Stare bene con noi stessi

Evitiamo la trappola del vittimismo / 2

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“Eh, che maniere! Qui fanno sempre così, perché loro sono grandi e io sono piccolo e nero… È un’ingiustizia però!” … Erano le parole con le quali il piccolo pulcino Calimero esprimeva il suo sconforto. In qualche modo una frase tipica anche dell’adulto che si sente vittima del mondo…

Il vittimista ha un atteggiamento immaturo nei confronti della realtà e tende a considerarsi il centro di un mondo ingiusto e ingrato mei suoi confronti. In altre parole, chi fa la vittima si ritiene speciale in modo negativo, per cui solo a lui/lei capitano cose brutte e i problemi che ha sono i peggiori e i più gravi che esistano.

Che questo atteggiamento sia frutto di una effettiva convinzione, o sia al contrario semplicemente una modalità di comportamento strumentale, in ogni caso il vittimismo è la conseguenza di una bassa (se non del tutto assente) autostima, che rende il vittimista incapace di affrontare la vita nelle sue piccole e grandi difficoltà.

E lo porta a rifugiarsi in una realtà immaginaria, dove la responsabilità di ciò che non funziona e lo rende infelice non è mai sua, ma di forze esterne imprevedibili e ingovernabili. Resta il fatto che questo comportamento permette al vittimista in qualche modo di sgravarsi della maggior parte degli oneri esistenziali e, appunto, della responsabilità individuale.

Egli spera in tal modo di ottenere indulgenza, affetto e protezione. In definitiva, chi si comporta da “Calimero” mette in pratica una distorta strategia di adattamento e sopravvivenza, che fa leva sul senso di accudimento e di colpa di chi gli sta accanto. Il vittimismo diventa così un subdolo e pericoloso tiranno.

Che tenta di costruire un mondo nel quale tutti si preoccupano (o dovrebbero preoccuparsi) per lui e agiscono nel suo interesse. Ma se, a tutta prima, queste dinamiche apparentemente sono funzionali a portare vantaggi, in realtà il modo di essere e di fare del vittimista finisce con l’avere conseguenze decisamente negative, sia su chi, in modo più o meno consapevole, lo mette in atto, sia su chi lo subisce.

(Fine della seconda parte dell’argomento).

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

Evitiamo la trappola del vittimismo / 1

Buona domenica a tutti i lettori de Il Torinese! Mi è capitato più di una volta, nelle ultime settimane, di relazionarmi con clienti che sono in qualche misura preda del loro vittimismo. Ma cos’è questa negativa propensione, spesso causa di notevole malessere interiore e di un malinteso senso della realtà, che tra l’altro porta spesso a comportamenti e decisioni carenti di buon senso?

La persona che soffre di vittimismo crede di essere costantemente vittima di azioni dannose o lesive da parte degli altri, anche quando le prove del contrario sono evidenti. Senza dubbio sarà capitato a ognuno di noi, in certi particolari periodi o momenti della nostra vita, di sentirci un po’ vittime di certe situazioni, persone, accadimenti, ecc.

La maggior parte delle persone attraversa periodi di autocommiserazione, ad esempio durante un processo di elaborazione di un lutto o di una perdita, ma questi episodi sono transitori e di durata decisamente minore rispetto ai sentimenti di profonda perdita di speranza, pessimismo, colpa, vergogna, fino alla disperazione e alla depressione, che consumano e tormentano la vita di una persona affetta da vittimismo.

Il vittimismo è una specie di lente deformante che porta a vedere se stessi continuamente perseguitati dalla sorte e dagli eventi, un modo di essere e di fare che finisce col danneggiare ulteriormente la propria vita e quella degli altri. Forse qualcuno tra i lettori della Pagina ricorderà un celebre personaggio di animazione della pubblicità di Carosello di molti anni fa.

Il pulcino Calimero… Il celebre “pulcino nero”, nato per uno spot pubblicitario della Mira Lanza, un’azienda produttrice di detersivi, che cadeva nella fuliggine e sporcandosi diventava nero, e non veniva più riconosciuto dalla mamma. Negli anni Calimero è diventato una sorta di emblema per descrivere chi si sente perseguitato da tutto e da tutti, il vittimista “seriale”, appunto…

La buona notizia è che smettere di fare la vittima è possibile. Anzi, è necessario, per tornare a vivere un’esistenza piena e significativa. Occorre però prendere consapevolezza dei pochi vantaggi e dei tanti danni che il vittimismo procura. E da qui trovare la motivazione per un sano cambiamento di prospettive e di comportamenti. Ne parleremo con il post di domenica prossima su Il Torinese.

