società- Pagina 2

Il “Pannunzio” indaga sulle potenti radici dell’amore

San Valentino

VENERDÌ 14 FEBBRAIO ALLE ORE 17.30 al Centro  Pannunzio in via Maria Vittoria 35h Patrizia VALPIANI, medico scrittore-poeta Presidente Onoraria di A.M.S.I. (Associazione Medici Scrittori Italiani), dialogherà con Luca ARTURI psicologo e psicoterapeuta, scrittore, poeta, sul tema AMORE, SENTIMENTO, IMPULSO, MISTERO, DESIDERIO, SESSUALITA’.

Un incontro in cui poesia, arte , eros, psicologia si intrecciano in una proposta di grande valore culturale ideata da Patrizia Valpiani medico- scrittrice di talento e donna di raro fascino intellettuale.

“Il Robot”, il nuovo libro dello scrittore e giornalista Gianluigi De Marchi

“Il Robot”, ultima fatica letteraria del giornalista e scrittore Gianluigi De Marchi, pubblicato nel novembre 2024, è una storia che esplora una fantasiosa ipotesi di viaggio dell’intelligenza artificiale, partendo dalle sue origini fino alle sue applicazioni più  avanzate.

Attraverso una serie di avvincenti e inquietanti avvenimenti, viene illustrato il modo in cui la tecnologia abbia superato le barriere dell’immaginazione umana, portando a innovazioni che un tempo erano considerate pura fantascienza. In questa vicenda De Marchi ci propone un interessante rivisitazione di concetti “classici” che hanno interessato l’immaginario del Robot sin dalla notte dei tempi.

“Ho cominciato a scrivere ‘Il Robot’ la scorsa estate – dichiara l’autore –  finendolo in tre mesi a seguito di un periodo trascorso a studiare e approfondire il mondo dell’intelligenza artificiale. Il motore che mi ha spinto a scrivere questo libro è  stato il fascino, e forse anche la preoccupazione, evocati da una macchina ‘pensante’, un nuovo mondo parallelo in evoluzione che, già oggi, ci costringe a un rapporto uomo/macchina professionale ma anche emotivo. Il protagonista del libro è un androide pensante fabbricato e programmato nell’Istituto di Tecnologia di Genova dall’équipe dell’allora direttore dell’Istituto Gianmarco Montanari.

Da subito viene percepito il potenziale di autoapprendimento di questo umanoide, che va oltre la semplice programmazione scientifica. Il Robot sviluppa aspetti emotivi che lo portano a considerare la sua situazione di macchina assoggettata all’uomo e a percepire la razza umana come malvagia. Questo lo conduce a decidere di sterminare l’umanità, nonostante i tanti tentativi di mediazione tra lui e i suoi programmatori.

Nel finale a sorpresa propongo alcune riflessioni sulle potenzialità e i limiti dell’intelligenza artificiale, cercando di tenere alta la guardia rispetto alla superficialità indotta dalla percezione di avere tutto sotto controllo e ai possibili rischi di manipolazioni umane su queste macchine”.

La copertina del libro è stata realizzata da Renato Missaglia, un noto artista conosciuto a Torino anche per  aver esposto nel Duomo di Torino e poi donato all’attiguo Museo Diocesano alcune opere pittoriche dedicate al tema della Passione di Cristo, presentate al pubblico proprio nel luogo dove si conserva la reliquia più importante della Cristianità, la Sacra Sindone.

Mara Martellotta

NFT: chi era costui?

Nel suo capolavoro letterario, Alessandro Manzoni mette in bocca a don Abbondio la famosa frase: “Carneade, chi era costui?”. Siamo nell‘ottavo capitolo dei Promessi Sposi, Don Abbondio si fa la domanda su un filosofo greco noto nel secondo secolo avanti Cristo ma ormai caduto nel dimenticatoio.

Oggi potremmo ripeterci la domanda adattandola ad un fenomeno che, comparso come una stella cometa nel cielo della finanza, è tramontato cadendo nell’oblio: “NFT chi era costui?”

