STORIA- Pagina 10

Torino e i primi cinquant’anni della donna della domenica

 

Cinquant’anni fa usciva nelle sale cinematografiche La donna della domenica, film diretto da Luigi Comencini e sceneggiato da Age e Scarpelli con Marcello Mastroianni (nei panni del commissario Santamaria), Jacqueline Bisset (Anna Carla Dosio), Jean-Louis Trintignant (Massimo Campi), Lina Volonghi (Ines Tabusso), Claudio Gora (Garrone), Aldo Reggiani, Pino Caruso, Omero Antonutti. La pellicola era tratta dall’omonimo romanzo edito tre anni prima da Mondadori, il primo e il più popolare dei libri di Fruttero & Lucentini, considerato dagli esperti del genere come il capostipite del giallo italiano. Il celebre critico e storico del cinema Gianni Rondolino commentò che il film raccolse un successo pari a quello del romanzo, aggiungendo che “non poteva essere diversamente con un regista come Comencini e due sceneggiatori come Age e Scarpelli a confezionare un prodotto filmico corrispondente.

Il film mantiene in sostanza quello che promette, e l’ingarbugliata vicenda gialla, un poco sfrondata di episodi collaterali, e di motivi secondari, si scioglie progressivamente secondo le regole di tal genere di prodotti. C’è da osservare che nel film manca quella torinesità che invece costituiva il fascino del romanzo”. La donna della domenica, ambientata da Fruttero e Lucentini nella Torino degli anni Settanta, vedeva la città come vera protagonista del racconto con tutte le sue luci e le ombre, descritta nei dettagli, resa reale in ogni sua piega quasi fosse una sintesi in grado di rappresentare la vita italiana di quegli anni. La trama è nota. Nella calda estate torinese del 1973 viene assassinato nel suo pied-à-terre l’architetto Garrone, un personaggio sordido e scontroso che vive di espedienti, piccoli imbrogli e ricatti. Il brutale omicidio viene consumato con un’arma originale dalla vena artistica: un fallo di pietra. La vittima, a causa del suo carattere e della tendenza a molestare il prossimo, aveva parecchi nemici e molti di loro lo avevano minacciato di morte. Così il tenebroso e affascinante commissario Santamaria si trova a indagare su una vasta lista di persone sospette che si trovano a vivere in modo trasversale tra tutti i ceti sociali della città. Tra queste vi sono Anna Carla Dosio, moglie di un ricco industriale, e Massimo Campi, giovane omosessuale della buona borghesia, che con Garrone deploravano vizi, ostentazioni e volgarità dei loro conoscenti. Santamaria ( con il volto di Marcello Mastroianni nel film) si trova così a indagare tra l’ipocrisia, le assurde velleità e i chiacchiericci che animano il mondo della borghesia piemontese, tra professionisti dalla doppia vita, dame dell’alta società dal fascino snob e industriali privi di scrupoli. Pagina dopo pagina si scopre che la vera indagine non è tanto quella tesa a scovare il colpevole quanto il desiderio di svelare vizi e difetti di una società dove regna la doppiezza. Si passa così dalla noia di ricchi imprenditori e agiati borghesi, alla stanca relazione omosessuale che trascina avanti Massimo Campi fino al disprezzo di quell’ambiente di parvenu per i meridionali immigrati e per i ceti popolari che vivono nei quartieri della città della Fiat. Si intuisce così che Torino, in apparenza ordinata e precisa fino ad essere noiosa, nasconde un cuore nero, cattivo e folle. Sono gli stessi Fruttero e Lucentini a far riflettere nel libro il commissario Santamaria, sostenendo come “altre città regalavano al primo venuto splendori e incantamenti, esaltanti proiezioni verso il passato o l’avvenire, febbrili pulsazioni, squisiti stimoli e diversivi; altre ancora offrivano riparo, consolazione, convivialità immediate. Ma per chi, come lui, preferiva vivere senza montarsi la testa, Torino, doveva riconoscerlo, era tagliata e squadrata su misura. A nessuno, qui, era consentito farsi illusioni: ci si ritrovava sempre, secondo la feroce immagine dei nativi, al pian dii babi, al livello di rospi”.

Marco Travaglini

 