(Fine della prima parte dell’argomento).

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Roberto Tentoni
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Affrontare il cambiamento / 3

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Il cambiamento parte dalla consapevolezza dei vantaggi che ne derivano, ma per averli ben chiari dobbiamo prima avere contezza anche di tutti gli svantaggi insiti nella situazione in cui siamo, e nel non cambiare. Non c’è motivazione senza questa chiarezza, e non c’è vero cambiamento senza una profonda e stimolante motivazione.
Certo, per affrontare il cambiamento serve coraggio, anche quello di guardare ai nostri limiti, magari scoprendo un’immagine di noi stessi e della nostra reale situazione diversa da quella che vorremmo vedere, e serve il coraggio di venire a contatto con le nostre parti più fragili, più impaurite e quindi più refrattarie al cambiamento.
Come adattarci allora nel modo migliore al cambiamento necessario? In ogni caso, per avere il giusto rapporto con il cambiamento è necessario che siamo in grado di non essere eccessivamente e negativamente attaccati alle nostre abitudini, alle persone e alle cose.
La paura di cambiare, che si tratti del lavoro, di una relazione, di una abitazione, eccetera, è dovuta anche all’eccessivo attaccamento emotivo che abbiamo sviluppato.  E quali sono i comportamenti da adottare per far si che qualsiasi cambiamento avvenga nel modo migliore?
Premesso che non sempre cambiare è necessario od opportuno, sta a noi comprendere se e quando è bene assecondare il cambiamento e modificare le nostre abitudini e i nostri comportamenti. Impariamo ad ascoltarci, ad ascoltare il nostro corpo e le nostre emozioni e sensazioni
Anche quelle che ci piacciono di meno, come la paura, la rabbia e l’ansia, perché esse ci possono suggerire la nostra posizione rispetto al cambiamento da effettuare. Se lo facciamo con attenzione, saremo in grado di dare loro la giusta risposta.
(Fine della terza e ultima parte dell’argomento).
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Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

Affrontare il cambiamento / 2

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La prima ragione per cui il cambiamento può essere destabilizzante sta nel fatto che cambiare significa, inevitabilmente, lasciare indietro una parte di noi. Che si tratti di chiudere una relazione o di dover apportare significativi cambiamenti nel nostro modo di lavorare, di dover cambiare casa o di accettare la perdita di una persona cara.

Di un bene a cui tenevamo molto, o di qualsiasi altro cambiamento la vita ci imponga. Se ci pensiamo bene in ogni cambiamento, piccolo o grande che sia, qualcosa dentro di noi “muore”. E, che ne siamo o meno consapevoli, ci crea uno stress emotivo, e traumi, in genere piccoli e impercettibili, ma talvolta devastanti.

Anche quando il cambiamento non ci viene obbligatoriamente imposto, ma parte dal nostro desiderio e dalla nostra volontà, si porta sempre dietro una certa quantità di stress e di ansia…
È soprattutto per questa ragione che molte persone sono perennemente indecise di fronte alla scelta di un cambiamento da loro comunque desiderato.

Oppure in grande e talvolta insormontabile difficoltà nell’adattarsi a un cambiamento che viene imposto da condizioni non dipendenti dalla loro volontà. Succede quando abbiamo la sensazione che il “costo” in termini di energie e tempo da spendere, di stress e di difficoltà, superi il beneficio del cambiare o dell’adattarsi positivamente al cambiamento.

E quindi siamo bloccati dal dubbio, dall’incertezza, dalla resistenza, e non riusciamo a scegliere.
Il primo passo per superare questa impasse consiste nel prendere consapevolezza della fatica e dello stress emotivo che si accompagna al cambiamento, e nel non aver timore a guardarlo e a esprimerlo.

Perché per evolvere, che é una delle conseguenze positive dello scegliere e dell’accettare il cambiamento, abbiamo necessità di elaborare quello stress. Al contempo è però utile e necessario contemporaneamente focalizzare i benefici del “nuovo che avanza”. Se è vero che nel cambiare si lascia una parte di sé, è altrettanto vero che una nuova parte di noi è pronta a sbocciare!

(Fine della seconda parte dell’argomento).

