Torino, capitale italiana del Liberty
Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)
Torino Liberty
Articolo 2. Torino, capitale italiana del Liberty
In seguito all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1902 a Torino, gli artisti e i professionisti presenti ebbero l’opportunità di conoscere e visionare i più rappresentativi esempi di Art Nouveau, firmati proprio dai migliori esponenti della corrente artistica di tutto il mondo. Successivamente a tale avvenimento e grazie alla presenza sul territorio di abilissimi architetti e assai preparati ingegneri, che potevano contare su una ricca classe borghese e imprenditoriale, la città sabauda si trasformò in un immenso cantiere di sperimentazione stilistica, che in circa trent’anni portò alla realizzazione di un gran numero di edifici appartenenti alle più svariate tipologie, sia industriale che residenziale, dai palazzi destinati all’istruzione o al culto, fino ad alcuni esempi di arte funeraria. Gli artisti torinesi interpretarono il Liberty con originalità e maestria, rivisitando le scuole dell’Art Nouveau, da quella franco-belga a quella austro-tedesca, con occhio personale e mai scontato. Torino, ancora oggi nota per le grandi architetture barocche dei palazzi nobiliari e delle celebri residenze sabaude, vede affermarsi dunque, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, una nuova corrente artistica, meglio conosciuta come “Liberty”. Di questo stile, Torino presenta numerose testimonianze di pregio, al punto da essere considerata la capitale del Liberty italiano.
Sul piano prettamente estetico il Liberty affronta l’eterno problema del “bello”, ovvero l’ideale di un “socialismo della bellezza” inteso come diffusione e messa a disposizione di prodotti artistici presso una sempre più vasta porzione di cittadinanza, nelle più disparate applicazioni, verso un’unica adesione ad un’estetica condivisa, che ha nella natura il suo inizio e la sua fine. Grazie allo sviluppo industriale e agli interventi urbanistici in varie zone della città, il Liberty si impose elegantemente nelle linee architettoniche di interi quartieri, dalla Crocetta alla Gran Madre, da Cit Turin a San Donato. In ogni spazio edificato all’inizio del secolo scorso su impulso della nuova borghesia industriale, vi è la chiara impronta dell’originale stile artistico europeo, di cui ancora oggi possiamo ammirare l’elegante armonia architettonica.Passeggiando per Torino, con lo sguardo attento ai palazzi più rappresentativi, che si stagliano netti ed eleganti per le vie della città, non si può fare a meno di rimanere estasiati e ammirati di fronte alla raffinatezza espressiva di alcuni edifici, dalle linee flessuose e curve, dai tratti “morbidi” delle facciate, che ancora ci sorprendono per la loro piacevole bellezza architettonica. Osserviamo tetti insolitamente ricchi, vetrate che catturano la luce riflessa in colori pastello, tettoie con strutture in ferro-vetro, dettagli di balconi dalla ringhiera incurvata, dove l’alternanza vuoto-pieno sottolinea vitalità e dinamismo. E poi portoni, mancorrenti, finestre con finezze di particolari, festoni e fregi che richiamano la grazia della natura mediante la riproduzione di piante, foglie, tralci, fiori, tutta una leggiadria di forme che sembrano quasi nascondere e tacitare il peso del litocemento. E poi ancora la riproduzione di rampicanti che, sviluppandosi in altezza, sanno dare un tocco di levità ai palazzi, arricchiti anche da conchiglie, sirene, animali araldici, curiosi ghirigori. Ogni edificio mantiene una propria impronta particolare, ma, nel richiamarsi alla nuova linea floreale, la sa esaltare in strutture di spettacolare bellezza, come il flessuoso e morbido bovindo, bow-window, che nell’inglese antico significa “finestra ad arco”, ed è, nell’edificio, la parte di un ambiente aggettante verso l’esterno, come un balcone chiuso da vetrate.
L’ingegnere Pietro Fenoglio, il più grande architetto torinese di questo stile, ne ha realizzati numerosissimi in città, e in forme assai diverse, rettangolari, ovali, quadrate, circolari, cilindriche. A mezza altezza tra la strada e il tetto, il bovindo, anche solo di un metro quadrato o poco più, è una magnificenza costruita sulla facciata, dove la fantasia creativa ben si accompagna al tratto fluido e morbido, alla varietà e all’inventiva. E così, nella malinconica Torino gozzaniana che mi piace ricordare (Come una stampa antica bavarese/vedo al tramonto il cielo subalpino…/Da Palazzo Madama al Valentino/ ardono l’Alpi tra le nubi accese…/ E’ questa l’ora antica torinese,/ è questa l’ora vera di Torino…), trovano spazio architetture quasi gioiose, dove il rosso del mattone ben si accorda al grigio chiaro del litocemento. In una perfetta costruzione armonica, ogni più piccolo particolare è studiato con cura, e i ferri battuti delle ringhiere dei balconi a volte differiscono volutamente per qualche minimo dettaglio, che solo una disamina attenta riesce a cogliere, e anche gli androni, le scale, i mancorrenti sono originali e costruiti ad arte. Nello stile floreale gli ornamenti fanno parte della costruzione complessiva, non sono elementi puramente accessori, quasi in aggiunta, al contrario prendono, per così dire, vita dalla bellezza dell’insieme. Improntati allo stile Liberty, Torino presenta non solo un gran numero di case e villini, ma anche stabilimenti industriali, uffici pubblici e scuole, disseminati nei vari quartieri della città, la Crocetta, San Donato, il Centro, San Salvario, la Gran Madre, Cit Turin.