Quando Bard fermò Napoleone

E’ sempre stato un baluardo inespugnabile il forte valdostano di Bard, una fortezza di sbarramento resa famosa dall’assedio di Napoleone e ricostruita dai Savoia. Si arrese solo alle truppe di Napoleone ma quanta fatica, quante perdite umane, che onta per il grande Napoleone Bonaparte che quel giorno rischiò perfino di essere catturato. Andò su tutte le furie per non essere riuscito ad impadronirsi velocemente del forte a causa della valorosa resistenza dei soldati italiani e austriaci e alla fine decise di raderlo al suolo. Con una curiosità: nel maggio del 1800 Napoleone varcò il Gran San Bernardo non su un maestoso cavallo bianco come si vede nel celebre dipinto del David ma a dorso di mulo accompagnato da una giovane guida che trainava l’animale con sopra Napoleone il quale chiese poi a David di essere ritratto su un cavallo focoso. Ma il fatto straordinario di questa vicenda è che Bard, l’avamposto difensivo dell’esercito austro-piemontese, bloccò la Campagna d’Italia di Napoleone. Bard tenne testa ai francesi alla perfezione. Ma come si svolsero questi fatti storici? Per saperne di più è assai utile leggere il libro “La fortezza inespugnabile di Bard: storia dello sbarramento tra Valle d’Aosta e Pianura Padana” dello storico Mauro Minola, edizioni Susalibri. Fu un’incredibile battuta d’arresto per Napoleone, autoproclamatosi Primo Console con il colpo di Stato del 1799, un tale disonore che lo costrinse a reagire in seguito con la distruzione totale del Castel de Bard. Ma torniamo un po’ indietro. L’unico ostacolo imprevisto che si opponeva alla veloce avanzata dei francesi verso la pianura era appunto il forte di Bard, un bastione imprendibile che controllava e difendeva la Valle d’Aosta. Napoleone lo sottovalutò rischiando di far fallire i suoi piani. Eppure la fortezza era difesa da meno di 400 persone contando anche magazzinieri, cuochi e tamburini. All’esterno premeva una forza soverchiante di 40.000 francesi dell’Armée de Réserve. Come si presentava il forte di Bard nel maggio 1800? Aveva ancora la fisionomia di una fortezza medievale ed erano state realizzate nuove batterie per consolidare le difese in vista dell’attacco. Le scorte di viveri e d’acqua erano sufficienti per oltre due mesi ma dai documenti ufficiali dell’epoca trapela che gli ufficiali francesi non avevano nessun timore del forte e dei suoi difensori a tal punto che la fortificazione non era stata tenuta in nessun conto. Minola spiega che “la causa della sottovalutazione di Bard da parte dei generali di Napoleone fu dovuta alla mancanza di informazioni precise e alla carenza di una cartografia aggiornata della Valle d’Aosta. Secondo recenti ricerche dei cartografi Aliprandi è da cercare proprio in questi fattori il motivo per cui Bard non fu considerato un ostacolo così importante”. Nella notte tra il 21 e il 22 maggio un gruppo di soldati francesi camminando curvi dietro i parapetti che costeggiano la strada si avvicinarono alle postazioni difensive degli austro-piemontesi mentre un secondo gruppo di zappatori e granatieri scese lungo i dirupi della montagna impadronendosi della borgata. Occupato il paese di Bard che contava 246 abitanti cominciò l’assedio al forte con “un audace stratagemma” ideato dai francesi. Far passare i cannoni attraverso l’unica strada che lambiva il borgo appena preso dagli assedianti non era impresa facile. Vari tentativi fallirono per la pioggia di fuoco che arrivava dal forte sovrastante e investiva soldati e mezzi militari. Allora si decise di agire di notte ricoprendo le ruote dei cannoni con paglia e fieno per contenere al massimo i rumori del movimento e ingannare la sorveglianza dei difensori sulla strada del paese. La strada lastricata fu ricoperta di letame, paglia e materassi presi nelle case. I cavalli da tiro vennero sostituiti da squadre di 50 uomini adibiti al traino. Tutto perfetto ma non funzionò come era previsto nei piani. Alcuni cannoni passarono integri sotto le difese della fortezza ma ben presto gli austro-piemontesi scoprirono il traffico in corso nella via del paese e scatenarono un inferno di fuoco sui francesi che nonostante le perdite di uomini e mezzi riuscirono a far passare nell’arco di alcune notti una quarantina di cannoni. Infastidito per i ritardi subiti nella spedizione militare Napoleone lasciò Aosta e si avvicinò a Bard per verificare di persona la situazione ma venne circondato a sorpresa da un drappello di soldati austriaci. Si salvò grazie al pronto intervento delle sue guardie che lo seguivano a breve distanza. Era giunto il momento di farla finita. Sul monte che sovrasta il forte vennero portati con grande fatica diversi cannoni ma la potenza di fuoco anche questa volta non fu sufficiente a costringere i difensori alla resa. Il capitano Stockard von Bernkopf, comandante della guarnigione, rifiutò più volte di arrendersi. Dopo alcuni tentativi falliti che lasciarono sul terreno centinaia di morti e feriti, un cannone da 12 libbre venne posizionato di fronte al portone del forte, fuori dalla portata di tiro degli assediati. Il bombardamento aprì brecce sempre più larghe nella mura del forte ma l’esito non fu decisivo per la conquista della fortezza. Decisiva fu la resa degli assediati, stremati ed esausti: la resistenza della guarnigione era giunta alla fine e il comando austriaco ordinò di cessare il fuoco e di arrendersi. I francesi persero oltre 1500 uomini contro i 13 morti e i 61 feriti tra le fila dei difensori. Il baluardo valdostano fu poi nello stesso anno completamente raso al suolo a colpi di mine. Trent’anni dopo Carlo Felice di Savoia lo farà ricostruire. Tra le fortificazioni alpine sabaude il forte di Bard è l’unico che ha conservato l’aspetto che aveva fin dai tempi della sua riedificazione nel 1838. Abbandonato alla fine dell’Ottocento, il forte divenne un carcere militare e in seguito polveriera dell’Esercito italiano. Oggi è di proprietà della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Un libro di storia da leggere tutto d’un fiato.. aspettando “Napoleon”, il kolossal di Ridley Scott, a novembre sul grande schermo.                     Filippo Re
Nelle foto:
Forte di Bard
Copertina libro di Mauro Minola
Napoleone varca le Alpi a cavallo e a dorso di mulo
Napoleone assedia Bard, rievocazione storica

Ventotene non si discute

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Il prof. Quaglieni

Che certi sostenitori improvvisati del Manifesto di Ventotene  appartenenti al Polo del ‘900  si agitino  per letture di massa del documento non deve stupire. Sono terze file soprattutto per ciò che riguarda l’europeismo. Chi ha conosciuto Bobbio sa che ruoli secondari hanno avuto nella quotidianità della vita  del filosofo. Oggi scrivono articoli, insegnandoci cosa sia l’Europa senza averne titolo. L’idea d’Europa nasce dalle lezioni milanesi di Federico Chabod, dagli scritti federalisti di Luigi Einaudi, dalla cultura cattolica di De Gasperi. Forse solo Carlo Rosselli ebbe un po’ di attenzione al tema europeo. Comunisti e socialisti erano allora  filo sovietici e disinteressati ad un’Europa libera che si sarebbe opposta a Mosca. Tutti gli storici seri hanno visto i limiti politici e culturali del Manifesto di Spinelli e Rossi  che pure si fecero anni di  carcere e di confino. Ma essi non avevano le doti intellettuali e culturali per scrivere un manifesto per l’Europa futura. L’avrebbe potuto scrivere  Bobbio o meglio Einaudi o anche Chabod. O  forse De Gasperi. I due confinati erano persone oneste e coraggiose, ma prive della cultura necessaria. L’errore fatto da “Repubblica” di tirare fuori dAll’oblio un ricordo del passato privo di senso politico e di scarso impatto culturale offre alle terze file torinesi  di imitare l’on. alessandrino Fornaro che alla Camera stava per stracciarsi le vesti perché il Manifesto per lui è come un Vangelo laico da venerare. Guai a criticarlo

