SPETTACOLI- Pagina 169

“Belfast”. Pagine convincenti e debolezze tra i ricordi del regista

Sugli schermi il film di Kenneth Branagh, con sette candidature agli Oscar

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

All’inizio le immagini di oggi a colori, poi è sufficiente che la macchina da presa scavalchi un muretto perché la strada del quartiere, dove vivono in amicizia cattolici (in minoranza) e protestanti e dove tutti si salutano e si sorridono, le facce che s’incrociano e gli abbracci, le madri che corrono a recuperare i figli che non hanno ancora voglia di rientrare, le urla e i giochi del piccolo Buddy, gli innocenti diverbi e le pacche sulle spalle, tutto affonda nel bianco e nero bellissimo, che ci riporta con più facilità a quella fine degli anni Sessanta, di Haris Zambarloukos. Sono le prime immagini di “Belfast” che Kenneth Branagh, sceneggiatore e regista, dedica alla propria infanzia (come il nostro Sorrentino con “È stata la mano di Dio”), al suo amore per la propria città (ma i confini per lui sono tra quelle case di operai che arrancano per arrivare a fine mese), ai genitori (una madre che combatte con le rate da pagare e che ogni mese gioisce se è riuscita a farsene fuori una, ed un padre che lavora lontano e che torna a casa ogni quindici giorni esatti), ai nonni (lei più ruvida, il vecchio nonno pieno d’affetto e malato, gran filosofo della vita, che guida il ragazzino nei suoi compiti di aritmetica, così che il nipotino possa eccellere in classe e guadagnare i primi banchi, vicino alla cattedra, soprattutto vicino alla compagna Catherine per cui già stravede: e qui, diciamolo subito, Judi Dench e Ciaràn Hinds sono le chicche del film, capaci di portarsi a casa ad occhi chiusi quegli Oscar quali migliori attrice e attore non protagonisti – vivaddio a Hollywood fanno ancora una distinzione! – cui sono candidati). Al suo amore per il cinema, via di fuga domenicale dalla tragedia che sta per sopraggiungere, gli occhi sgranati e le bocche spalancate verso lo schermo grande (o su quello ridotto della tivù), che scorrano le immagini di “Mezzogiorno di fuoco” o di “Citty cittty bang bang” o di Raquel Welch in bikini preistorico in “Un milione di anni fa” è la stessa cosa: e visto che Buddy è Branagh, un alter ego biondo e già maturo, quel bambino sa, dentro quella sala, cosa farà da grande.

Poi, il 15 agosto 1969, i “troubles” tra Cattolici e Protestanti riducono in cenere la convivenza tra le persone, improvvisamente. La famiglia di Buddy ne è coinvolta, loro sono protestanti ma non sicuramente accesi, le invasioni e i saccheggi (certo la tentazione c’è, il fustino di polvere per lavare fa gola anche a lui ma ci pensa sua madre a farglielo restituire) li lasciano al teppistello che, tra macchine bruciate e barricate a difendere l’entrata della strada, cerca di imporre a tutti la propria legge. Il mondo in un attimo è cambiato, magari si buttano in un angolo i giochi con l’obbligo di scendere in strada. Ahimè, è anche il mondo in cui il film presenta delle crepe, accusa il “non tutto è perfetto”, diventa a tratti retorico o troppo sentimentale o anche furbetto e “facile”. E ancora: si rivela un susseguirsi di episodi, di momenti, alcuni eccellenti nel grande valore delle immagini, nella ricercatezza che è propria del regista (lo notavamo anche nel recente “Assassinio sul Nilo”), altri di tono minore. Vuol dire troppo e fa vedere troppo, in una realtà che a volte non sai se intendere come tale o rivoltarla in gioco o immaginazione del piccolo protagonista: la scena in cui il padre, da sempre considerato un eroe, colpisce il cattivo di turno con un sasso e gli toglie la pistola di mano, è un momento francamente non del tutto apprezzabile o credibile. Come, per alcuni tratti, ne soffre lo sguardo del Buddy del più che volenteroso ma ancora inesperto Jude Hill, con i suoi stupori, le sue ansie, i suoi pianti, la sua allegria, il suo dire sì alla decisione dei genitori di lasciare Belfast, un ragazzino di oggi che s’impegna a “costruire” il Branagh ragazzino di nove anni di ieri mentre lo stesso Branagh avrebbe dovuto avere il coraggio di lasciarlo andare a briglia sciolta, recuperando con maggior sincerità, con più efficace naturalezza i tanti diversi sentimenti secondo la sua “inesperienza”.