Di certo è stata troppo breve l’ingenua e ottimistica stagione Liberty, ben presto l’abilità tecnica si concretizzò negli orrori della guerra e la realtà drammatica che si andò delineando portò a una diffusa sfiducia nei confronti dell’arte come materia salvifica. La bellezza dunque non è più né ricercata né indagata, la “funzione” prevale sulla “forma” e la violenta modernità si manifesta con canoni antitetici rispetto agli ideali dell’Art Nouveau. Il tempo della natura e dei suoi mirabolanti ghirigori viene schiacciato dal suono devastante delle bombe e delle grida del primo conflitto mondiale.
Alessia Cagnotto
Giuseppe Contin, il secondo Paganini
Parentele a Cereseto Monferrato



C’erano una volta i matti
Venerdì 24 gennaio, a Torino, nella corte medievale di Palazzo Madama, si apre la mostra “Giro di posta-Primo Levi, Le Germanie, l’Europa”, promossa dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi e curata da Domenico Scarpa. “Giro di posta” è realizzata da documenti per gran parte inediti e offre una vasta rete di carteggi privati che soltanto oggi diventano pubblici, e che raccontano l’Europa e la Germania divise in due. A tessere la trama sono gli interlocutori tedeschi e germanofoni di Levi, ma non soltanto loro. Le corrispondenze esposte, messaggi scarabocchiati a matita su fogli di fortuna o impeccabili lettere battute a macchina su carta intestata, attraversano quasi mezzo secolo di storia europea.
Auschwitz, esperienza di cui Levi non smise mai di indagare segreti e significati, rappresenta il fulcro geometrico della vicenda. “Se questo è un uomo” suonava, fin dal titolo, con una domanda rivolta al lettore, ma i fatti del libro erano avvenuti in tedesco e per mano dei tedeschi, e quindi quella domanda doveva arrivare necessariamente a loro. Nel 1959 fu avviata finalmente la traduzione del libro in tedesco, che uscì nel 1961, lo stesso anno in cui fu costruito il muro di Berlino. Da quel momento in poi una “intricata rete epistolare” mise Primo Levi in contatto con un gran numero di interlocutori di spessore, lettrici e lettori comuni, lettori che erano anche scrittori, ex compagni di lager e qualcuno che in Auschwitz stava dall’altra parte. Conoscendo Levi, non c’è da meravigliarsi che tra i suoi corrispondenti lo attraessero i più lontani per mentalità e geografia. Negli 80 anni della liberazione di Aushwitz (27 gennaio 1945-27 gennaio 2025) il giro di posta del titolo si presenta come una ampia discussione sulla Shoah e sul suo posto in Europa da ricostruire dopo la guerra, ma ben presto divisa in due blocchi contrapposti. Si presenta come una rete per molte ragioni: perché ci sono circuiti di posta dove una stessa lettera viene spedita a più destinatari, per sollecitarli a dire la loro; perché copre come un reticolato aree della Germania Est e Ovest, sconfinando in ulteriori Paesi; perché vi si intrecciano quattro lingue, l’italiano, il francese, l’inglese, il tedesco adoperate da Levi. La mostra, promossa dal Centro Internazionale Studi Primo Levi, medaglia del Presidente della Repubblica, è curata da Domenico Scarpa e sarà aperta fino al 5 maggio 2025. Con ingresso incluso nel biglietto del museo, è stata realizzata con il progetto LeviNeT, coordinato presso l’Università di Ferrara da Martina Mengoni, curatrice del volume “Primo Levi – il carteggio con Heinz Riedt”, edito da Einaudi. Il progetto, finanziato dalla European Research Concil prevede, da qui al 2027, la pubblicazione progressiva in open access delle corrispondenze tedesche di Levi. Il progetto di allestimento è a cura di Gianfranco Cavaglià e Anna Rita Bertorello, Ars Media per il progetto grafico di comunicazione visiva.