Il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale compie 20 anni

Il 21 marzo si festeggiano i 20 anni dalla fondazione del CCR – Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, uno dei principali poli del restauro in Italia e riferimento nel panorama internazionale, con la giornata conclusiva della rassegna di incontri dedicata al valore del restauro dal titolo “Conservazione, ricerca e innovazione”, che ha visto la partecipazione dei maggiori protagonisti della conservazione e del restauro a livello nazionale e internazionale.

A distanza di 20 anni dall’istituzione della Fondazione, una riflessione sul “Valore della conservazione” diventa momento per fare un bilancio rispetto al contributo che il Centro ha offerto nel proprio perimetro di azione e per individuare possibili criteri quantitativi e qualitativi che consentano di misurare l’impatto generato dalle attività di conservazione e restauro dei beni culturali: in termini di recupero e riabilitazione del patrimonio storico artistico, di attivazione educativa e formativa, di creazione di nuove competenze e professionalità, di possibile incidenza sul tessuto economico, produttivo e culturale sulle diverse scale territoriali.

Con l’occasione sarà presentata la ricerca in corso, realizzata in collaborazione con la Fondazione Santagata e sostenuta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, dedicata al “Valore della conservazione”.

Saranno presenti: Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura della Camera dei Deputati; Luigi La Rocca, Direttore DiT – Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale del Ministero della Cultura; Michele Coppola, Direttore Centrale Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo e Direttore Gallerie d’Italia; Michele Briamonte, Presidente Consorzio Residenze Reali Sabaude, Luigi Oliva, Direttore Istituto Centrale del Restauro (ICR) di Roma; Paola Casagrande, già Direttore Regionale Direzione Coordinamento Politiche e Fondi Europei della Regione Piemonte; Alessio Re, Segretario Generale Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura di Torino

Seguirà una tavola rotonda moderata dal giornalista e critico d’arte Nicolas Ballario con i soci Fondatori del CCRMario Turetta, Direttore DiAC – Dipartimento per le attività culturali del   Ministero della Cultura; Alberto Cirio, Presidente Regione Piemonte; Stefano Lo Russo, Sindaco Città di Torino e Città Metropolitana di Torino; Fabio Giulivi, Sindaco Città di Venaria; Giulia Anastasia Carluccio, Prorettrice Università di Torino, Marta Bottero, Professoressa Ordinaria, Funzioni aggregate al Prorettore del Politecnico di Torino, Matteo Bagnasco, Responsabile Obiettivo Cultura Fondazione della Compagnia di San Paolo e Annapaola Venezia, Vice Segretario Generale Fondazione CRT.

Nel pomeriggio i componenti internazionali del Comitato Scientifico del Centro incontreranno il pubblico in una sessione dal titolo “Visione e Metodo”, un panorama inedito sul mondo della conservazione, della ricerca e dell’innovazione. Il Comitato riunisce importanti professionalità provenienti dalle più rilevanti istituzioni culturali a livello internazionale.

Corrado Azzollini, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino e Direttore Scientifico della Fondazione CCR; Francesca Casadio, Co-Direttore del Centro per gli studi scientifici sulle arti della Northwestern University – Art Institute of Chicago; Mireille Klein, Responsabile del Dipartimento di restauro C2RMF – Ministero della Cultura e della Comunicazione francese; Marco Leona, David H. Koch Scientist in charge of the department of scientific research Metropolitan Museum of Art, New York; Valerie Magar, Manager Unità Programmi ICCROM; Joanna Norman, Director Victoria & Albert Research Institute and National Art Library, London; Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, Ministero della Cultura, Roma.

È possibile seguire gli incontri in diretta streaming.

Invece nei giorni di sabato e domenica 22 e 23 marzo il CCR sarà aperto ai visitatori e sarà possibile esplorare i laboratori, accompagnati dagli storici dell’arte, restauratori e scienziati del Centro, andando oltre le porte del nuovo Ristoro delle Arti, il centro visitatori inaugurato lo scorso settembre 2024.

Nello stesso fine settimana, la città di Venaria si animerà grazie anche alla grande festa dedicata alla fioritura dei ciliegi nei giardini della Reggia di Venaria “All’ombra dei ciliegi in fiore”, (per info e biglietti: www.lavenaria.it).

Le celebrazioni proseguiranno in maggio con la partecipazione all’interno del Salone Internazionale del Libro di Torino (15-19 maggio 2025) attraverso incontri diffusi con esperti che affronteranno tematiche diverse, da progetti di conservazione urbana a percorsi di educazione e formazione sulla cultura del restauro.

A fine giugno avrà luogo lo “Young Professionals Forum”, appuntamento di condivisione e scambio nato per stimolare a livello internazionale sinergie tra professionisti, in particolar modo  giovani che qui hanno la possibilità di presentare le proprie ricerche e di confrontarsi con nomi già affermati nel campo. Al Forum, come case history di successo, verranno inoltre invitati i Laureati del corso di laurea che stanno svolgendo attività internazionali presso importanti realtà museali. Per il CCR, nato nel 2005 con figure under 30, i giovani di oggi devono essere i primi ambasciatori della sua attività.