Il film è dedicato a coloro che sono partiti e a quanti sono rimasti, anche a quelli che si sono persi lungo il percorso: Branagh è ormai un beniamino di Hollywood (e una macchina per far soldi) e il suo “Belfast” non rimarrà a mani vuote nella notte degli Oscar (sono sette le candidature, oltre a quelle a cui già abbiamo accennato, quelle per migliori film e regia, miglior sceneggiatura originale, miglior sonoro e migliore canzone, “Down to Joy” di Van Morrison, ma tutta la colonna sonora è godibilissima). Chissà con quanta nostalgia guarda oggi a quella strada, a quella nonna lasciata sulla porta di casa ancora a sentenziare, a quel nonno sepolto e festeggiato subito dopo, a quella biondina che aveva giurato di voler sposare? Chissà.

I concerti di primavera dell’Orchestra Polledro, diretta dal maestro Federico Bisio

In programma al teatro Vittoria, si richiamano alla dicitura di una sinfonia di Haydn “Tempora mutantur”

Proseguirà con tre concerti di primavera la stagione 2021/2022 dell’orchestra Polledro, con Federico Bisio sul podio quale direttore stabile, nella cornice torinese del Teatro Vittoria.
I concerti , in programma rispettivamente martedì 1 marzo  alle 21, martedì 5 aprile, sempre alle 21 e martedì 17 maggio alle 21, prendono il titolo dal brano sinfonico che verrà eseguito nell’ultimo degli appuntamenti, “Tempora mutantur”, la Sinfonia n. 64 in La maggiore di Joseph Haydn, composta tra il 1773 e il 1775, quasi al termine del periodo dello Sturm und Drang, durante il quale Haydn produsse i brani più significativi del suo repertorio.
Il primo concerto di primavera, in programma martedì 1 marzo al teatro Vittoria, alle 21, vedrà l’Orchestra Polledro, diretta dal direttore stabile Federico Bisio, con il violino solista Tommaso Belli, impegnata nell’esecuzione del Concerto per Violino e Orchestra in Re maggiore n. 4 Kv 218 di Wolfgang Amadeus Mozart e in quella della Sinfonia in La maggiore n. 29 KV 201. Il primo concerto si richiama alla matrice della scuola italiana cui Mozart aggiunse il suo inconfondibile estro melodico; pare, infatti, che egli si sia ispirato a un concerto di Boccherini scritto nella stessa tonalità, presumibilmente nel 1768, e da lui stesso apprezzato dopo averlo ascoltato in Italia. La Sinfonia n. 29 in La maggiore K 201, completata a Salisburgo nell’aprile del 1774, rappresenta una tra le più note sinfonie giovanili mozartiane. Questo brano, insieme alla Sinfonia in do maggiore K 200 e a quella in sol minore K 183, rappresenta una svolta nel processo di affrancamento dall’influenza dominante del gusto italiano, anche grazie ai contatti proficui che la capitale imperiale viennese sviluppò con le tendenze contemporanee più significative. Mozart in questa sinfonia sicuramente si ispirò a Haydn, al carattere dialettico del suo bitematismo e alla sua solida costruzione, proseguendo la ricerca verso nuovi riferimenti stilistici. I risultati espressivi vanno in direzione di una rielaborazione del modello originale e di un’impronta che rende Mozart piuttosto vicino alla nascente poetica dello Sturm und Drang.