La mostra comprende 5 sezioni: 1- Primo Levi. Un precoce pensiero europeo; 2- Hermann Langbein. Un uomo formidabile; 3-Heinz Riedt. Un tedesco anomalo; 4- Giro di posta. Che dà il titolo all’intero allestimento; 5- Le lettrici e i lettori. L’allestimento prevede un percorso di accessibilità per il pubblico con disabilità visiva: saranno presenti mappe e qr code tattili tramite i quali sarà possibile accedere dal proprio dispositivo mobile a contenuti audio per ciascuna sezione.
In occasione dell’inaugurazione della mostra, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, in collaborazione con Poste Italiane, ha realizzato un annullo filatelico dedicato: per il giorno d’inaugurazione e il successivo giorno di apertura al pubblico, presso Palazzo Madama, due ufficiali di Poste Italiane saranno lieti di apporre il timbro sulle cartoline filateliche, anch’esse realizzate per l’occasione con francobollo selezionato a tema.
Info: Palazzo Madama-Museo Civico d’arte antica, Piazza Castello, Torino – 24 gennaio/5 maggio 2025. Telefono 011 4433501. Sito www.palazzomadamatorino.it
Lunedì e da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18. Martedì chiuso.
Mara Martellotta
Il 2025 sarà un anno particolarmente ricco di novità per le mostre e gli eventi internazionali realizzati alla Reggia di Venaria. In programma, già in primavera, si aprirà la mostra dedicata alle Magnifiche collezioni “Arte e Potere” della Genova dei Dogi (titolo provvisorio), prevista dai primi di aprile fino a settembre nelle sale delle arti, realizzate in collaborazione è col Musei Nazionali di Genova, Palazzo Spinola e Galleria Nazionale della Liguria. Le straordinarie raccolte d’arte di alcune delle più importanti famiglie del patriziato genovese (Pallavicino, i Doria, gli Spinola e i Balbi) conservate a Palazzo Spinola di pellicceria, giungeranno alla Reggia di Venaria insieme alle più recenti acquisizioni del Musei Nazionali di Genova con prestiti da altri musei e collezioni privata. Un patrimonio unico di arte e storia che annovera celebri dipinti di Peter Paul Rubens, Antoon Van Dijk, Orazio Gentileschi, Guido Reni, Carlo Maratta, Luca Giordano, Hyacinthe Rigaud e Angelica Kauffman, oltre ai Maestri della grande scuola figurativa genovese come Bernardo Strozzi, Domenico Piola, Giovanni Benedetto Castiglione detto Il Grechetto e Gregorio De Ferrari. Attraverso un centinaio di opere, tra dipinti, sculture, argenti e arredi del Seicento e Settecento, si proporrà un percorso espositivo riferito alle raccolte del palazzo, diventato poi museo, ma anche il racconto del secolo d’oro “Genova la superba”, antica città retta dai Dogi con la sua regalità e fasto e teatro del Barocco.
L’esposizione continuerà il filone tematico dedicato alla storia, all’arte e alla cultura delle corti, e alla rappresentazione della loro magnificenza che la Venaria Reale sta perseguendo da tempo.
Mara Martellotta
Inseguendo il Liberty
Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)
Torino Liberty
Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock
Articolo 5. Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Negli articoli precedenti mi sono soffermata su due particolari edifici torinesi assai noti, Villa Fenoglio e Villa Scott, ma, poiché la nostra città è ricca di palazzi e ville in stile Liberty, nei due articoli che seguono vorrei proporre una sorta di “guida turistica” rivolta sia a chi, per caso, si trovi a passare nei dintorni di case e ville Liberty, e sia a chi, per pura curiosità, amerebbe approfondire l’argomento.