Le celebrazioni si concluderanno in dicembre con l’importante Convegno dedicato a Pinin Brambilla Barcilon, in occasione del Centenario dalla sua nascita. Nota in tutto il mondo per i restauri dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e di altri capolavori dell’arte italiana, Pinin Brambilla è stata la prima direttrice dei laboratori di restauro del Centro e il suo archivio con la documentazione prodotta durante gli anni di attività, riordinato e digitalizzato, è oggi conservato al CCR e fruibile da tutti.

Fondazione nata il 21 marzo 2005, il CCR – Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale è uno dei principali poli del restauro in Italia e riferimento indiscusso nel panorama internazionale. Caratterizzato da un operato che si muove lungo le quattro macro-direttrici della conservazione e restauro, della scienza, della formazione e della documentazione, ha al suo interno nove Laboratori di Restauro, i Laboratori Scientifici e la Scuola di Alta Formazione con un Corso di Laurea Magistrale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali.

 

Il CCR ha sede nelle settecentesche Scuderie della Reggia di Venaria progettate da Benedetto Alfieri e riprogettate secondo una concezione contemporanea dallo Studio Derossi (1998-2004) in un interessante dialogo tra antico e moderno. L’intero complesso monumentale è patrimonio UNESCO.    

www.centrorestaurovenaria.it

Tornano le Giornate del FAI di Primavera a Torino e dintorni

Si ripropongono quest’anno, a cura della delegazione FAI di Torino

Torna il più importante evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese, con l’apertura eccezionale a contributo libero di 105 luoghi di 51 città di Piemonte Valle d’Aosta. Sabato 22 e domenica 23 marzo prossimi tornano per la XXIII Edizione le Giornate FAI di Primavera, organizzato dal FAI – Fomdo per l’Ambiente Italiano ETS in 400 città, grazie all’impegno di tutti i volontari. La partecipazione popolare ha portato a più di 13 milioni di visitatori in 32 edizioni, segno del riconoscimento della missione educativa del FAI, che dal 1975 si impegna a raccontare e valorizzare le meraviglie e i tesori nascosti che ci circondano, promuovendone la conoscenza, la cura e la tutela da parte della collettività.

Sarà possibile, grazie alla delegazione FAI di Torino, visitare dalle ore 10 alle 18, con ultima visita alle 17, il secondo piano di Palazzo Reale, l’appartamento del Principe. Mentre il primo piano aveva funzione di rappresentanza dinastica e di residenza del sovrano, il secondo era destinato ai principi ereditari e alle loro consorti. Particolarmente sontuoso fu k’allestimento predisposto per le nozze di Carlo Emanuele, futuro Carlo Emanuele III, con Anna Cristina di Baviera Sultzbach, celebrato nel 1722, da Filippo Juvarra, che per l’evento realizzò la Scala delle Forbici, capolavoro assoluto della Reggia Torinese. L’appartamento fu poi rallentato da Benedetto Alfieri a metà del Settecento per Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, di cui si possono ammirare i ritratti nel corso della loro vita. Nella prima metà dell’Ottocento Pelagio Pelagi ridisegnò in termini neoclassici l’immagine interna per Vittorio Emanuele, il futuro primo Re dell’Italia Unita, e Maria Adelaide d’Asburgo. In questo sovrapporsi di stili si inserisce, nel 1925, il Principe ereditario Umberto, trasferitosi a Torino per seguire le manovre del suo reggimento, decidendo di riallestire le 30 sale eliminando quasi del tutto l’allestimento palagiano. Disallestito nel 1960, e dimenticato per mezzo secolo, l’appartamento è stato recentemente restaurato. Il pubblico potrà apprezzare così la straordinaria continuità artistica offerta dalle sale rese visitabili, la preziosità di arazzi, arredi, dipinti e suppellettili della dimora dell’ultimo Re d’Italia.

Sempre a cura della delegazione FAI Torino sarà possibile per il pubblico visitare il Palazzo della Prefettura, già Segreteria di Stato, in piazza Castello 201. Dopo lo splendore delle decorazioni dei sontuosi arredi, emozionerà visitare il piccolo studio di Camillo Benso Conte di Cavour, dominato dal sorprendente ritratto non dello statista ma del sovrano di cui fu magistrale Ministro, Vittorio Emanuele II, realizzato da Angelo Capisani. L’apertura al pubblico della Prefettura ha un carattere di eccezionalità, permettendo di conoscere le sale dove sono stati decisi i destini del Regno di Sardegna, e poi dell’Italia Unita, e dove oggi si svolgono gli incontri più importanti. In Prefettura viene ospitato il Presidente della Repubblica nei suoi soggiorni torinesi.

Grazie all’impegno dei volontari della delegazione FAI Torino sarà possibile visitare dalle 10 alle 18, con ultima visita alle 17, il Castello di Lucento, in via Pianezza 123. I castelli della Città di Torino sono quattro: Palazzo Reale, Palazzo Madama, Castello del Valentino e il Castello di Lucento, meno noto ma attestato su una fertile ansa della Dora con funzione difensiva e di avvistamento fin dal 1335, quando il Duca Emanuele Filiberto di Savoia rilevò alcuni terreni circostanti ampliandone la proprietà e facendola divenire la tenuta di caccia e la residenza prediletta fuori dalle mura.

In occasione delle Giornate FAI sarà possibile visitare il Castello ed eccezionalmente ammirare tutti gli ambienti che ancora presentano un forte valore storico e architettonico, a partire dagli esterni immersi nel verde, con il fossato e il ponte, il loggiato rinascimentale che emerge dalla facciata, il magnifico sottotetto con le orditure all’antica e il meccanismo dell’orologio, le merlate inglobate nelle pareti, ma parzialmente scoperte dal restauro, e gli ambienti del primo piano dedicate al “laboratorio dei sensi” con un bellissimo progetto di valore sociale per l’infanzia che affascinerà piccoli e grandi in egual misura.