Il secondo concerto primaverile dell’orchestra, in programma martedì 5 aprile alle 21, per la direzione del maestro Federico Bisio e Carlo Romano quale primo oboe, sarà incentrato sull’esecuzione della Serenata in Si bemolle maggiore KV 361 di Mozart, detta “Gran partita”. Si tratta di una composizione considerata, per la sua scrittura innovativa, “un vero monumento della musica per strumenti a fiato”. Non si conosce esattamente quando Mozart compose questa serenata e una datazione certa di quest’opera rivestirebbe certamente una grande importanza, in quanto consentirebbe di chiarire alcuni particolari della stessa biografia mozartiana. Nel catalogo mozartiano, tuttavia, la “Gran Partita” occupa una posizione di particolare rilievo per la grandiosità della sua struttura formale, che conta sette movimenti, per la genialità dell’invenzione melodica e armonica e per l’originalità dell’organico strumentale. Mozart, al tradizionale complesso di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che qui fanno la loro prima comparsa nella sua opera, per poi riapparire nel primo atto del Ratto del Serraglio. Di rara bellezza è il terzo tempo di questa Serenata, l’Adagio, una pagina notturna e appassionata, contraddistinta da un canto di grande dolcezza e melanconia, introdotto da una coppia di corni.
Il terzo concerto, in programma martedì 17 maggio prossimo, alle 21 sempre al teatro Vittoria, e diretto dal maestro Federico Bisio, si articolerà in tre diversi ascolti. Di Joseph Myslivecek verrà eseguita la Sinfonia in Sol maggiore ED. 10:G10; di Luigi Boccherini la Sinfonia in re minore Op. 12 n. 4 G 506 intitolata “La casa del diavolo” e di Franz Joseph Haydn la Sinfonia in La maggiore n. 64 Hob I :64, dal titolo “ Tempora mutantur”.
Myslivecek è stato un compositore ceco, attivo in particolar modo in Italia, dedito soprattutto alla lirica e rimasto sempre fedele alle convenzioni dell’opera seria italiana. Come compositore spazio’ anche al di fuori dell’ambito lirico, componendo molteplici sinfonie, concerti, trii, quartetti, quintetto, ottetti, sonate per violino e musica per tastiera.
La Sinfonia in Re minore opera 12 n. 4 (G 506), detta “La casa del diavolo”, fu composta da Luigi Boccherini nel 1771 mentre il musicista era al servizio dell’Infante Don Luis di Spagna. Nel manoscritto è riportato, per quanto riguarda l’ultimo movimento, che “Chaconne rappresenta l’inferno ed è stato fatto a imitazione di quello di Mr Gluck nel Convitato di Pietra”.
Infine la Sinfonia n. 64 in La maggiore, nota anche come “Tempora mutantur”, di Franz Joseph Haydn, è stata composta tra il 1773 e il 1775, al termine di quel periodo dello Sturm und Drang durante il quale lo stesso Haydn compose i brani tra i più importanti del suo repertorio. Il soprannome “Tempora mutantur” è stato dato dallo stesso compositore. Si tratta di una dicitura che egli appose sulle partiture orchestrali preparate per la prima esecuzione di questa sinfonia al Castello Esterhazy. Questa dicitura proviene dalla popolare raccolta di Epigrammi di John Owen, pubblicata nel 1615.
La strumentazione prevede due oboi, due corni e archi. I movimenti della sinfonia sono quattro, coerentemente con i canoni della sinfonia del Classicismo.
Biglietti in prevendita presso www.ticket.it e la sera stessa del concerto presso il Teatro Vittoria, in via Gramsci 4, a Torino, a partire dalle ore 20.
Ente organizzatore Orchestra da Camera Giovanni Polledro