Pietro Fenoglio, celebre ingegnere-architetto, figura essenziale per il Liberty torinese, nel 1902 progetta per i fratelli Besozzi il Villino Gardino di corso Francia 12, angolo via Beaumont, dove lo stile floreale si affaccia nelle morbide linee del ferro battuto dei balconi. Nel 1909, sempre per la medesima famiglia, si dedica alla palazzina di via Magenta, e all’ampio isolato situato tra le vie Campana, Saluzzo e Morgari. La Palazzina Ostorero, di via Beaumont 7, del 1900, due piani più sottotetto, è contrassegnata da una raffinata decorazione floreale a graffito, da un tetto a capanna e torrette a tre livelli. La Palazzina Besozzi, di corso Francia 10, ha finestre doppie suddivise da colonne e capitelli, e discrete decorazioni sotto la gronda del tetto in legno. Tra il 1899 e il 1900, l’illuminato costruttore si dedica a Casa Gotteland, di via San Secondo 11. La facciata ha una scansione regolare e simmetrica, le decorazioni si concentrano sul ricco cornicione che corre tra il quarto e quinto piano, sui balconi, sulle finestre, sul portone d’ingresso. Sotto il davanzale, le finestre presentano un motivo decorativo ispirato alle forme di una conchiglia, festoni di fiori ornano i timpani sovrastanti le finestre; un motivo pure a conchiglia si trova nelle ringhiere in ferro battuto dei balconi; il portone d’ingresso in legno e vetri colorati e i fregi dipinti sull’androne ne segnano l’indirizzo apertamente floreale. Nel 1901 l’avvocato Michele Raby commissiona a Fenoglio la propria abitazione privata, da allora conosciuta come Villino Raby, corso Francia 8, vicino a via Beaumont. Una costruzione contrassegnata da un’estrema articolazione degli spazi esterni, a volte arretrati, a volte avanzati, con un originale portico terrazzato utilizzato come ingresso. Di grande rilievo l’originale bovindo angolare decorato da piccole teste di fanciulle. In fondo all’ampio cortile vi è una palazzina di servizio con annesse scuderie, caratterizzata da un tetto conico alla francese. Rimaneggiato nel corso degli anni, il villino nel 2009 è stato acquistato dall’Ordine dei Medici della Provincia di Torino, che si è occupato della sua lunga ristrutturazione. Del 1901 è Casa Boffa Costa, di via Sacchi 28 bis, che doveva necessariamente adeguarsi, per altezza, facciata e dimensioni, agli attigui e omogenei palazzi del tratto del corso porticato. Suggestioni Liberty si evidenziano comunque nelle finestre e nei balconi modellati in pietra artificiale; quattro finte colonne a tutta altezza hanno il compito di snellire il gioco prospettico, armoniosamente ritratto dal tondo dei balconi e il culmine delle finestre. Della vicina Casa Debernardi, via Sacchi 40/42, caratterizzata da due bovindi laterali che si alzano al colmo dei portici, forse Fenoglio ha posto solo la propria firma su di un’opera realizzata da altri. Interessante e aggraziata la facciata che dà sul cortile, con decorazioni Liberty in litocemento. Del 1902 (stesso anno di Palazzo Fenoglio-La Fleur e di Villa Scott) è Casa Pecco, via Cibrario 12, destinata all’affitto di abitazioni e di negozi, che evidenzia un apporto Liberty più modesto e garbato e meno vistoso. Si tratta di un edificio piuttosto imponente, che occupa un isolato trapezoidale nei pressi di via Le Chiuse, contraddistinto al piano terra da un portone in legno, la cui sagoma è ripresa dalle aperture del piano rialzato. Le finestre sono sovrastate da decorazioni geometriche, una cornice con motivi floreali caratterizza il paramento murario del terzo piano. La modellazione del ferro battuto contrasta piacevolmente con i lineari elementi litocementizi dei balconi del primo piano.
Di raffinatissimo stile Liberty è la Palazzina Rossi Galateri di via Passalacqua 14, (una perpendicolare di via Cernaia, alle spalle di piazza XVIII dicembre), segnata da motivi naturali quasi Rococò: tralci di vite, finta corteccia, fiori di grandi dimensioni, bovindi sormontati da terrazzini, e un elegantissimo portone d’ingresso in legno, al di sopra del quale si evidenziano le linee eleganti in ferro battuto del balcone. La costruzione è stata commissionata a Fenoglio dalla contessa Emilia Rossi, figlia del deputato Teofilo Rossi e moglie di Annibale Galatei, conte di Genola e di Suniglia. Squisita la resa armoniosa dei ferri battuti lavoratissimi, i particolari lignei come i telai delle finestre, la luminosa cromia delle vetrate, la morbida decorazione floreale, la bellissima vetrata ovale al piano rialzato e i particolari decorativi della facciata: tutto è studiato nei minimi particolari, ed è reso all’insegna del bello assoluto. Del 1903 è Casa Guelpa, via Colli 4, all’incrocio con corso Vittorio Emanuele 115, in un raffinato Liberty disegnato sui balconi con i motivi a conchiglia (il lato sul corso si richiama, invece, al Neobarocco). Casa Rey, di corso Galileo Ferraris 16/18, risale al 1904. Il palazzo, tra i cinque e i sei piani, ai lati ha due bovindi su tre ordini con vetri colorati e decorazioni floreali; la facciata si distingue per l’alternanza tra intonaco e laterizio in cui qua e là compaiono piccoli mostri su alcune finestre e capitelli su qualche balcone. Le finestre, che più si innalzano e più si alleggeriscono per gioco prospettico e capacità costruttiva, presentano eleganti modanature Liberty. Molto raffinati i quattro portantini in legno scolpito.