Apertura dedicata agli iscritti FAI sarà quella di Palazzo Cavour, in via Cavour 8, posto all’angolo tra la via omonima e via Lagrange, l’antica contrada seicentesca dei conciatori, in pieno centro storico. Il progetto dell’edificio si deve all’architetto Gian Giacomo Plantery, che nel 1729 ampliò e rinnovò l’edificio preesistente su committenza di Miche Antonio Benso, trisavolo di Camillo Benso. In questa veste, l’appartamento che fu dello statista viene eccezionalmente mostrato al pubblico delle Giornate FAI, che potrà ammirare il maestoso scalone, il salone d’ingresso con il ritratto dello statista, i soffitti affrescati raffiguranti episodi della mitologia greco romana, specchiere e camini.

A cura del Gruppo FAI Giovani Torino sarà possibile ammirare il Palazzo Ferrero d’Ormea, sede della Banca d’Italia, realizzato nella parte meridionale delle antiche mura della città di Torino, oggetto del grande ampliamento edilizio voluto da Carlo Emanuele I nel primo trentennio del 1600, situato presso la scenografica Piazza San Carlo. La visita consente di apprezzare le sale di rappresentanza del piano nobile attribuito all’architetto di Corte Amedeo di Castellamonte, impreziosite da arredi che spaziano dal XVI al XIX secolo di provenienza italiana e inglese. Eccezionalmente sarà possibile visitare la parte più segreta della banca, il caveau sotterraneo, dove si conservano le quasi 5 mila cassette di sicurezza nell’allestimento originale degli anni Trenta.

Sarà possibile scoprire gli scorci e gli edifici più significativi della città su un tram storico degli anni Trenta, giunto ormai alla sua XVIII edizione. Questo è il senso della collaborazione tra la delegazione FAI Torino e la ATTS Associazione Torinese Tram Storici. Domenica 23 marzo vi saranno partenze ogni 30 minuti circa, dalle 15 alle 18, con capolinea di fronte al Teatro Regio. La vettura storica, perfettamente restaurata, porterà i torinesi a scoprire i luoghi che la delegazione FAI aprirà durante le sue Giornate.

A cura del Gruppo FAI della Valsangone, i visitatori avranno l’opportunità unica di esplorare il Castello di Rivalta, in un percorso che include la visita anche alla biblioteca comunale, che custodisce una vasta collezione, documenti e libri secolari e gli ambienti del Castello, dove si potranno ammirare affreschi dell’antico torrione.

Il Gruppo FAI delle Colline dal Po al Monferrato guiderà la visita di Villa Bria, che sorge in una posizione strategica dove i Ducati di Savoia e del Monferrato confinavano, a circa 18 km dal centro di Torino. È immersa nella natura e gode di un’ampia vista panoramica.

Curata dal Gruppo FAI Pinerolo è la visita, dalle 10 alle 17.30, al Castello di Macello, in via Castello 9 a Macello (TO), che sorge nella pianura pinerolese, nato come costruzione fortificata a carattere militare nel 200, a fianco del Recetto, primitivo nucleo dell’attuale paese. Si tratta di una dimora privata importante che non ha modificato l’impianto originale e il fascino dell’antico maniero medievale.

Mara Martellotta

Il conte di Lauriano e il conte di Varengo. Analogia matrimoniale

Giacinto Magnocavallo (1739-1806) conte di Varengo, signore di Monromeo e consignore di Cuccaro fu un politico, poeta e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1801 al 1806 nella classe di Scienze Morali Storiche Filosofiche. Era figlio di Francesco Ottavio Magnocavallo, sindaco di Casale, provveditore, riformatore scolastico provinciale, letterato, architetto molto noto in Monferrato ed esponente del barocco piemontese. A Casale costruì la facciata della chiesa di Santa Croce, la chiesa dell’Addolorata, il palazzo Callori, il palazzo Magnocavallo e le chiese di Varengo, San Germano, Balzola, Penango, Fabiano e la chiesa di Odalengo Grande commissionata dal cognato del figlio Giacinto, il marchese di Treville e di Odalengo Luigi Gaetano Gozzani. Giacinto si era sposato nel 1775 con la vedova Eleonora Gozzani (1752-1832) dama di rilievo molto bella e ricca di notevole spirito e virtù, figlia del marchese Giacomo Bartolomeo di Treville, sindaco e provveditore di Casale. Già sposata in prime nozze nel 1771 con il conte di Lauriano Giuseppe Maria Ferrero (1751-1774) da cui ebbe una figlia, Eleonora ereditò gran parte dei beni della madre Isabella, discendente della ricchissima famiglia Lascaris di Ventimiglia.

 Nel 1774 Eleonora ricevette l’ultima toccante lettera scritta in francese dal marito Giuseppe ricoverato in fin di vita, indirizzata a “Madame la contesse de Laurian neè Gozani de Treville, Civas, Laurian: Cara gioia, amatemi sempre come io di vero cuore amo voi e io vi amerò per sempre”. Il cittadino Giacinto Magnocavallo, commissario del governo provinciale casalese della Repubblica Francese nel 1799 e 1800 ebbe come segretario il marchese di Treville Luigi Venanzio Gozzani, cugino della moglie Eleonora. Con una lettera del 5 agosto 1800 esortarono il parroco di Cereseto ad utilizzare le funzioni religiose per dare indicazioni “ai più rozzi e idioti cittadini coltivatori di campagna” sulle conseguenze del flagello della epizoozia,  diffusione di una malattia animale. Entrambi di idee volteriane, l’anno successivo furono condannati ad un anno di prigione durante l’occupazione austro-russa e rinchiusi nel carcere di Vigevano. Con le lettere del 1801 inviate dal carcere a Madame Eleonore Varengo supplicarono la grazia tramite il suo procuratore dopo la sentenza di condanna dell’avvocato fiscale generale del Senato. Dopo il cambio di governo del 1801, Giacinto fu nominato deputato del corpo legislativo di Parigi e Luigi Venanzio commissario del governo di Casale al posto di Giacinto.