Mara Martellotta

La pandemia non ha fermato il grande Carnevale di Saluzzo

Un successo oltre ogni più rosea aspettativa. Anche per l’edizione 2022 sono i numeri a certificare l’ottima riuscita del 94° Carnevale Città Saluzzo 68° Carnevale di Rivoli – “Il Carnevale delle 2 Province”, svoltosi lo scorso fine settimana a Saluzzo. Un’edizione partita con ancora il timore della pandemia, ma che gli organizzatori della Fondazione Amleto Bertoni, organizzatrice dell’evento in sinergia con la Proloco di Rivoli, hanno saputo adattare in sicurezza con tanti eventi anche in presenza, per la gioia di grandi e piccoli che sabato 27 e domenica 28 febbraio hanno così potuto vivere un Carnevale quasi normale ammirando le maschere di Saluzzo, con Castellana e Ciaferlin in testa, passeggiare in alcuni punti nevralgici della Città, dove sono anche apparsi alcuni elementi delle fantastiche realizzazioni dei carristi. Le foto e i contributi video di 30 gruppi tra famiglie, carristi e oratori hanno animato il grande contest on-line, con le premiazioni svoltesi in presenza dagli spazi de “Il Quartiere” – Ex Caserma Mario Musso di Saluzzo e in contemporanea sulla pagina Facebook della Fondazione Amleto Bertoni, che durante l’evento, profilo compreso, ha toccato le 6.600 visite totali. Oltre 43.400 le interazioni con i followers, più di 34mila le visualizzazioni video di almeno 3” con oltre 4.700 interazioni con gli stessi. Più di 350mila, infine, le persone raggiunte dalla pagina Fb tra il 25 gennaio e il 27 febbraio, periodo di evento.

I Pinguini Tattici Nucleari per la prima volta sul palco di Collisioni

Domenica 10 Luglio ad Alba.

FEAT. LA RAPPRESENTANTE DI LISTA

NELL’UNICA TAPPA PIEMONTESE DOPO IL SUCCESSO DI SANREMO

 Dopo il sold out in 20 minuti di Blanco, finalmente annunciati gli headliner della domenica di Collisioni: saranno i Pinguini Tattici Nucleari, reduci dal successo di Sanremo 2020 con Ringo Starr, e autori di pezzi diventati classici come Scrivile ScemoPastello Bianco e Ridere a salire per la prima volta sul palco di Collisioni.

DOVE ERAVAMO RIMASTI TOUR sintetizza tutta la voglia della band di andare avanti e ricominciare a vivere, lasciandosi alle spalle questi due anni di stop ai grandi eventi, una parentesi rubata da cancellare e dimenticare per ripartire -appunto- da dove si era rimasti. Se è vero che i PINGUINI TATTICI NUCLEARI non si sono mai fermati, con un’autentica collezione di Dischi d’Oro, di Platino, Doppio e Triplo Platino ad accompagnare il loro incredibile successo, è altrettanto vero che DOVE ERAVAMO RIMASTI TOUR è il modo più bello per tornare ai concerti all’aria aperta ed estendere l’abbraccio ai fan che non hanno mai smesso di sostenerli.

Ad aprire il concerto sul palco di Collisioni, avremo il piacere di ascoltare La Rappresentante di Listanell’unica tappa piemontese del suo MY MAMMA – CIAO CIAO EDITION dopo il successo a Sanremo con la canzone che già si annuncia un tormentone estivo. Un successo su tutti i livelli, con numeri in crescita sui social media, sin dall’inizio della settimana sanremese: i follower su Instagram sono più che raddoppiati, quelli su Tik Tok arrivati a 50mila, con più di 6 milioni di visualizzazioni, il brano è stato utilizzato in oltre 50mila video, rendendo “CIAO CIAO” il terzo brano sanremese più utilizzato sulla piattaforma.

Il festival è reso possibile dal sostegno di Comune di AlbaBanca D’AlbaRegione PiemonteEgeaConfederazione Italiana Agricoltori CuneoLatterie InalpiDistillerie Berta.

I biglietti per il concerto dei Pinguini Tattici Nucleari saranno disponibili in prevendita a partire dalle ore 14 di lunedì 28 Febbraio sui circuiti di Ticketone.itTicketmaster.it, e Ciaotickets.com

Rock Jazz e dintorni: Loredana Bertè e Pippo Pollina

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Jazz Club suona il pianista Massimo Danilo Ilardo. Al Folk Club è di scena Pippo Pollina con il Palermo Acoustic Quintet.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana suona il Trio de Janeiro con la cantante Sabrina Mogentale, Gilson Siveira e Fabrizio Forte. Al Jazz Club jam session con Big Harp e Vinny Petrone.