Casa Bellia, di corso Matteotti, angolo via Papacino, è caratterizzata da un ampio rosone, con colonnine poste a raggiera nella parte più alta di una simil-torre e cornici a dente di lupo che si alternano a particolari sia orientali che zoomorfi e fitomorfi. Nella parte angolare, un bovindo dalle linee tonde e dalle finestre ad arco, è sormontato da un tetto fatto a cupola piramidale. Particolari i balconi del primo e del terzo piano con finestre a triplice luce. Sempre in via Papacino e ancora con committenza Bellia, nello stesso anno – 1904 – viene edificato un edificio di quattro piani fuori terra, con seminterrati in vista e mansarde laterali a finestre binate. Un bovindo poligonale, chiuso nella parte superiore da un balcone con balaustra in cemento, allaccia due piani. Ornamenti floreali impreziosiscono il portone. Casa Rama, su progetto di Fenoglio, del 1909, in via Cibrario 63, è per noi torinesi del tutto particolare: in questa palazzina Liberty morì Guido Gozzano, il poeta crepuscolare che così ricorda la sua e nostra città: “Come una stampa antica bavarese/ vedo al tramonto il cielo subalpino/da Palazzo Madama al Valentino/ardono l’Alpi tra le nubi accese/È questa l’ora antica torinese,/è questa l’ora vera di Torino”. Cari curiosi e appassionati di Liberty, sarete ormai stanchi e affaticati, allora vi propongo una meritata pausa prima di riprende il tour nel prossimo articolo.
Alessia Cagnotto
Storia: Torino tra i barbari
Breve storia di Torino
1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi
2 Torino tra i barbari
Continua dunque il progetto in cui mi sono “impelagata” riflettendo su quanto sappiamo del mondo e quanto invece conosciamo del territorio in cui viviamo.
Questa serie di articoli nasce da una discussione avuta in classe con i miei studenti, con i quali ho potuto dibattere sull’importanza che diamo a ciò che sta lontano, a discapito di ciò che invece possiamo effettivamente raggiungere, vedere, studiare a fondo. È un lavoro per me nuovo, quello che sto facendo, una sfida personale tutta di ricerca prettamente storica che ho piacere di condividere con voi, cari lettori, nella speranza di coinvolgervi e intrattenervi con un po’ di notizie locali che sono riuscita a reperire, esulando da quelle che sono le mie “zone di confort”, ossia l’arte e la scuola.
Ecco allora vi lascio alla lettura di questo secondo articolo, dedicato ad approfondire ciò che accadde alla nostra bella urbe durante le cosìddette invasioni barbariche.
Sappiamo davvero poco sulle vicissitudini di Torino durante l’alto Medioevo. L’impero romano cade per cedere il posto a una progressione di transitori regni barbarici, si apre un periodo incerto, caratterizzato da crisi commerciali, un forte calo demografico e un generale regresso della vita urbana. Il territorio di Torino viene dapprima inglobato nel regno degli Ostrogoti, successivamente, nel giro di circa un secolo, a tale popolazione subentrano i Longobardi, che detengono il potere fino al termine del secolo VIII, ossia fino all’arrivo dei Franchi. Torino è ora parte del “Regnum Italiae” e appartiene al vasto Impero di Carlo Magno, che si espande dalla Spagna ai Paesi Bassi fino alla Germania centrale. Ancora una volta la posizione geografica della città fa sì che l’urbe diventi un importante punto di collegamento tra i luoghi principali del dominio carolingio: i territori italiani e l’ancora importantissima Roma.
Le fonti pervenuteci riguardo a tale periodo storico sono esigue e frammentarie, si tratta principalmente di documenti ecclesiastici, attestati ufficiali, cronache o testimonianze redatte da titolari laici del potere, in ogni caso tutti atti che si riferiscono a persone più che benestanti e di particolare riguardo, come nobili, vescovi o imperatori, al contrario ci è quasi impossibile recuperare notizie sul “modus vivendi” della gente comune.
Sappiamo però che pressoché tutte le città murarie – compresa Torino – offrivano protezione a chi, vivendo nelle campagne, era costantemente danneggiato dalle incursioni dei barbari.
Nel IX secolo anche l’Impero Franco si spegne: i regni e i ducati che ne facevano parte sono in continua lotta tra loro, i grandi signori si combattono l’un l’altro e nel mentre tentano di arrestare le invasioni dei Saraceni e degli Ungari.