In realtà non parliamo di un personaggio ma di un rivoluzionario sistema di acquistare opere d’arte “uniche” che ha avuto un boom incredibile grazie ad una sapiente orchestrazione di marketing da parte dei suoi ideatori.

Gli Nft (Non fungible token, cioè “gettone non fungibile”), insieme alle criptovalute e alla tecnologia blockchain, hanno attirato investitori ma soprattutto speculatori animando un mercato di parecchi miliardi di dollari.

Si tratta di un sistema che fa parte del mondo cripto, perché un NFT può essere definito come un particolare tipo di token, scritto su blockchain, che ha la funzione di rappresentare un oggetto digitale e certificarne proprietà ed autenticità.

L’applicazione più nota degli Nft è quella legata al mondo dell’arte, dei videogiochi e delle opere digitali collezionabili.

I l fenomeno è nato nel 2021, con la vendita milionaria dell’artista statunitense Beeple, che con la sua opera digitale “Everydays: the first 5000 days” (un file contenente un collage di 5.000 immagini digitalizzate) incassò 69 milioni di dollari, cui seguì “The Merge” per 91,8 milioni di dollari; opera che detiene tuttora il record di vendita.

Dopo il boom di tre anni fa, il mercato ha rallentato la sua corsa, anche a seguito e ciò ha portato molti investitori ad indirizzare i propri risparmi verso asset differenti.

Tuttavia, il ribasso dei mercati degli ultimi due anni è stato dominato dalla speculazione dei piccoli investitori.

Il calo di domanda ha interessato anche gli Nft, sebbene siano più giovani e vedano meno investitori del colosso Bitcoin. Si pensi al fatto che gli NFT rappresentavano, nel 2024, il 5 % del mercato dell’arte globale

Alcuni dati evidenziano con chiarezza la grave crisi della “novità”: nell’ultimo biennio le transazioni in ambito criptoarte sono scese del 97%, l’80% delle nuove opere messe sul mercato non trova acquirenti e solo il 5% delle collezioni offerte in vendita ha un valore di mercato.

Quel che si prospetta al momento non è la fine definitiva del fenomeno, ma probabilmente una variazione nel pubblico degli appassionati: spariti gli speculatori-investitori resteranno solo gli amanti veri dell’arte; pochi certo, ma almeno si ridurranno le follie dei prezzi esorbitanti del boom incontrollato che ha generato ingenti danni a chi ha creduto di aver trovato l’albero degli zecchini d’oro attraverso l’arte e la tecnologia.

 

GIANLUIGI DE MARCHI

La Netiquette, buon senso e regole sul web che fanno bene a tutti

La rete come luogo di scambio  e non di  incivilta’ e violazione.

 

Netiquette e’ un neologismo che mette insieme i termini inglesi net (rete) ed etiquette (etichetta).

Dall’unione di questi due vocaboli viene fuori un’ espressione che indica la buona educazione sul web, regole informali che se utilizzate dal popolo di internet, frequentatori abituali di social,  blog e forum, contribuiscono a creare uno spazio virtuale positivo dove scambio, discussione e condivisione  assumono il carattere dell’arricchimento, dell’ opportunita’  e della creativita’.

Queste norme non scritte,  che non posseggono nessuna validita’ legale, hanno come fine primario quello di promuovere un ambiente telematico  inclusivo e libero dove chiunque, attraverso le buone maniere e la tolleranza,  puo’ esprimere il proprio pensiero, esporre dei dubbi e fare domande senza essere offeso o attaccato in maniera oltraggiosa. Nel 1995 e’ stato creato da Sally Hembrige un documento che ne fissa i principi e ne stabilisce le regole che suggerisce con determinazione le linee guida per una buona navigazione da parte dei web users.