Da Eleonora ebbe quattro figli, Corrado, Luigia, Ippolito, Annibale e il ricco patrimonio, acquisito come unico erede maschio alla morte del padre Francesco Ottavio a Moncalvo, fu scialacquato dalla loro vita sfarzosa nella capitale francese. A Casale Monferrato i Magnocavalli erano già stati riconosciuti famiglie patrizie di baldacchino ma il titolo nobiliare fu ereditato per procura nel 1575 da Fabio Cane, signore  di Monromeo e conte palatino discendente del condottiero Facino, padre di Anna Vittoria  moglie di Curzio Magnocavallo. Anna Vittoria Cane portò in dote il feudo di Monromeo al matrimonio con il medico Curzio, vittima delle soventi liti tra l’antica e la nuova nobiltà monferrina con i sostenitori dei Mossi di Morano e Magnocavalli da una parte e gli Ardizzoni e Scarampi dall’altra, ferito a morte nel 1662 davanti al palazzo del governo da Alessandro e Giacomo Sannazzaro sostenitori degli Ardizzoni, condannati all’esilio dal duca Carlo II° Gonzaga-Nevers. Il feudo di Torre Monromeo di Serralunga di Crea era stato assegnato a Giovanni Battista Forni, il precedente proprietario investito nel 1538 da Anna d’Alencon. Teresa Gozzani (1824-1891) cugina di Eleonora, figlia di Giovanni Battista Gozzani di Luzzogno e Petronilla Callori di Vignale, fu l’ultima contessa di Monromeo.
Armano Luigi Gozzano 

Sant’Antonio di Ranverso: Viva Jaquerio! Una visita immersiva

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Domenica 16 marzo, ore 15

alla scoperta di uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale del Piemonte per i 650 anni dalla nascita

 

In occasione dei 650 anni dalla nascita di Giacomo Jaquerio, la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso propone una speciale visita immersiva nella vita di uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale del Piemonte che a Ranverso ha lasciato proprio la sua firma e il suo più grande capolavoro.

Nato nel 1375 circa a Torino da una famiglia con una lunga tradizione nella pratica della pittura, vive la prima parte della sua vita tra continui spostamenti fra Torino, Ginevra, Thonon-les-Bains ed altre località d’oltralpe, lavorando al servizio di Amedeo VIII di Savoia e ricevendo commesse da istituzioni religiose e da importanti casate nobiliari. Dal 1429 in poi abitò stabilmente a Torino. Della sua vasta produzione solo pochissime opere sono documentate. Il primo documento certo relativo a Jaquerio è la sua firma, scoperta solo nel 1914 sugli affreschi dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, databili intorno al 1410, epoca in cui l’artista doveva già essere a capo di un’ampia bottega. La Salita al Calvario è il suo capolavoro caratterizzato da toni marcatamente realistici di crudeltà e dolore che ne fanno un brano pittorico di grande tensione drammatica.    

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Domenica 16 marzo, ore 15

Viva Jaquerio!

Costo visita: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietti: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

È indispensabile la prenotazione entro il giorno precedente.

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

Ecomuseo dei Seggiolai di Azeglio, una storia antica che inizia con “un pezzo di legno”

C’era una volta… “un pezzo di legno” scriveva Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Anche questa storia inizia con un pezzo di legno, ma il legno non è destinato a diventare burattino, bensì una sedia impagliata che in comune con Pinocchio ha avventure, viaggi e un legame stretto con i suoi artigiani: il seggiolaio, il cadregat in dialetto e l’impagliatrice, l’ampajaura.

L’attività, sviluppatasi a partire dalla metà dell’Ottocento, coinvolge gran parte delle famiglie del Comune di Azeglio e si sviluppa a tal punto da riuscire a dare impulso non solo al commercio locale, ma a creare flussi stabili verso il Nord Italia, la Svizzera, la Francia e gli Stati Uniti, affievolendosi, per poi cessare del tutto intorno agli anni ’80 del secolo scorso, travolta dalla produzione in serie, dalle macchine e dall’utilizzo di quella tecnologia che ha tutto uniformato, spazzando via il calore del passato a vantaggio della freddezza di un presente sempre più rapido e superficiale. Nel 2004, con grande impegno e amore, i volontari dell’Associazione ARTEV hanno creato l’ecomuseo “La Cadrega fiurja”, un piccolo gioiello che custodisce e sottrae al trascorrere del tempo il racconto della nascita della produzione e dell’impagliatura delle sedie, un luogo di gozzaniana memoria dove regna non il rimpianto, ma semplicemente quella sottile malinconia che tutto avvolge e tutto rende caro.