Torino si presenta come un avamposto di primaria importanza per fronteggiare le incursioni saracene provenienti dalle Alpi ed è dunque necessario, per chiunque ambisca a governare il Regno Italico, esercitare un’azione di controllo anche sul territorio del capoluogo piemontese. È Ottone I che, alla fine del X secolo, ha la meglio sugli altri aspiranti: nasce l’Impero romano-germanico. A questo punto della storia, Torino passa sotto la giurisdizione del marchese Arduino III, noto come il Glabro, il quale detiene il dominio non solo sulla città ma su tutta la zona conosciuta come “marca di Torino”, comprendente i territori circostanti e il corridoio alpino. L’antica Augusta è destinata a sottostare agli Arduino, vassalli imperiali con titolo di conti e marchesi della città fino alla morte della contessa Adelaide (1091), ultima discendente della famiglia. È tuttavia necessario ricordare l’importanza della casta ecclesiastica, i vari membri della stirpe reggente devono dividere il potere con i vescovi locali che, da Massimo in avanti, esercitano l’autorità spirituale e temporale sulla diocesi ma anche sulla cittadinanza. Il governo episcopale risulta un punto fermo in questo periodo di grande confusione, è grazie ad esso se la città presenta una struttura amministrativa e una accettabile stabilità politica. Da non dimenticare inoltre il fatto che il clero vanta un duplice espediente per assicurarsi il mantenimento del credito politico, da una parte l’egemonia spirituale, dall’altra il fatto che la Chiesa costituisce l’unica fonte di alta cultura, per l’appunto chi appartiene al clero episcopale fa parte dei pochi in grado di leggere e scrivere.
Si può dunque affermare che la storia di Torino segua le generiche vicissitudini dell’Italia, lo specifico si perde in una più ampia visione di accadimenti cronologici che segnano il destino di tutta la penisola, con l’eccezione di sporadici eventi che è possibile riportare grazie alle documentazioni rinvenute. Proviamo allora a ripercorrere un po’ piùda vicino le vicende della penisola e della nostra città durante la venuta degli Ostrogoti, poi dei Longobardi e infine ciò che avviene nel periodo carolingio.
Quando l’Impero Romano crolla, Torino non pare accorgersene, la quotidianità della cittadinanza rimane sostanzialmente imperturbata di fronte alle vicissitudini politiche lontane, e anche quando nel 493 Odoacre viene deposto dagli Ostrogoti, la notizia non desta particolare interesse.
Il nuovo re, Teodorico, tuttavia nota la città pedemontana e la ritiene un cruciale avamposto strategico. In questo contesto Torino diventa per poco protagonista: agli albori del nuovo regno un esercito di Burgundi riesce ad entrare in Italia, attraversando la Valle d’Aosta e saccheggiando le cittadine della pianura lombarda; Teodorico affida il compito di sedare l’invasione e negoziare il rilascio dei prigionieri ai vescovi di Pavia e Torino. La vicenda si conclude positivamente e nel 508 Teodorico espelle gli invasori dal regno e rende Torino un caposaldo della sua linea difensiva.
L’imperatore muore nel 526 e la stabilità del potere politico viene bruscamente scossa. Prende il comando il bizantino Giustiniano, la cui aspirazione più grande è restaurare l’antico Impero Romano; egli decide di riunire le province occidentali ai territori orientali che governa da Costantinopoli.
A seguito di tale desiderio dell’imperatore, nel 535 il generale Belisario inizia la riconquista dei territori italiani, le battaglie che ne conseguono sono violente e sanguinose e portano alla distruzione di gran parte dei territori settentrionali e centrali della penisola. Nel 553 cade l’ultimo avamposto ostrogoto e il regno di Teodorico viene cancellato del tutto. La vittoria di Giustiniano però non è destinata a durare. La conquista bizantina ha conseguenze negative e comporta l’inizio di un’altra invasione barbarica, quella dei Longobardi. Alboino in breve tempo ottiene tutta l’Italia settentrionale e centrale, occupa il Piemonte e rende Torino un’importante roccaforte del nuovo regno. Per due secoli i Longobardi detengono l’egemonia, il segno del loro passaggio è incisivo e ben evidente, soprattutto in Lombardia, regione che ancora oggi porta il loro nome.
I Longobardi, confederazione di più “gentes”, assimilabili nell’aspetto perché portatori di una “lunga barba”, sono bellicosi, saccheggiatori alla ricerca di nuove terre in cui insediarsi e soprattutto sono seguaci dell’arianesimo. È appunto la questione religiosa che determina all’inizio grosse difficoltà e spaccature con la convivenza autoctona, tutta cristiana. Ci vuole del tempo, ma alla fine ariani e pagani si convertono al cattolicesimo, come dimostra la diocesi torinese che riesce a ricongiungersi con il papato a Roma nel giro di neanche un secolo. Nonostante la natura guerriera dei nuovi dominatori, a Torino non pare esserci alcuna situazione particolarmente violenta: i contadini continuano a svolgere le loro attività e i vescovi sono lasciati liberi di occuparsi dei propri fedeli. I nobili longobardi si impossessano delle zone adiacenti all’urbe, come per esempio il colle su cui sorge Superga, il cui nome deriverebbe da Sarropergia, dal germanico Sarra-berg, “monte della collina”. Quel che emerge è che i Longobardi sono sottoposti ad un graduale processo di romanizzazione, come dimostra la scomparsa della loro lingua a favore del latino volgare. D’altro canto i nuovi dominatori apportano notevoli modifiche agli usi e costumi di derivazione romana, ad esempio il sistema delle tasse e l’assetto urbano dei centri abitati. Viene inoltre smantellata l’organizzazione delle province dell’Impero, a favore dell’istituzione di ducati, governati da comandanti militari longobardi, detti duchi; i nuovi siti hanno alto valore strategico, tra questi emergono per importanza Torino, Asti, Ivrea e Novara.