Troppo spesso, non solo sui social, ma anche in diversi programmi tv, siamo testimoni di risse, attacchi ingiuriosi, mortificazioni; sembra che la lite e le discussioni accese siano molto di moda, possiamo assistere , infatti, a vere e proprie baruffe fatte di urla e confronti di basso livello e questo avviene perche’ la discordia fa audience oramai piu’ del gossip e del romanticismo. Il tema e’ serio, conquistare il pubblico, difatti,  attraverso manifestazioni di rabbia e violenza verbale, e non solo, non e’ sano,  racconta di un fenomeno sociale e culturale che sostiene il brutto piuttosto che il bello, la prepotenza in sostituzione della gentilezza e di come la demolizione del prossimo sia piu’ attraente della sua gentile e rispettosa considerazione.  In passato, neanche troppo remoto, si stava attaccati alla tv per guardare i matrimoni reali o belle storie di vita vissuta ora, al contrario, vanno in onda  molti modelli biasimevoli , la prepotenza vince con molta frequenza e batte il modello positivo, gli eroi buoni  sono quasi estinti.

Ma quali sono le regole da seguire per rendere l’ambiente socialweb un luogo di incontro piuttosto che un campo di battaglia? Vediamone alcune.

Iniziamo con quella che non dovremmo neanche scrivere e cioe’ l’accortezza di non offendere o insultare  nessuno, ma condurre le discussioni in maniera pacata.

Non incitare o dare informazioni su attivita’ illegali, immorali o pericolose.

Non fornire notizie false, incomplete o vecchie.

Non violare i copyright.

Non usare un linguaggio scurrile, blasfemo o a sfondo sessuale.

Rispettare le diversita’ in fatto di religione, etnie, usi e costumi e non divulgare mai pensieri estremisti.

Non violare la privacy diffondendo contenuti di terzi che non hanno acconsentito alla pubblicazione.

Scrivere nella lingua utilizzata nel post o comunque con una diffusa come l’inglese.

Essere tolleranti con chi compie errori di sintassi e di grammatica.

Usare sempre toni gentili e concilianti anche e soprattutto nelle discussioni che ci vedono su posizioni diverse.

Leggendole la prima cosa che viene in mente e’ che siano consigli e indicazioni scontati, ma la realta’ e’ che nella piattaforma web molto spesso queste regole di buona educazione e tolleranza non vengono utilizzate.  E’ assodato che gli spazi virtuali, frequentemente, vengano utilizzati per sfoderare i peggiori lati dell’essere umano, che si usino per tirare fuori rabbia e frustrazione servendosi della possibilita’ di rimanere anonimi e quindi impuniti. Si e’ in presenza di uno strumento straordinario, uno spazio sconfinato di risorse e saperi che puo’ servire ad arricchirci e  favorire il confronto e la crescita, ma che viene, tuttavia, utilizzato per veicolare sentimenti di odio, maleducazione e collera. Gestire la liberta’ non e’ semplice, e’ necessario percorrerla in punta di piedi, in questo caso in punta di tastiera, e’ indispensabile  conoscere il significato di  limite, confine, e  a praticare il rispetto per l’alterita’.

Maria La Barbera

 

Fonte Wikipedia

Pazienti o clienti?

Da alcuni anni assistiamo ad un vero e proprio bombardamento di spot pubblicitari su integratori, farmaci da banco, prodotti omeopatici in grado di aiutarci a ridurre il livello ematico di HDL, a migliorare la qualità del sonno, a prevenire malattie da raffreddamento, migliorare il tono muscolare, migliorare le performances sessuali e molto altro.

Da notare che su ogni confezione è chiaramente indicato che l’assunzione di quell’integratore “non sostituisce uno stile di vita corretto ed una dieta adeguata”; sorge spontanea, quindi, una domanda: se io conducessi uno stile di vita corretto andrei forse a comprare degli integratori?

Va notato che non essendo considerati farmaci, sono esentati dai controlli riservati ai farmaci tradizionali.

Peccato che alcuni di essi, ad esempio l’iperico, la melatonina, la curcuma, la liquirizia, il riso rosso e altri possono avere effetti collaterali anche gravi, anche se in una percentuale ridotta di casi, che sconsigliano la loro assunzione inducendo, di conseguenza, al mantenimento della patologia per combattere la quale erano stati assunti.

Prendiamo per esempio la curcuma: danni epatici anche gravi (epatopatie) e problemi nel caso si soffra di calcolosi biliare, eppure è diventata un “must” degli integratori ed in cucina.

