L’eccessiva violenza che si vedeva in questi tornei costrinse la Chiesa ad intervenire e a declassare la manifestazione in un avvincente ma semplice gioco davanti ai sovrani e al popolo.
A vincere non era il più crudele ma il più abile e coraggioso. I cavalieri per la Giostra del Saraceno, gli arcieri per il tiro con l’arco, gli atleti per il tiro alla fune sono le prove in cui si sfidano oggi i borghigiani con i costumi d’epoca. Intanto, dall’altra parte della cittadina, laContessa Adelaide e Oddone di Savoia sono usciti dalla Cattedrale di San Giusto accompagnati da dame, damigelle, scudieri e sbandieratori applauditi da centinaia di segusini festanti. Dopo la Santa Messa e la benedizione del Palio dei borghi è seguita la sfilata per le vie di Susa e nel pomeriggio il corteo storico ha raggiunto l’Arena Romana dove si sono svolti i giochi. Il vincitore, il Borgo dei Nobili, è stato premiato dalla contessa Adelaide con il Palio di Susa 2023. E’ stata una domenica di grande festa per i Segusini che hanno dato vita al Torneo storico dei sei Borghi cittadini, edizione 2023, una rievocazione storica che prende spunto da spettacoli messi in scena intorno all’anno 1050 in onore del Conte Oddone di Savoia e della Contessa Adelaide di Susa, il personaggio principale.
Nato nel 1987 per iniziativa della Pro Susa, il torneo storico dei borghi si svolgeva anticamente in primavera e le gare sportive erano le manifestazioni più apprezzate dal popolo del Medioevo. Dagli anni Ottanta si tiene invece a luglio.
                                         Testo e foto di Filippo Re

Avvenne oggi 532 anni fa. La posa della prima pietra del Duomo di Torino

 

Era il 22 Luglio del 1491: Torino ed i suoi abitanti quel giorno assistettero ad un importante evento che cambiò l’aspetto cittadino ed anche le loro quotidiane abitudini.

Si stava per concludere un secolo, il lontano Quattrocento, con la costruzione dell’unica opera rinascimentale in territorio taurinense, sulle tracce del pensiero architettonico del Brunelleschi, la cattedrale di S. Giovanni Battista a tre navate suddivise da pilastri cruciformi, il Duomo di quella che divenne secoli dopo la prima capitale d’Italia. Fu un grande cantiere per quel tempo i cui lavori si conclusero in sette anni, non molti se si pensa alla totale manualità dell’impresa. Fu la giovane duchessa Bianca di Savoia a porre la prima pietra in quella lontanissima mattinata estiva mentre bisognerà attendere il 1505 per la consacrazione di quella che sicuramente fu agli occhi di tutti un’opera avveniristica e così lontana dal gusto gotico che imperava allora. Immaginiamo la giovane ed esile duchessa nel suo abito dorato con quel suo strascico appena accennato, il taglio vita alto, l’ampia scollatura rotonda, il broccato leggero estivo con pietre dure attorno allo scollo, alle ampie maniche e le perle nei capelli oltreché sul suo esile diafano collo, intenta a espletare un compito che sarebbe passato alla storia sotto gli occhi dei notabili, del clero, dei cittadini di ogni condizione ed età, giunti di buon mattino per non perdersi l’evento di cui si parlava da tempo.