Giovedì. Al Cafè Neruda suona il quartetto del sassofonista Luca Biggio mentre al Dash si esibisce il quartetto di Fuat Sunay. Al Teatro Colosseo recital di Loredana Bertè. Al Jazz Club sono di scena i Dipinti di Blues.

Venerdì. Al Jazz Club suona il trio del pianista Emanuele Sartoris. All’Arteficio si esibiscono Dodo &Charlie. Al Teatro Colosseo arrivano i Tiromancino. Al Magazzino sul Po suona il quintetto del sassofonista Pietro Santangelo. Al Blah Blah si esibiscono gli Estetica Noir.

Sabato. Al Capolinea 8 è di scena il quartetto Black Inside. Al Teatro Colosseo suona Jimmy Sax con la Symphonic Dance Orchestra. Al Jazz Club si esibisce il quartetto di Gigi Venegoni e Roberta Bacciolo. Al Magazzino sul Po suonano i Baklava Klezmer Soul.

Domenica. Al Jazz Club è di scena il quartetto Tchelegooro.

Pier Luigi Fuggetta

Gassmann e i rapporti familiari fatti di parole mai dette

“Il silenzio grande” di Maurizio De Giovanni al Carignano per la stagione dello Stabile

 

Il primo incontro tra i due avvenne sette anni fa allorché Maurizio De Giovanni adattò per il palcoscenico “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Kesey, poi arrivò il successo del commissario Lojacono e dell’avamposto poliziesco dei “Bastardi di Pizzofalcone” (una sorta di 87° distretto newyorkese con stanza a Napoli), con le sue facce, con i drammi personali, con i casi da risolvere. Una collaborazione, fatta di amicizia e di desiderio di sperimentare su più fronti, quella nata tra Alessandro Gassmann e il giallista più acclamato di casa nostra (il pubblico che corre in libreria o punta gli occhi sulla tivù di casa per i casi del commissario Ricciardi, di Mina Settembre o dell’ex agente segreto Sara), da cui è nato “Il silenzio grande”, visto al cinema e giunto finalmente al Carignano per la stagione dello Stabile torinese.

In un’antica villa, poco sopra Posillipo, nella Napoli della fine degli anni Sessanta, vivono Valerio Primič, un acclamato scrittore già vincitore di tre Premi Strega, di un Bancarella e di un Campiello, lontano da ogni contatto esterno (la finestra che dà sul golfo è l’unico sguardo, ma “chiudila perché fa freddo”), appartato nella sua ampia biblioteca, dove ogni volume ha uno suo spazio religiosamente codificato, davanti alla macchina da scrivere che da un po’ di tempo non fa sentire il ticchettio dei tasti: un uomo che alla propria famiglia non ha mai fatto mancare nulla e che il successo fatto di tanti titoli e i diritti d’autore hanno brillantemente e agiatamente supportato. Con lui la moglie Rose, pratica, decisa, attenta a far quadrare i conti di casa, i due figli Adele e Massimiliano e la cameriera Bettina, una donna che lo rimprovera di aver taciuto troppi accadimenti del passato, fatta allo stesso tempo di saggezza e di ignoranza (per lei “pragmatica” è una parolaccia), un po’ l’anima della casa e soprattutto punto d’appoggio per lo scrittore, la sola con cui confrontarsi.  L’unica capace di ristabilire con il padrone di casa un quadro esatto dell’esistenza. Un quadro domestico in apparenza come tanti, rassicurante. Sembrerebbe, perché così non è. Il vecchio tenore di vita non è più sostenibile e la decisione di vendere la casa (il bell’ordine del primo tempo, i libri, il tappeto, il vogatore per i momenti di relax, ogni cosa verrà squinternata, imballata nel secondo negli scatoloni che i facchini verranno a ritirare: la scena, davvero bella, è di Gianluca Amodio) risveglia in quanti la occupano il desiderio e il coraggio di confrontarsi con il padre, formandosi all’interno della stanza un intreccio di rapporti familiari, di parole mai dette (“tanti piccoli silenzi danno vita a un silenzio grande”, dice Bettina), della cognizione del dolore e del tempo che se ne è pacatamente scivolato via; uno spazio chiuso dove il figlio, una gioventù a inventarsi professioni affatto interessanti e a sottrarsi ad un nome prestigioso e sempre imbarazzante, confessa la sua omosessualità e la figlia, che del padre ha fatto un supereroe, scegliendo avventure con uomini molto più maturi di lei che gliene ricordassero la figura e l’importanza, prende la decisione di confessare di aspettare un bambino. Si scalfisce quel grande silenzio che ha sempre ricoperto quei rapporti, dando l’opportunità all’autore di dare vita ai sentimenti, alle tante voci di ieri, alle speranze verso il futuro che sono il perno di una commedia che convince pienamente.