A Torino i duchi longobardi erigono diversi nuovi monumenti e palazzi, accanto ai luoghi cristiani già preesistenti. Sorgono chiese e abitazioni che esulano dall’assetto regolare della città: esse vengono costruite senza tenere in minima considerazione lo schema urbano e i tracciati originali delle strade, il tessuto della città cambia in maniera irreversibile.
Il regno longobardo sopravvive fino al 773, anno in cui Carlo Magno invade definitivamente l’Italia. Una parte dell’esercito varca le Alpi attraverso il passo del Gran San Bernardo mentre un altro reparto –guidato dal re in persona- raggiunge Torino, attraverso il valico del Moncenisio e la Val Susa. Torino è proprio la prima città a cadere sotto il dominio franco. Carlo Magno si proclama “re dei Franchi e dei Longobardi”, sottolineando in tal maniera la volontà di amministrare il regno come una provincia del suo impero franco, concedendo agli abitanti di mantenere la propria identità. Lo stesso governo di Carlo in Italia si appoggia alla struttura politica precedente, Torino stessa ne è un’acuta dimostrazione e testimonianza.
La nuova amministrazione è tuttavia più efficiente, grazie anche ai “missi dominici”, gli emissari dell’imperatore, i quali devono indagare e occuparsi delle eventuali ingiustizie e sono altresì incaricati di supervisionare l’amministrazione locale.
A caratterizzare l’impero carolingio è la strettissima alleanza con la Chiesa, ancora una volta Torino si dimostra esempio perfetto per esplicare il sistema di governo attuato. La città e le zone adiacenti sono un importante punto strategico, l’urbe sorge su un asse cruciale per la sorveglianza e la comunicazione tra il Regno Italico, la Roma pontificia e il cuore dei territori franchi. Il passaggio attraverso i valichi prende un nuovo nome: “strada francigena”, ossia “la strada dei franchi”. D’altra parte Torino è governata da un conte, amministratore della giustizia in vece dell’imperatore, egli èaffiancato nell’incarico da fidati collaboratori, sia laici che ecclesiastici.
Le fonti forniscono diverse importanti informazioni sulla centralità del ruolo del clero nell’amministrazione carolingia; ad esempio, nell’anno 816, Ludovico il Pio – figlio di Carlo Magno- nomina vescovo di Torino Claudio, suo cappellano e consigliere. Tale scelta è dovuta all’esigenza di lasciare una diocesi così importante in mani fidate. Claudio è comunque figura centrale per la storia del capoluogo piemontese, è infatti grazie a lui che nasce la “schola” di Torino, volta ad accogliere studenti dal Piemonte e dalla Liguria. A Claudio succedono prima Vitgario, il quale segue il processo di rinnovamento cristiano in risposta alle esigenze dell’impero carolingio, e poi Regimiro, che istituisce la regola di Crodegango di Metz, secondo la quale i canonici della cattedrale devono condurre una vita monastica attiva, in stretta collaborazione con il vescovo.
Con la morte di Ludovico il Pio l’enorme regno franco inizia a frantumarsi: dopo una sanguinosa lotta intestina i tre discendenti di Ludovico si spartiscono il regno.
L’ultimo re è Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, che tuttavia non si dimostra all’altezza di governare né di fronteggiare i nuovi nemici – Normanni e Saraceni- e viene così deposto dai vassalli nell’anno 887.
Il Regno Italico è ormai un immenso campo di battaglia su cui si scontrano i grandi signori dell’epoca e Torino è di nuovo in balia degli importanti eventi che determinano la Storia dei popoli.
ALESSIA CAGNOTTO
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino è lieto di annunciare che, grazie alla straordinaria generosità di 742 piccoli e grandi donatori, ha superato l’obiettivo di 50.000 € nella sua campagna di crowdfunding, lanciata dal 28 marzo al 31 dicembre 2024 per acquisire cinque ornamenti in smalto di Limoges provenienti dal cofano di Guala Bicchieri, capolavoro identitario della sua collezione.