Che dire dell’iperico? Utilizzato come olio di San Giovanni (il 24 giugno è il giorno migliore per la raccolta dei suo fiori), antibatterico e cicatrizzante, ne è fortemente sconsigliata l’assunzione per via orale da chi soffra di disturbi bipolari, alle donne che allattano e a chi assuma antidepressivi.

E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Cosa voglio dire?

Perché assumiamo integratori, farmaci, rimedi omeopatici, anziché eliminare all’origine i problemi? Se per eliminare il colesterolo (che non è sempre di origine alimentare ma ha una causa endogena) assumiamo farmaci pericolosi anziché alzare l’HDL (o colesterolo buono) facendo movimento, vita attiva e rinunciando quando possibile all’auto a favore di una camminata salutare, e ridurre quello cattivo (LDL) evitando cibi spazzatura, non andiamo certo nella direzione giusta, perché a problema aggiungeremo problema.

E che dire delle erbe, ritenute erroneamente non dannose? Meno pericolose dei farmaci di sintesi, se assunte senza controllo medico e, soprattutto, senza aver dichiarato eventuali patologie in atto, allergie o assunzione concomitante di altri farmaci, possono essere molto pericolose. E’ il caso della digitale, del colchico; quando un farmacista, che ci conosce, ci vende un farmaco per il quale occorre la prescrizione, non ci sta facendo un favore ma sta mettendo a repentaglio la nostra salute.

Se non acquisiamo una forma mentis che veda al primo posto la prevenzione e, eventualmente, la cura delle cause, anziché curare per anni i sintomi, saremo i clienti perfetti da fidelizzare per qualsiasi casa farmaceutica; affidando a una sostanza la soluzione dei problemi legati, spesso, alla nostra pigrizia, ai nostri disordini alimentari o, più semplicemente, inseguendo ciecamente le pubblicità non soltanto non avremo miglioramenti ma diventeremo schiavi di un prodotto, perché appena cesseremo di assumerlo tutto tornerà come prima.

Se assumiamo ansiolitici o antidepressivi ma non andiamo alla ricerca del nostro malessere non soltanto non risolveremo il problema ma peggioreremo sempre più la nostra salute perché ci intossicheremo e danneggeremo il nostro organismo; se abbiamo paura di un intervento chirurgico e assumiamo farmaci che rendono sopportabile il dolore, ci permettono di muoverci più agevolmente o migliorano comunque qualcosa in noi ricordiamoci che non abbiamo risolto nulla, abbiamo solo nascosto i sintomi lasciando irrisolta la causa.

In piemontese si usa un’espressione eloquente: “L’è cuma feje ‘n papin a na gamba ‘d bosc” (E’ come fare un impacco ad una gamba di legno), segno che non risolveremo nulla, semmai cronicizzeremo il problema.

E se cambiassimo strategia?

Sergio Motta

I brillanti ruffiani della Silicon Valley hanno le chiavi del XXI secolo

Per fortuna, probabilmente

Di Riccardo Ruggeri

Dopo oltre trent’anni di Ceo capitalism, guidato dai finti filantropi woke, ci ritroviamo come leader dell’Occidente un vecchio immobiliarista newyorchese. Che, per fortuna, si è circondato di Super Ceo (i brillanti ruffiani della Silicon Valley), i quali, ci piaccia o meno, hanno le chiavi del futuro XXI secolo, quello della digitalizzazione. Mentre l’Europa è sempre più un giardinetto di semiperiferia dal destino irrimediabilmente segnato

Leggi l’articolo su lineaitaliapiemonte.it:

https://www.lineaitaliapiemonte.it/2025/02/02/leggi-notizia/argomenti/editoriali/articolo/i-brillanti-ruffiani-della-silicon-valley-hanno-le-chiavi-del-xxi-secolo-per-fortuna-probabilmente.html

L’amico è…

Nel 1983 Dario Baldan Bembo, mostrandosi poeta prima che autore, scrisse la canzone “Amico è (L’inno dell’amicizia)”.

E’ l’amico è

una persona schietta come te

che non fa prediche

e non ti giudica

fra lui e te divisa

due la stessa anima

Però lui sa

l’amico sa

il gusto amaro della verità.

Ma sa nasconderla

e per difenderti

un vero amico anche bugiardo è.