Da buon giallista, anche in quella biblioteca che parrebbe immersa nella vivace linearità del racconto, De Giovanni trova modo di costruire inaspettatamente l’essere e l’apparenza, di unire il mondo dei vivi e quello dei morti (ma più non si può dire, scoprirà felicemente ogni cosa lo spettatore). La regia di Gassmann srotola a poco a poco lo svolgersi della vicenda, le cose mai dette, gli angoli dei sentimenti negati, a volte con piccoli particolari, con gesti o con giochi di luci, con gli attimi di un tempo impressi nel velo che divide il pubblico e la scena. Il teatro mette ancora più a fuoco l’ambiente claustrofobico che il cinema poteva spezzare in qualche respiro all’esterno, forse qui spinge il pedale della comicità ma senza mai interrompere il clima di drammaticità sottile che riempie il palcoscenico. Ha un prezioso alleato in Massimiliano Gallo, chiuso saldamente nel bozzolo di Valerio, nella sua moderna misantropia, nella propria ingenuità, nella volontà di voler rimanere intimamente ancorato al passato, e pronto a esplodere nelle verità che gli si concretizzano davanti, dialogo dopo dialogo, una prova davvero matura, giocata tra mille sfumature, dove l’attore attinge, nella parola e nei gesti, nel modo di muoversi attraverso la scena, al panorama eduardiano o a certi dialoghi spezzettati che ricordano da vicino il compianto Troisi. Accanto a lui, Stefania Rocca, Pina Giarmanà dalla schietta umanità, e i figli Paola Senatore e Jacopo Sorbini, capaci di costruire nei loro interventi due personaggi pieni di precisi, apprezzati  chiaroscuri. Un vero successo alla prima. Repliche sino a domenica 6 marzo.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Manuela Giusto

Raffaele e Bertè, show al Teatro Colosseo

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TEATRO COLOSSEO
Via Madama Cristina 71 – Torino

La stagione 2021 – 2022

Giovedì 24, venerdì 25 e sabato 26 febbraio ore 21
Domenica 27 febbraio ore 17
VIRGINIA RAFFAELE
Samusà
poltronissima € 33,70 | poltrona A € 29,60 | galleria € 26,50 | galleria B € 22,50

Dopo il grande successo dello spettacolo Performance del 2015 e anni particolarmente intensi che l’hanno vista protagonista in tv di uno show e una serie televisiva tutti suoi, oltre alla conduzione del Festival di Sanremo e il doppiaggio di Morticia nel cartone animato La Famiglia Addams, Virginia Raffaele torna al suo primo amore, il teatro, e lo fa con uno spettacolo completamente nuovo dal titolo Samusà. Il racconto di Samusà si nutre dei ricordi di Virginia e di quel mondo fantastico in cui è ambientata la sua infanzia reale: il luna park. Da lì si sviluppa in quel modo tutto della Raffaele di divertire ed emozionare, stupire e performare, commuovere e far ridere a crepapelle.
“Sono nata e cresciuta dentro un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili, il primo bacio l’ho dato dietro il bruco mela. Poi il parco ha chiuso, le giostre sono scappate e adesso sono ovunque: le attrazioni sono io e siete voi. Tutto quello che siamo diventati stupisce quanto un giro sulle montagne russe e confonde più di una passeggiata tra gli specchi deformanti”.
La regia si avvale della grande firma di Federico Tiezzi. Samusà è scritto da Virginia Raffaele, Giovanni Todescan, Francesco Freyrie, Daniele Prato, con Federico Tiezzi.