Ai locali si accede attraverso una piccola scalinata che da piazza Massimo d’Azeglio scende verso via XX Settembre, costeggiando la Torre Campanaria e la Chiesa Parrocchiale. Una lungo e ampio ingresso ospita numerosi esemplari di sedie sottratte al trascorrere del tempo, sedie umili per la cucina contadina e sedie eleganti per la sala da pranzo, sedie impagliate con la lesca, l’erba palustre che con la paglia di segale costituisce la seduta, e sedie alle quali si intreccia la canapa, sedie che si fronteggiano e si affiancano, richiamando alla mente la “Sedia di Vincent” e la “Sedia di Gauguin” dipinte da Van Gogh, in apparenza vuote, ma evocative di presenze, di volti, di storie, di emozioni. Non poteva mancare la ricostruzione della sala da pranzo o salotto con i manufatti azegliesi, con il servizio “buono” che nessuno utilizzerà, con il canapè impagliato sul quale non siederà nessuno, con i volti sottratti per sempre al trascorrere del tempo da uno scatto fotografico. “Fuga delle stanze morte! Odore d’ombra! Odore di passato!”, citando Gozzano. E poi la cucina con l’angolo per impagliare e il laboratorio di falegnameria del cadregat con gli utensili, gli attrezzi, le sedie incompiute, la paglia ancora da intrecciare. Questo sito espositivo che dovrebbe essere conosciuto e protetto, come conosciute e preservate devono essere le nostre radici perché il presente e il futuro non si possono costruire senza passato, senza origini, senza un punto dal quale partire e al quale tornare, rappresenta solo una cellula dell’Ecomuseo, che si compone anche del “Sentiero della lesca”, il percorso naturalistico nel bosco e sulla sponda azegliese del lago di Viverone, dove si può osservare l’erba lacustre usata per l’impagliatura, e dovrebbe coinvolgere la vecchia fabbrica di sedie fondata nel 1879 dal cav. Santina, in regione Pila, nella quale i macchinari funzionano ancora. Una via dell’anima, un ritorno alle origini e alle storie delle generazioni che ci hanno preceduto, di quegli antenati che vivono nelle memorie e nei gesti ripetuti, oltre che nei nostri cuori e che un umile oggetto come una semplice sedia può riportarci, per caso, alla mente, simile alla “madeleine intinta nell’infuso di tiglio del ricordo”.

 

Barbara Castellaro

 

Visite su prenotazione

P.za M. d’Azeglio – 10010, Azeglio

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Giuseppe Luigi Lagrange, nato Lagrangia a Torino

«Chi ha ottenuto notorietà all’estero, dovrebbe averla anche in patria» giusta affermazione, ma, e gli insuccessi? «in tal caso non tutto va detto» intervento pronto di qualcuno ….


Noi però crediamo che la verità storica non debba mai essere sottaciuta (e neppure addomesticata per soddisfare agli interessi di qualcuno). Cercherò allora di dirvi perché intendo parlare di Lagrangia (nome con il quale, nel 1736, il nostro personaggio venne registrato nell’atto che, primo, testimoniala sua venuta alla luce proprio a Torino).

Negli anni scorsi, Torino ha dedicato meritate attenzioni al matematico Giuseppe Luigi Lagrange (Torino, 1736 –Parigi, 1813), che, con il medico Cigna e il conte Saluzzo, fu fondatore della Società Privata che originò poi la nostra Reale Accademia delle Scienze. Così, nell’autunno del 2013, furono allestite una mostra e una pubblicazione di 128 pagine illustrate, sotto il titolo: «Lagrange. Un europeo a Torino». La scelta di quelle parole, però, non fu moltofelice perché, enfatizzando il cognome francese, sembravavoler dar lucro alla Città recuperando alla causa un transalpino! Operazione questa del tutto inutile e almeno non necessaria, perché si sa che, proprio da Torino,partirono personaggi e iniziative che ebbero successo in tutto il mondo.

Ora però andiamo alle pagine di quel volumetto, frutto dellacollaborazione di alcuni specialisti.

Nulla da eccepire sulle disamine attente degli storici della scienza, e meno male che si è anche ricorsi a studiosi come Maria Teresa Borgato e Luigi Pepe che al matematico«Lagrange» avevano già dedicato un elegante volumetto (illustrato di 206 pagine, edito a Torino nel 1990), nel quale, senza segnalarlo, si fece emenda della genealogia famigliare di Antonio Manno, sostituendo addirittura anchei nomi di alcuni personaggi riferiti da lui. – Disdicevole comunque era la divulgazione di questi nuovi elementi di storia famigliare, senza tener conto di quanto altri, più vicini a noi nel tempo, avevano scritto sull’argomento. Ricorderò allora che i nobili Lagrange sono stati argomentodel prezioso saggio, intitolato «Familles de La Grange La Grange –d’Arquien & La Grange – Trianon», facilmente accessibile in rete, dove fu pubblicato da Etienne Pattou nel 2006, con “dernière mise à jour: 21/02/2022 sur http://racineshistoire.free.fr//LGN, che nulla dice del nostro scienziato, delle sue origini e della sua famiglia. Per le commemorazioni torinesi del 2013, quindi, sarebbe stato auspicabile che si rendesse noto il luogo in cui, in Francia, nacque l’antenato suo che per primo si trasferì in Piemonte(evidentemente, i polverosi documenti dell’Archivio di Stato scoraggiarono le ricerche e si decise di lasciare le carte tranquille, tutelate dal loro silenzio centenario)!

Però, siccome quel nome di famiglia è presente negli Stati Sabaudi al di là dei monti, viene da segnalare che, su quelle zone, pubblicò Hippolyte Tavernier (Taninge et ses environs. Mémoire descriptif et historique, 1888,) rilevandola presenza dei Lagrange in Faucigny (la terra, fin dal XIV Secolo, frequentata dai nostri antenati). La circostanza ètaciuta non solo dal Manno, ma anche dal Pattou, che neppure nomina, in Savoia, l’esistenza storica di un marchese Lagrange, Jacques Abraham Raimond, morto nel 1854, e di un suo nipote, Marie Frédéric conte de Lagrange,sposo di Marie Antoinette Burdet (1828-1899), la figlia di quell’Aimé (1790-1862), libraio e tipografo della famosa stamperia di Annecy (il cui titolare, fregiato del titolo di «Imprimeur de l’Evêché et du Clergé», iniziò a operare nel 1732, con Jean-Baptiste da Seyssel, avolo di Aimé. mentresuo figlio Charles, che pure si era impratichito nella professione a Parigi, avrebbe ceduto la proprietà della libreria ad Abry nel 1872, e quella della tipografia a Niératnel 1876).