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Roberto Tentoni
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Affrontare il cambiamento

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In ogni situazione in cui improvvisamente le condizioni esterne, i contesti e la situazione mutano in maniera significativa, in genere creandoci qualche difficoltà e disagio, ci troviamo di fronte alla necessità di affrontare il cambiamento, di adeguarci e di modificare i nostri comportamenti in relazione a quanto la nuova realtà ci richiede.

Talvolta questi mutamenti, che in ogni caso incidono in modo significativo sulla nostra vita, avvengono più lentamente e impercettibilmente, fino a quando ne prediamo improvvisamente coscienza, realizzando in un solo momento che le cose sono cambiate e che dobbiamo adeguarci, sia nel comportamenti esteriori che dentro di noi.

Le cause del cambiamento delle condizioni esterne possono riguardare l’intera società o parte di essa, ad esempio come nel caso delle conseguenze della epidemia Covid, oppure soltanto la nostra sfera personale.

Può trattarsi di una perdita (di una persona cara o la cui presenza è per noi fondamentale, di un amore o di una amicizia importante, del lavoro, di proprietà, ecc.) o di qualcosa che ci costringa a una improvvisa e importante variazione delle nostre abitudini.

Di norma a una prima fase di resistenza, nella quale tendiamo a mantenere la precedente situazione (o a illuderci, talvolta in modo irreale e illusorio, che non sia cambiata), fa seguito un tortuoso periodo di presa di coscienza della inevitabilità di adeguarci al cambiamento, e poi di modificazione, più o meno lenta, delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti.

In ogni caso, se sappiamo reagire in modo adeguato, il cambiamento si rivela quasi sempre una condizione di crescita personale, e saper far fronte al cambiamento è una competenza importante per vivere sereni e per conseguire i nostri obiettivi. Qualunque sia l’ambito nel quale il cambiamento avviene, e la modalità con la quale esso si presenta.

(Fine della prima parte dell’argomento).

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Roberto Tentoni
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Ansia: come tenerla a bada e vivere più sereni / 3

 

Cerchiamo di guardare (e vedere) con distacco la situazione che scatena in noi l’ansia, come se fossimo nel futuro e come se l’avessimo già vissuta, e chiediamoci quali potrebbero essere le reali conseguenze se avessimo fallito in quella situazione.

Molte volte questo accorgimento si rivela utile a ridimensionare questioni che nell’attacco d’ansia ci appaiono come “di vita o di morte”. Un altro modo di gestire l’ansia è quello di concentrarci su un nostro “luogo di pace”, di immaginarlo come se ci fossimo dentro, con tutti i nostri sensi.

Può essere un luogo fisico, in cui siamo stati con grande piacere, o un posto amato della nostra infanzia, oppure una persona la cui presenza ci dava (o ci dà) pace e serenità, o anche un “luogo musicale” o letterario, o semplicemente un luogo desiderato, ecc.

Ognuno di noi ha, dentro di se’, questi “luoghi di pace”, che sono soltanto suoi, legati ai suoi ricordi, ai suoi vissuti, al suo immaginario personale. Andiamo a ripescarne uno nei momenti in cui l’ansia sale e rischia di invaderci, ed “entriamoci dentro”.

Cercando, se possibile, di estraniarci dalle cause dell’ansia. Può sembrare un esercizio difficile, ma, come sempre, è questione di allenamento! Un ulteriore elemento molto efficace a tenere a bada l’ansia si realizza quando impariamo a osservare e vivere le nostre emozioni senza giudicarle.

Senza per forza volerle definire positive o negative, utili o dannose, giuste o sbagliate. Partendo dalla consapevolezza delle emozioni che viviamo, dalla loro identificazione. E dalla loro accettazione. Che si tratti di paura, di tristezza o di rabbia, ecc.

(Fine della terza e ultima parte dell’argomento).

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Ansia, come tenerla a bada e vivere più sereni

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Quando la nostra ansia non ha caratteristiche fortemente patologiche che necessitano di interventi di figure professionali specialistiche (psicoterapeuti o psichiatri) possiamo cercare di affrontarla con buone probabilità di successo e, se magari non riusciamo a eliminarla del tutto, abbiamo almeno la possibilità di ridurla in modo significativo, impedendole di invadere negativamente la nostra esistenza.

Chi percepisce di essere eccessivamente ansioso e di provare quelle emozioni e sensazioni che annunciano che l’ansia sta prendendo possesso dei propri giorni può riuscire a tenerla a bada, mantenendola a un livello sufficientemente limitato e tale da non interferire più di tanto, sia nell’intensità che nella durata, su di noi.