Va detto che per erigere il Duomo furono sacrificate tre chiese medievali contigue, certamente vetuste ma molto care ai torinesi ed alle loro tradizioni. Erano luoghi di culto dedicati al Salvatore, a S. Giovanni Battista e a S. Maria, con ricordi di S. Massimo, reliquie di S. Orsola oltre, si diceva allora, alla mandibola del Battista mentre la terza chiesa, dedicata a Maria, ricordava quella romana edificata dopo il Concilio di Efeso. Tre luoghi di culto che furono anche teatro di assassinii, morti ed altri fatti cruenti come anche allora avvenivano frequentemente. La costruzione del Duomo fu fortemente voluta dai Savoia e dall’allora vescovo di Torino, il Cardinale Domenico della Rovere. La direzione dei lavori ed i disegni furono affidati all’architetto, ingegnere e scultore toscano Amedeo di Francesco da Settignano, detto Meo del Caprino che lavorò prima a Ferrara poi a Roma in Vaticano alla Loggia dei penitenzieri ed infine a Torino oltreché nella vicina Carmagnola, presso la bellissima chiesa nel cuore del centro storico, dedicata a S. Agostino. Fu proprio questo artista a sovvertire l’architettura legata al gotico d’oltralpe per portare a Torino la cultura rinascimentale già ben nota nella Toscana di allora. I documenti dell’epoca riportano che nel 1492 avvenne un primo pagamento ” magistro Amedeo de Septignano fiorentino architectori et magistrato fabricae ecclesiae Taurinensis “. Da gotica a rinascimentale per i torinesi dovette essere un passaggio che destò non poco stupore e si può immaginare per un attimo il loro sconcerto quando videro demolire tre chiese a loro tanto care per far posto ad un edificio completamente rivoluzionario. Basti ricordare l’arrivo in città dei due recenti grattacieli che furono oggetto per anni di discussioni e di differenze di pensiero per tanti torinesi di oggi. Coevo del Duomo è il campanile, quasi a ridosso dei resti del Teatro Romano, con la sua cella campanaria.

Subì un rimaneggiamento sopraelevandolo in altezza sotto Vittorio Amedeo II. Si dovrà attendere il Seicento per assistere agli ampliamenti guariniani ed alla costruzione della famosa cupola del grande Guarino Guarini oltre all’arrivo a Torino da Chambery del sacro telo sindonico ed alle vicende ad esso collegate. Qui si è inteso puntare l’attenzione sulla quattrocentesca nascita del Duomo di Torino lasciando ad un prossimo nostro approfondimento tutto il periodo che la cattedrale e con lei i torinesi vissero dal Seicento guariniano ad oggi.

Patrizia Foresto

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

21 – 27 luglio 2023

 

VENERDI 21 LUGLIO

Venerdì 21 luglio ore 16.30

VITA, CIBO E DIVERTIMENTO A BISANZIO

Palazzo Madama – visita guidata tematica

La mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario allestita a Palazzo Madama non consente soltanto ammirare sculture, mosaici, oggetti e monete, ma offre l’opportunità di indagare la vita, le abitudini e le peculiarità di una civiltà a noi meno nota. Imperatori, aristocrazia e clero sono le gerarchie meglio conosciute, ma è sicuramente interessante scoprire la vita quotidiana di quella società. Quali erano le fiere di strada e di piazza che animavano città e vie? Quali spettacoli si allestivano nell’ippodromo? E ancora, quali cibi, interessi e abitudini condividevano?

La visita tematica proposta avvicina a quel mondo e offre interessanti approfondimenti.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

MERCOLEDI 26 LUGLIO

 

Mercoledì 26 luglio ore 17

NON È TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA

MAO – attività per famiglie

L’attività prende avvio dalla visita della nuova mostra Metalli sovrani. Le incisioni e gli sbalzi presenti sui preziosi oggetti esposti provenienti da The Aron Collection saranno lo spunto per l’attività di laboratorio, che prevede la realizzazione di lastrine di rame decorate con la tecnica a sbalzo.

Prenotazione obbligatoria: 011-4436927 – maodidattica@fondazionetorinomusei.it

Costo laboratorio €7 a bambino; adulti ingresso ridotto alle collezioni permanenti.

 

Mercoledì 26 luglio ore 19

ARUSHI JAIN. Elettronica contemporanea e classici raga indostani amalgamati in un’armonia perfetta.

MAO – concerto nell’ambito del public program di Buddha10 Reloaded

Arushi Jain è cantante e produttrice, nonché ingegnere, con una visione non ortodossa e risolutamente DIY di una tradizione secolare. Le sue composizioni infatti si ispirano ai raga classici indostani, esplorati però tramite una lente ed un’estetica contemporanee e molto attuali.

Jain è cresciuta a Delhi, dove è stata esposta alla musica classica indiana e alla musica tradizionale locale sin dalla giovane età. Successivamente si è trasferita in California per studiare informatica alla Stanford University, dove è stata introdotta ai suoni e alla sintesi generati dal computer presso il Center for Computer Research in Music and Acoustics (CCRMA).