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Giovedì 3 marzo ore 21
LOREDANA BERTÈ

poltronissima € 70,40 | poltrona A € 61,20 | poltrona B € 58,60 | galleria € 49,00 | galleria B € 39,80

Loredana è semplicemente Loredana, unica e iconica, con quella voglia di collaborare con i giovani, con le sue battaglie nei confronti di chi attacca chi è diverso, tutto cantato sul palco, intimo e amplificato dalla magica atmosfera che solo il teatro può dare.
Anche la sua performance al recente Festival di Sanremo con Achille Lauro per “SEI BELLISSIMA” nella serata dei duetti ha lasciato il segno, per l’intensità dell’interpretazione e la grandissima presenza scenica.

Sono felice di tornare finalmente in teatro col mio nuovo tour Manifesto – dice Loredana -, nonostante tutte le incertezze che ancora viviamo. In scaletta ci saranno sia i vecchi successi che i brani tratti dal nuovo album. Nuovi video e anche una new entry nella band!


Tutte le informazioni sul sito www.teatrocolosseo.it e sui profili social del Teatro.

Le Storie Sbagliate. All’Osteria Rabezzana sulle orme di De Andrè

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 23 febbraio, ore 21.30

Le Storie Sbagliate

Fabrizio De Andrè Official Tribute Band

 

Le Storie Sbagliate non è solo un concerto, ma un vero e proprio spettacolo di melodia, poesia, canzone, recitazione per ricordare un grande artista e per scoprire il filosofo, il poeta e soprattutto l’uomo Fabrizio De Andrè.

L’impegno per il sociale costituisce il filo conduttore de Le Storie Sbagliate che muove numerosi strumenti, voci e professionalità, guidati dal direttore artistico Marco Raiteri e accompagnati dai versi recitati dalla poetessa Cinzia Morone e dal celebre attore e doppiatore Mario Brusa, per ricreare le atmosfere dei concerti live del cantautore genovese.

Le Storie Sbagliate sono una matura evoluzione del progetto Fabrizio De Andrè Remember 2.0.

L’iniziativa ha il patrocinio morale della Fondazione Fabrizio De André presieduta da Dori Ghezzi.

STAFF

Marco Raiteri, voce e chitarra; Sabrina Pernice, violino; Marcello Massari, chitarre, bouzouki, banjo e armoniche, Matteo Tonazzo, pianoforte e tastiere; Matteo Rossi, basso elettrico; Riccardo Mollo, batteria, percussioni e handpan; Cinzia Morone, voce recitante; Mario Brusa, voce recitante.

Ora di inizio concerto: 21,30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima o dopo il concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

L’”Assassinio” (sbagliato) firmato da Kenneth Branagh

Sugli schermi riproposto per la seconda volta il romanzo di Agatha Christie

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

All’inizio, in un antico quanto eccellente bianco e nero, nell’ottobre del ’17, scoppi e proiettili, barelle e feriti, la macchina da presa che corre tra le trincee e ti pare di essere capitato per sbaglio all’interno di “1917” di Sam Mandes; poi il giovane soldato Hercule Poirot che tenta di mettere in salvo il suo capitano, una trappola esplosiva che al contrario lo fa secco e coinvolge pure il futuro detective, deturpandogli il viso.