Stiamo in ogni caso attenti a evitare certi maldestri tentativi che, spesso indicati come tecniche calmanti, anziché aiutarci a contenere l’ansia, finiscono con l’alimentare ancora di più i nostri stati ansiogeni. Ad esempio, in previsione di imminenti e importanti eventi che ci coinvolgono, evitiamo di interrogarci continuamente sul modo migliore di comportarci.

Cosa che non fa che accrescere le nostre paure e incertezze, perché in questi casi si rischia di essere un po’ troppo confusi e di immaginare scenari eccessivamente pessimistici. Cosa fare quindi per recuperare la giusta tranquillità? La madre di tutte le regole per calmare l’ansia è la giusta respirazione, perché la prima reazione fisica all’ansia è la sensazione di mancanza di respiro.

Che concretamente si accorcia, si fa più affannoso e accelerato, così come i battiti cardiaci. È in questo momento che occorre concentrarci sulla nostra respirazione, inspirando lentamente e profondamente, utilizzando il muscolo diaframma, che si trova tra il torace e l’addome e che, proprio per la sua funzione sulla respirazione, viene chiamato “il muscolo della serenità”;

Nella respirazione diaframmatica la pancia “si gonfia”. Dopo una lunga inspirazione tratteniamo il respiro per alcuni secondi e quindi buttiamo fuori l’aria “sgonfiando l’addome”, come quando si soffia. Proviamo a farlo quando l’ansia sale, resteremo sorpresi dalla sua efficacia rilassante. A domenica per qualche ulteriore suggerimento per tenere a bada l’ansia.

(Fine della seconda parte dell’argomento).

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Ansia, come tenerla a bada e vivere più sereni

Prima parte

Ma quante persone ansiose si incontrano di questi tempi?!?! Sarà che le persone, soprattutto dopo la pandemia Covid, sono sempre più condizionate (schiacciate?) da un senso di dilagante precarietà, determinato anche dal fatto che tutto cambia a una rapidità a cui mai avevamo assistito in passato, creando insicurezza e disagio. Sarà che si fa sempre più forte in tante persone la sensazione di un oscuro e immanente “pericolo dietro l’angolo”…

Fatto sta che l’ansia è davvero dilagante e sempre più diffusa, con rilevanti e negative conseguenze, sia a livello individuale che sociale. Forse anche a causa del fatto che oggi le persone sono più fragili di un tempo, meno “resilienti”, un po’ sempre “sul filo del rasoio” E quindi molto più ansiose. Ma cos’è l’ansia e perché molti ne soffrono o ne hanno sofferto?

Spesso non riusciamo ad individuare una vera causa per le nostre paure e angosce. Che possono essere allora vissute come insensate, sensazione che rende ancor più faticoso e frustrante uno stato che, oltre che assai spiacevole, può diventare molto doloroso. Eppure l’ansia di per sé non é negativa, e dal punto di vista evolutivo ha un significato altamente adattivo, poiché ci segnala che siamo di fronte ad una situazione di potenziale pericolo.

E ci motiva ad attivare le nostre risorse per fronteggiare un’eventualità dannosa per la nostra integrità fisica e/o mentale. Se non provassimo ansia in situazioni oggettivamente pericolose, saremmo portati a sottovalutarne i rischi e ad incorrere in danni anche seri, poiché un conto è essere coraggiosi e altra cosa essere avventati…

Nella sua dimensione sana, quindi, l’ansia ci segnala una situazione potenzialmente problematica o rischiosa e ci prepara e motiva a risolvere il problema o ad affrontare il pericolo nel modo migliore.
Il vero problema è quando l’ansia diventa invece una spia e una sirena di pericolo frequentemente o perennemente accesa, o accesa in momenti inopportuni o senza un vero pericolo all’orizzonte.

Allora non solo perde la sua utilità, ma può diventare un molesto rumore di sottofondo ai nostri pensieri, un insopportabile retrogusto in tutte le nostre emozioni, una sfiancante attivazione fisica di un corpo sempre teso contro un pericolo perennemente incombente anche se, in realtà, inesistente o decisamente inferiore a come lo percepiamo… Come tenerla a bada, dunque? Ne parleremo su Il Torinese con il post della prossima domenica.

(Fine della prima parte dell’argomento).