Ciò detto mi scuserò per questa digressione(genealogicamente basata su Geneanet-Albero genealogico Pierre Blanc, e storicamente su studi di S. Coutin, nostri e di altri), ho fatto cenno di un ramo collaterale del casato del quale porto il nome, quindi, forte dei miei studi ultraventennali sul XVIII Secolo, già opportunamente pubblicati (con contributo della Regione Piemonte e titolo:Carlo Antonio Napione (1756 – 1814), Artigliere e scienziato in Europa e in Brasile, un ritratto, Torino, Celid, 2005, 2 tomi illustrati di pp. XVI+940], farò una doverosaemenda puntualizzando quanto fu scritto, undici anni or sono, su Lagrange in merito al suo rapporto con le Scuole di Artiglieria torinesi.

Studiando le origini dell’Artiglieria Piemontese infatti, ho ritrovato, letto, trascritto e pubblicato (nel tomo 1° di quella mia opera) diversi documenti conservati tra le Carte Antiche d’Artiglieria alle Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato di Torino. In particolare l’«Informazione rassegnata a S.M. dal Direttore Generale delle Scuole d’Artiglieria D’Antonj, nella quale si descrivono i motivi dello stabilimento di dette Scuole, le addizioni fatte in seguito al primiero Regolamento, i mezzi, ed i modi adoperati dal medesimo Direttore per conseguire il fine, cui mira tale Stabilimento, ed i progressi, che ne sono derivati da tutte le disposizioni prese a tale riguardo» datata 17 ottobre 1776. Poiché in quelle pagine è chiaro che «si è dato principio li 2. del 1770 a un quarto Corso di studj teorici colla scelta di nuovi Cadetti ... Questo corso, è stato terminato in fine d’Agosto 1776 coll’esito descritto nella memoria de’ 6. Luglio del Direttore generale, e nella relazione del primo Settembre dello stesso anno per le scuole teoriche. Le materie insegnate in questo Corso sono le medesime già spiegate nel Corso precedente a norma delle addizioni del 1755, con questo divario però che siccome i trattati matematici formati da’ due diversi soggetti (§10H) quantunque esimj in se medesimi, erano fra essi slegati a segno, che hanno non pocco imbarazzato gli studenti, così il Direttore generale ha per questo corso rifatti essi trattati, di modo che nell’escludere ogni diramazione non necessaria alla professione d’Artigliere, e d’Ingegnere, ha procurato di condurre gli Allievi per la strada più breve, e facile all’acquisto di quelle notizie, che per essi sono indispensabili» e, in nota, il generale  Papacino andava chiarendo: «Il talento sublime del sostituito La Grangia, che con tutta ragione lo ha collocato fra i primi Accademici d’Europa, non le ha permesso di sminuzzare i rudimenti a noi necessarj, onde hanno giudicato rettamente coloro, che nell’altro corso ne hanno censurato i trattati per essere troppo elevati, metafisici, difusi in materie estranee, e mancanti d’applicazione alle professioni d’Artigliere, e d’Ingegnere. Ma se taluno pronunciasse lo stesso giudizio sulli insegnamenti fatti in quest’ultimo corso, si dimostrerebbe digiuno in queste materie».

Grazie a quanto scrissi sul nostro Napione, queste notizie avrebbero potuto essere prese in considerazione, perLagrange, infatti i miei due tomi, già pubblicati da otto anni, erano presenti, non solo in Italia, ma nelle principali biblioteche del mondo però, su quell’opera, ritornerò ancora , in questa sede.

Carlo Alfonso Maria Burdet

Luigi Costa, re delle vetrate artistiche

Luigi Costa nacque a Mantova nel 1887 Fu allievo della fiorente scuola di arte mantovana, rivelando fin da allora particolare predilezione per la vetraria artistica, fu compagno del noto pittore e scultore Alfonso Monfardini e del pittore Giovanni Minuti.

Terminati gli studi di disegno ottenuti con un diploma di primo grado, decise di partecipare all’ Esposizione Internazionale di Milano per trasferirsi nella capitale lombarda e studiare presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera (Milano).
Nel 1910 Luigi Costa fondò  ad Alessandria l’apprezzatissimo laboratorio di vetrate artistiche, aprì nel 1913 un negozio d’arte che ebbe subito meritata fortuna.
Fu l’affermazione definitiva di un uomo di gusto e talento, partecipa alle maggiori esposizioni nazionali ed estere vincendo le medaglie d’oro.
Le vetrate artistiche di Luigi Costa figurarono con grande successo, ottenendo ovunque plausi di critica e di pubblico e procurando al loro autore premi tra i più significativi e ambitissime onorificenze.
Il medagliere dei Costa è indubbiamente uno dei più cospicui ed eloquenti che artista possa desiderare. Innumerevoli chiese parrocchiali del Piemonte, della Liguria, della Lombardia sono abbellite dalle importanti vetrate artistiche.Una di esse è anche in Vaticano nel 1927, accolta a suo tempo dal compiacimento del Pontefice Pio XI che lo stesso Segretario di Stato Card. Gasparri si premurò di comunicare all’artista.
Tra le molteplici amicizie di spicco quella con l’industriale Teresio Borsalino il quale gli ha commissionato parecchi lavori.
Le vetrate artistiche del Maestro Costa si distinguono in due categorie:
Sacre e civili, restano tutt’oggi e sono visibili in Piemonte, Liguria e Lombardia, ad Alessandria nelle Chiese di Santa Maria di Castello, Chiesa di S. Alessandro, Convento dei Frati Cappuccini ecc..
Si specifica che per quanto riguarda la  carriera dell’arte vetraria le opere civili (case, ville, hotels, negozi, edicole, uffici ecc..) sono molte di più delle opere sacre e difficili da documentare.