I cinque ornamenti – elementi metallici con decoro floreale in smalto champlevé – che decoravano originariamente il cofano del cardinale vercellese Guala Bicchieri (1160-1227), saranno acquisiti grazie all’eccezionale contributo di un ampio pubblico di appassionati e sostenitori del patrimonio storico e artistico dei Musei Civici di Torino.
Una raccolta fondi inaugurata dalla generosa donazione di Sir Paul Ruddock, grande collezionista di arte medievale ed estimatore del Museo Civico torinese, e quindi conclusa grazie al significativo sostegno della Fondazione CRT, che da sempre è accanto a Palazzo Madama in tutti i suoi progetti.
Il cofano del cardinale Bicchieri, realizzato in legno e decorato con smalti e oreficeria, è uno degli esempi più importanti dell’arte medievale e rappresenta un unicum nella storia dell’arte di Limoges.
Originariamente impreziosito da quaranta medaglioni e numerosi elementi decorativi in rame sbalzato e smalto champlevé, ha visto la perdita di diversi componenti durante la suo lungo e travagliato passato.
A marzo 2024 Palazzo Madama ha lanciato la campagna di crowdfunding con l’obiettivo di acquistare i cinque preziosi frammenti, che per secoli sono stati parte di questo capolavoro della storia, e di riportare il cofano alla sua originaria bellezza. Tali smalti furono verosimilmente trafugati a fine Settecento nel periodo delle guerre napoleoniche – quando il cofano era conservato nella chiesa di Sant’Andrea di Vercelli – e successivamente confluirono nella collezione di Jules Chappée, industriale ed erudito di Le Mans, quindi vennero dispersi dagli eredi e infine approdarono presso l’antiquario parigino che li ha ora messi in vendita.
Con l’acquisizione di queste cinque opere, il museo è ora in grado di restituire una ulteriore parte del decoro originario all’opera, ricollocandole sul retro del cofano, che oggi risulta privo di queste decorazioni.
“Il successo di questa campagna è una commovente e profondamente significativa testimonianza della forza e dell’impegno della comunità che sostiene Palazzo Madama e i Musei Civici di Torino“, ha dichiarato Giovanni Carlo Federico Villa, Direttore di Palazzo Madama. “Grazie alla generosità di centinaia di donatori, non solo aggiungiamo parti essenziali al cosiddetto ‘cofano di Guala Bicchieri’, ma poniamo nuovamente l’attenzione su un momento fondamentale della storia e del farsi d’Europa per il tramite di uno dei suoi grandi protagonisti. Sincera è la gratitudine per i numerosissimi che hanno voluto prendersi il tempo di contribuire a questo importante progetto, dando un senso al concetto di cittadinanza attiva e di memoria”.
“I cinque smalti che ora riusciremo ad acquisire considerati da soli sono semplici frammenti della raffinata arte di Limoges nel Duecento, ma la loro importanza risiede nell’appartenere ad un capolavoro, cui ora possiamo ricongiungerli. Il loro riposizionamento sul cofano, a distanza di più di duecento anni, è un’operazione filologica importante che permetterà – come avviene in pittura quando una predella perduta torna accanto alla tavola cui era associata – di poter ammirare il cofano completo di alcune delle sue parti mancanti, così come esso doveva apparire a Guala Bicchieri nel 1220” – dichiara Simonetta Castronovo, conservatrice di Palazzo Madama, che fu già protagonista dello studio e acquisizione del cofano del cardinale da parte della Città di Torino e della Regione Piemonte nel 2004.
Durante tutto il corso del 2024 Palazzo Madama ha organizzato un intenso programma di sensibilizzazione, con incontri, conferenze, laboratori, visite guidate e dibattiti che si sono svolti non solo in museo ma in diverse sedi del territorio piemontese. Un ringraziamento particolare anche allo storico Alessandro Barbero, che ha unito la sua voce a quella di Palazzo Madama per sostenere la campagna.
Il risultato è stato ottenuto attraverso la piattaforma online di crowdfunding Rete del Dono, che ha permesso ai numerosissimi donatori – singoli, gruppi, famiglie, fondazioni e associazioni – di partecipare all’iniziativa.
Nella primavera 2025 Palazzo Madama offrirà a tutti i donatori l’opportunità di vedere in anteprima gli smalti appena acquisiti, in una presentazione in museo riservata ed esclusiva.
Palazzo Madama dimostra ancora una volta di essere un punto di riferimento fondamentale per la cultura italiana ed europea, e il successo di questa campagna di crowdfunding conferma l’importanza di collaborazioni e partecipazione per garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio dei Musei Civici di Torino. Un patrimonio comunitario. Un patrimonio di tutti.
Tutte le info qui: https://www.palazzomadamatorino.it/it/evento/ritorno-a-casa-il-cofano-ritrova-smalto
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