La sua musica è una reinterpretazione unica di due mondi contrastanti. Gli antichiraga dell’India settentrionale vengono da lei re-immaginati e suonati con strumenti e tecnologie che ha appreso nella Bay Area.

Il suo ultimo album Under the Lilac Sky è stato pubblicato su Leaving Records nel luglio 2021 ed è stato nominato Global Album of the Month del Guardian, oltre ad aver ottenuto recensioni entusiastiche su Pitchfork, Bandcamp, Boiler Room, Ableton, Resident Advisor, FACT, Crack, DJMag e molti altri.

Recentemente è stata inclusa nella prestigiosa lista musicale di Forbes 30 under 30.

I biglietti sono acquistabili presso la biglietteria del museo e su Ticketone.

 

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 1. Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Ogni periodo storico è caratterizzato da un proprio particolare sentire, da scoperte e personaggi che ne delineano i tratti distintivi e, soprattutto, da forme artistico-letterarie-culturali che lo identificano. In questa serie di articoli voglio approfondire una peculiare corrente artistica, permeata di linee curve, con ornamenti di vetri e di pietre, uno stile che non solo interessò tutte le arti, dall’architettura, all’illustrazione, all’artigianato, all’oreficeria, ma divenne quasi un “modo di vivere”: il Liberty. Verso la fine del secolo XIX e l’inizio del XX nasce in Belgio un importante movimento, chiamato Art Nouveau che, opponendosi a tutte le accademie neoclassiche e neobarocche, applica la produzione industriale a forme d’arte, interpreta la linea con dinamismo espressivo, propone partiti decorativi che rompono con la fissità e danno movimento a pavimenti, scale, ringhiere, soffitti, modellano e curvano le pareti esterne, procurando vivacità e colore all’insieme. Tale movimento, che unifica in quei decenni lo slancio architettonico di tutta Europa, giunge in Italia con il nome di Liberty o Floreale, stile che ama applicare all’architettura ricercate forme decorative, spesso desunte dalla natura vegetale.  L’Art Nouveau influenza le arti figurative, l’architettura, le arti applicate, la decorazione di interni, gioielleria, mobilio, tessuti, oggettistica, illuminazione, arte funeraria, e assume nomi diversi, ma dal significato affine, a seconda dei luoghi in cui essa si manifesta: Style Guimard, Style 1900, Scuola di Nancy, in Francia; Stile Liberty, dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Lasemby Liberty, o Stile Floreale, in Italia; Modern Style in Gran Bretagna; Jugendstil (“Stile giovane”) in Germania; Nieuwe Kunst nei Paesi Bassi; Styl Mlodej Polski (“Stile di Giovane Polonia”) in Polonia; Style Sapin in Svizzera; Sezessionist (Stile di Secessione”) in Austria; Modern in Russia; Arte Modernista, Modernismo in Spagna. Alla base del movimento vi è l’ideologia estetica anglosassone dell’Arts and Crafts di William Morris, fervido sostenitore della libera creatività dell’artigiano come unica alternativa alla meccanizzazione: una sorta di reazione alla veloce industrializzazione del tardo Ottocento. Arts and Crafts si volge alla riforma delle arti applicate portando avanti un’istanza sociale e morale che persegue il risorgere della produzione artigiana e l’attento studio del gotico come l’arte più dotata di spirito organico, volta a delineare planimetrie e forme “descrittive”, elementi nei quali l’indirizzo critico vuole vedere i germogli del rinnovamento architettonico.