Ecco come veniamo a sapere degli ampi baffi che gli ricopriranno come un ricamo in avvenire la parte inferiore del viso, ecco come ci appare il lato sentimentale del medesimo (tutto per dirci che i sentimenti dell’eterno raisonneur verranno coinvolti nella prossima inchiesta) che vede morire la giovane infermiera che s’è presa cura di lui. Fine del preambolo (inutile). Poi, nella bellissima fotografia a colori di Haris Zambarloukos, siamo catapultati vent’anni dopo, nel vero e proprio “Assassinio sul Nilo”, dove già s’intrecciano i destini del bello e squattrinato Simon Doyle innamoratissimo di Jacqueline de Bellefort la quale si dà la zappa sui piedi quando gli presenta la sua migliore amica, la straricca ereditiera Linnet Ridgeway, da sempre abituata a far suo quel che desidera: manco a dirlo, i due dopo sei settimane saranno già convolati a più (per loro) o meno (per la tradita) giuste nozze, con tanto di viaggio di nozze sul Nilo, con amici e parenti, tra fiumi di champagne, un po’ appartata Jacqueline, lì a rodersi e a meditar vendetta, imbucata come la Discordia alla cena dell’Olimpo.

Fin qui parrebbe tutto bene. Ma Dame Agatha Christie non saprà mai che cosa le ha combinato il bieco sceneggiatore Michael Green – già collaboratore dell’interprete e regista Kenneth Branagh nel precedente “Assassinio sull’Orient Express”: gran successo con i trecentocinquanta milioni che s’è portato a casa, traguardo certo non più raggiungibile, sia per i tempi grami in cui viviamo sia per la débâcle del prodotto, manco fosse un soufflé sgonfio – sconvolgendo e pasticciando il suo matematico romanzo. Non è che ci scandalizziamo (fino a un certo punto però: c’è una storia, perché non seguirla, non certo freddamente ma neppure prendendosi certe troppo spudorate libertà) se i due ribaldi accomunano tempi e luoghi, se mandano a quel paese personaggi per inventarne altri di sana pianta, se in obbedienza alle leggi hollywoodiane di oggi inventano personaggi di colore o mutano un semplice rapporto di datrice di lavoro e infermiera in una liaison di sapore lesbico da sempre taciuta, se il pacifico detective ci è mostrato mentre insegue e tenta di far fuori l’assassino con un’accetta. Veri birbaccioni, ma forse ancora perdonabili. Ma che direbbe se la terza vittima è un’altra rispetto a quello che lei, dame Christie, ha inserito per il lavorio delle piccole cellule grigie del suo detective? Se quel perfetto ingranaggio da lei scritto, con la narrazione che si srotola pagina dopo pagina e sempre più t’appassiona, con i personaggi che prendono corpo e s’impongono e sfuggono e si portano appresso sospetti, con le argomentazioni finali preziose come un intarsio, se quell’ingranaggio prendesse altre strade o diventasse anche motivo di noia, che direbbe dame Christie? I fatti narrati s’avvicendano l’uno dopo l’altro, senza mostrare decisive emozioni, senza un ritmo che le trascini, e la razionalità di Poirot pare non poche volte passare in secondo piano. Branagh si rifugia nella ricercatezza delle inquadrature, che hanno tuttavia il sapore del “guarda un po’ che cosa so combinarti io adesso”. Un po’ poco.

Un neo, e non da poco, le tante facce sconosciute che circolano attraverso il film, a cui oltretutto è sufficiente di mostrarsi in un modo molto anonimo. Anche Branagh non sa che pesce prendere con il suo Poirot, è debole. Pensate all’edizione del 1978, diretta da John Guillermin, con un impareggiabile Peter Ustinov al timone: c’erano Bette Davis, David Niven, Maggie  Smith, Angela Lansbury e Mia Farrow, solo per citarne alcuni, tutto un altro divertirsi. Grossa delusione per la giallista più amata al mondo. Aspettiamo Branagh con il suo “Belfast” che esce in settimana, già vincitore ai Golden Globe per la miglior sceneggiatura (la scrittura è tutta sua) e che con le sue sette candidature agli Oscar lo lascia ben sperare. E sarebbe un buon modo per farci scordare il brutto, imbarazzante passo falso.

Le cover di Franco Lana

E’ uscito l’Ep, realizzato da Franco Lana con il suo gruppo, contenente una manciata di cover (Bob Dylan, John Fogerty, Chuk Berry, Tracy, Chapman, etc.). Si tratta di un’autoproduzione, fuori commercio. Franco Lana, artista poliedrico, canta in un paio di pezzi, e suona il basso e la batteria, in altri due.