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Roberto Tentoni
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Trasformiamo le nostre aspettative in aspirazioni

Trasformare le nostre aspettative in aspirazioni significa, quindi, prendere in mano il timone della nostra vita, assumere il potere su noi stessi invece che concederlo agli altri, o al caso, o al destino. Significa smetterla finalmente di lamentarci per la nostra condizione o per le cose che nella nostra vita non ci piacciono o ci fanno soffrire.

E trovare, una volta per tutte, il coraggio di diventare davvero protagonisti delle nostre scelte e del nostro percorso esistenziale. Possiamo quindi affermare che le aspirazioni portano tendenzialmente, se adeguatamente sentite, pensate e perseguite, alla felicità, mentre le aspettative, al contrario, ci conducono con buona probabilità all’infelicità.

La componente di azione presente nelle aspirazioni, che si sostiene con la motivazione e l’impegno, rappresenta un fattore importante per il nostro benessere. Al contrario la passività tipica delle aspettative, che diventa spesso pretesa, è causa di insoddisfazione e di frustrazione. Ma anche nel gestire le nostre aspirazioni dobbiamo evitare alcuni errori.

Come il non riuscire a lasciare andare le “aspirazioni perdute”, mantenendo il rimpianto per quello che non siamo riusciti a realizzare nel passato. Rimuginare sul passato non ci porta da nessuna parte e la frustrazione ci toglierà l’energia necessaria a individuare e inseguire nuove aspirazioni.

Facciamo anche molta attenzione a che le nostre aspirazioni non siano superiori a ciò che siamo in grado di realizzare. Le illusioni possono essere molto pericolose e talvolta le mettiamo inconsapevolmente in atto con una sorta di auto boicottaggio. Oppure possono essere la scusa per non metterci mai in azione.

Spaventati dall’enormità e dall’irraggiungibilità del nostro proposito. La paura del fallimento e della frustrazione, che inevitabilmente ciò provocherebbe in noi, finiscono col bloccarci completamente, impedendoci così di iniziare qualsiasi percorso e di realizzare qualunque aspirazione. Piedi ben per terra, dunque. Aspirazioni si, ma in armonia con ciò che siamo e sentiamo davvero.

(Fine della terza e ultima parte dell’argomento).

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Roberto Tentoni
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Trasformiamo le nostre aspettative in aspirazioni

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Se le nostre aspettative sono troppo elevate, quasi tutto ciò che ci accadrà nella vita non le (e ci) soddisferà, e noi saremo perennemente scontenti. E se non saremo in grado di contenerle, esse rischieranno di diventare pretese, alimentando ulteriormente la nostra insoddisfazione, e, molto spesso, la nostra rabbia nei confronti del mondo e anche di noi stessi.

Un corto circuito che ci porterà dritti dritti all’infelicità. Quando nutriamo aspettative, semplicemente noi aspettiamo che le cose accadano così come le pensiamo e desideriamo, che tutto avvenga così come noi ce lo immaginiamo, e non sentiamo di dover fare nulla o quasi per determinare e favorire che le cose accadano e si concretizzino in un certo modo.

Vivere dominati da troppe aspettative ci rende persone deboli dal punto di vista emotivo. Impariamo perciò a trasformare le nostre aspettative in aspirazioni, passando dalla passività negativa dell’attesa e della pretesa all’azione positiva verso le nostre mete. Desideri, ambizioni e obiettivi sono indispensabili componenti per una vita viva, sana, dinamica e positiva.

Ma smettiamo di aspettarci che le cose accadano perché debbono accadere e mettiamoci in azione per far sì che accadano. Accettando serenamente il fatto che, nonostante il nostro impegno, esse potranno anche non accadere. Tutti noi abbiamo qualche sogno che vorremmo si realizzasse. Anche le persone meno entusiaste della loro esistenza.

Quelle che pensano che la vita le abbia profondamente deluse e accettano passivamente una condizione di sconfitta definitiva, convinte che non valga la pena coltivare sogni. Forse anche loro hanno un sogno, magari dimenticato, in fondo ai cassetti della loro anima. Trasformiamo allora le nostre eventuali aspettative in aspirazioni.

Le aspirazioni sono la speranza positiva di veder concretizzati i nostri interessi, sono le spinte potenti e vitali che ci aiutano a migliorarci e che danno una marcia positiva alla nostra vita. Sono la conseguenza attiva dei nostri desideri, l’azione concreta, responsabile e razionale per realizzarli. Sono l’assunzione di responsabilità nel nostro percorso esistenziale.

(Fine della seconda parte dell’argomento).

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