L’Art Nouveau apre la strada all’architettura moderna e al design. Determinante per la diffusione di quest’arte è sicuramente l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, tuttavia anche altri canali ne segnano l’importanza: ad esempio la pubblicazione di nuove riviste, come L’art pour tous, e l’istituzione di scuole e laboratori artigianali. La massima diffusione del nuovo stile è comunque da rapportarsi all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902, in cui vengono presentati progetti di designer provenienti dai maggiori paesi europei, tra cui gli oggetti e le stampe dei famosi magazzini londinesi del noto mercante britannico Arthur Lasemby Liberty. La nuova linea artistica, in rottura con la tradizione, è presente nelle grandi capitali europee, come Praga, con la grande figura di Moucha, Parigi in cui Guimard progetta le stazioni per la metropolitana, Berlino, dove nel 1898 i giovani artisti si dissociano dagli stili ufficiali delle accademie d’arte, intorno alla figura di Munch, Vienna, dove gli artisti della secessione danno un nuovo aspetto alla città.  Una delle caratteristiche più importanti dello stile, che presenta affinità con i pittori preraffaelliti e simbolisti, è l’ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata, con tratto “a frusta”, e semplici figure sembrano prendere vita naturalmente in forme simili a piante o fiori. Si stagliano in primo piano le forme organiche, le linee curve, con ornamenti a preferenza vegetale o floreale. Tra i materiali, vengono adoperati soprattutto il vetro e il ferro battuto. In gioielleria si creano alti livelli di virtuosismo nella smaltatura e nell’introduzione di nuovi materiali, come opali e pietre dure, nascono monili in oro finemente lavorato e smaltato; i diamanti vengono accostati ad altri materiali, come il vetro, l’avorio e il corno. Solo in Italia, a differenza degli altri territori prima chiamati in causa, il Liberty non si contrappone al passato o alla tradizione accademica dell’insegnamento e dell’esercizio delle arti, con la conseguenza che qui, sulla nostra penisola, non si consolidò mai una scuola di riferimento identificabile con il movimento Liberty, al contrario ci furono singole personalità artistiche che si dedicarono ad approfondire i caratteri dello stile floreale ed epicentri per la diffusione del gusto dell’arte nuova, tra questi poli di profusione ci fu proprio Torino. Nei prossimi articoli considereremo nel dettaglio alcuni palazzi e quartieri della città sabauda particolarmente suggestivi e rilevanti dal punto di vista decorativo e architettonico, che testimoniano la meravigliosa trasformazione della nostra città, ancora oggi conosciuta come capitale del Liberty italiano.

 

Alessia Cagnotto

Lo Scià di Persia a Torino, 150 anni fa

E’ la sera del 24 luglio 1873, a Porta Nuova un uomo venuto dall’Oriente scende dal treno con il tradizionale copricapo conico e una lunga tunica decorata di perle, rubini e zaffiri. È lo Scià di Persia. Via Roma lo accoglie vestita a festa con bandiere e ghirlande, via Po, piazza Vittorio e la stessa via Roma illuminate con luci a gas e candele. I festeggiamenti sono grandiosi tra fuochi d’artificio e la musica tambureggiante delle bande militari. Tre reggimenti di fanteria, uno di cavalleria e uno di bersaglieri, attendono a Porta Nuova il monarca di Teheran.
Dalla stazione il corteo, scortato dai militari del Regio Esercito e dai corazzieri del Re in alta uniforme, proseguì per piazza Carlo Felice, via Roma, Piazza San Carlo e piazza Castello tra ali di folla ordinata e tranquilla sorvegliata dai carabinieri. Le carrozze sono trainate dai migliori cavalli. Una cerimonia splendida, come viene ricordata nei documenti dell’epoca. Così la Torino sabauda ricevette con tutti gli onori Naser al-Din Qajar (1831-1896) lo Scià di Persia che regnò per quasi 50 anni sul trono del Pavone, simbolo del potere imperiale persiano. Da Teheran raggiunse varie capitali europee e dopo una tappa a Ginevra arrivò a Torino passando per il valico del Moncenisio. Chi era costui? Naser al Din Shah, della dinastia imperiale Qajar, è stato Scià di Persia dal 1848 al 1896 quando fu assassinato. Iniziò il suo regno approvando riforme moderniste ma negli anni successivi diventò sempre più conservatore e tradizionalista. Fu il primo sovrano persiano a scrivere e pubblicare i propri diari e proprio dai suoi appunti conosciamo i particolari della sua tappa a Torino. Si fermò due giorni, voleva conoscere a tutti i costi Re Vittorio Emanuele II che d’estate preferiva andare a caccia in Piemonte e che decise quindi di ricevere il sovrano persiano a Torino. Ad accoglierlo c’erano il Re d’Italia e altre importanti personalità quali il presidente del consiglio Marco Minghetti con diversi ministri, il duca d’Aosta e il principe ereditario Umberto. Allo Scià furono donati mosaici veneziani e fiorentini, coralli del sud d’Italia e vari oggetti artistici. Dal canto suo Naser al-Din, che per l’occasione speciale indossava il collare dell’Annunziata, fece distribuire 150 decorazioni dell’Ordine del Leone e del Sole: tra i decorati spiccava il sindaco di Torino Felice Rignon, conte di Marmorito e senatore del Regno d’Italia. Lo Scià e i suoi consiglieri alloggiarono a Palazzo Reale, ospiti del Re, mentre il resto della delegazione si stabilì nell’albergo d’Europa in una piazza Castello illuminata dalla luce elettrica.
Nel Diario dello Scià si legge che dopo pranzo sono stati visitati gli appartamenti di Palazzo Reale e l’Armeria Reale, i giardini e gli animali del Re. Una sfarzosa serata di gala attendeva l’ospite persiano, tra servizi in oro e argenteria giunti appositamente da Roma, e al Teatro Regio fu rappresentata la Norma di Vincenzo Bellini. La mattina di domenica 27 luglio lo Scià salutò Torino diretto a Milano. Anche il nostro Re si allontanò subito dalla città per raggiungere la sua adorata Valle d’Aosta.         Filippo Re

La triste e sfortunata vita di Emilio Salgari

L’incontro con Emilio Salgari, il papà di Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e del Corsaro Nero avvenne tanto tempo fa. E fu un amore improvviso, intenso. I primo due libri furono “I misteri della Jungla Nera” e “Le Tigri di Mompracem”, nelle edizioni che la torinese Viglongo pubblicò negli anni ’60.

 

Vennero letteralmente divorati. Toccò poi all’intero ciclo dei pirati della Malesia e a quelli dei pirati delle Antille, dei Corsari delle Bermude e delle avventure nel Far West. Mi recavo in corriera da Baveno a Intra, da una sponda all’altra del golfo Borromeo del lago Maggiore, dove – alla fornitissima libreria “Alberti” – era possibile acquistare i romanzi usciti dalla sua inesauribile e fantasiosa penna. Salgari, nato a Verona nell’agosto del 1862, esordì come scrittore di racconti d’appendice che uscivano su giornali  a episodi di poche pagine, pubblicati in genere la domenica ma, nonostante un certo successo,visse un’inquieta e tribolata esistenza. A sedici anni si iscrisse all’Istituto nautico di Venezia, senza però terminare gli studi.

 

Tornato a  Verona intraprese l’attività di giornalista, dimostrando una notevole capacità d’immaginazione. Infatti, più che viaggiare per mari e terre lontane, fece viaggiare al sua sconfinata fantasia, documentandosi puntigliosamente su paesi, usi e costumi. Scrisse moltissimo, più di 80 romanzi e circa 150 racconti, spesso pubblicati prima a puntate su riviste e poi in volume. I suoi personaggi sono diventati leggendari: Sandokan, Lady Marianna Guillon ovvero la Perla di Labuan, Yanez de Gomera, Tremal-Naik, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, Testa di Pietra e molti altri. Nel 1900, dopo aver soggiornato alcuni anni nel Canavese ( tra Ivrea, Cuorgnè e Alpette) e poi a Genova, si trasferì definitivamente a Torino dove cambiò spesso alloggio, abitando nelle vie Morosini e  Superga, in piazza San Martino ( l’attuale piazza XVIII Dicembre, davanti a Porta Susa, nello stesso palazzo all’angolo nord dove De Amicis scrisse il libro “Cuore“), in via Guastalla e infine in Corso Casale dove, al civico 205 una targa commemorativa ricorda quella che è stata l’ultima dimora del più grande scrittore italiano di romanzi d’avventura. Schiacciato dai debiti contratti per pagare le cure della moglie, affetta da una terribile malattia mentale, con quattro figli a carico, si tolse la vita con un rasoio nei boschi della collina torinese.

 

Era il 25 aprile 1911. Ai suoi editori dell’epoca, che stentavano a pagargli i diritti, lasciò questo biglietto: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna“. Ai quattro figli scrisse: “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di lire 600… Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre“. I suoi funerali passarono quasi inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l’imminente festa del 50° Anniversario dell’Unità d’Italia. La sua salma fu successivamente traslata nel famedio del cimitero monumentale di Verona. Un tragico e amaro epilogo per l’uomo che, grazie alle sue avventure, fece sognare tante generazioni di ragazzi.

Marco Travaglini