Ma parliamo, appunto, di quarant’anni fa; nell’epoca attuale, al contrario, l’amicizia è stata citata a sproposito, sminuita dai social, vanificata da smartphone e tecnologia, cercata solo da chi segue ancora valori tradizionali.

Il proverbio “L’amico si vede nel momento del bisogno” si presta bene anche ai nostri tempi: solo che oggi va interpretato come una persona che non vedi per lungo periodo ma quando ha bisogno si ricorda di te e si fa nuovamente vivo.

Chi mi conosce sa che io periodicamente faccio un inventario delle amicizie: se sono degne di tale nome rimangono tali, altrimenti sono destinate a finire in cantina: non vengono dimenticate, ma diventano presto inutili.

Nel mio libro “Ventiquattro sfumature di vita” parlo proprio di questo: amicizia intesa come rapporto di scambio tra quanti sono come noi, hanno le nostre stesse vedute e ci danno ragione; l’amicizia, in realtà, è l’esatto opposto. De Andrè, Guccini e Bertoli nelle canzoni (ma non sono gli unici), Don Gallo nelle prediche hanno saputo testimoniare tutto ciò distinguendosi dalla massa.

Nel capitolo sull’amicizia parlo proprio di come nei decenni io abbia scremato le amicizie, talvolta mettendo alla prova i “candidati” per capire se fossero interessati alla mia amicizia o ad avere qualche servo sciocco in più.

Con alcuni mi sono finto sciupafemmine, squattrinato, senza auto, etilista e, com’era prevedibile, molti di loro si sono allontanatiperché non rispondevo ai loro canoni, non ero “utile” e non facevo fare loro bella figura in società.

Chi, al contrario, cercava una persona che li ascoltasse, con cui passare un week end al mare, o una serata al pub o anche solo due chiacchiere in famiglia mi è rimasto vicino perché quello potevo offrire loro: dopo 40, 50 e in alcuni casi 56 anni molti di loro sono ancora miei amici.

L’esempio eclatante è quello di un amico la cui figlia di chiamò dicendo che il padre era a casa con la febbre altissima, non poteva fare nulla da solo ma lei era in ferie (200 km) e non poteva venire; andai tutti i giorni per una settimana a portargli la spesa, cercandodi alimentarlo, cambiai le lenzuola sudate e arieggiai la casa fino a quando fu autosufficiente. Svariati anni dopo, rientrato lui in Italiadopo alcuni anni di lavoro all’estero, scoprii che si sarebbe sposato di lì a poco e mi invitò “verbalmente”; nel periodo del matrimonio mio padre si aggravò (e morì poco dopo) e non potei partecipare al suo matrimonio: non mi perdonò e chiuse ogni rapporto con me. Di certo se lo incontro per strada agonizzante, lo scavalco.

Poi c’è ancora un’altra sottospecie di amico d’interesse: quello che sta con te fin quando pensa di primeggiare nel confronto, che pensa di uscirne vincente nelle uscite a due, perché vali meno di lui, sei meno bello, meno ricco, meno tutto. Quando poi si sveglia dal sogno e si rende conto che hai molti altri valori per i quali, e grazie ai quali, lo hai spodestato dal trono di paglia allora ti blocca su whatsapp, si cancella dal gruppo di compagni di scuola e, in generale, sparisce da ogni forma di socializzazione.

Ai tempi del liceo, in particolare, ero circondato da figli della Torino bene che potevano spendere cifre enormi in una sera, guidare a 20 anni auto di lusso e, in generale, permettersi un tenore di vita lontano dai miei standard. Quando, a distanza di pochi anni, ci siamo rincontrati il loro atteggiamento è diventato di chiusura, di blocco non potendo più mostrare la loro superiorità economica e sociale (su quest’ultima nutro ancora oggi seri dubbi)e realizzando che io avevo raggiunto molta più fama e notorietà diloro.

Una riflessione, dolorosa ma oggettiva, mi ha portato a considerare con spietata lucidità che non erano veri amici, che non avevo perso nulla di importante, che anche il miglior divertimento offerto con secondi fini diventa pessimo rispetto ad un’offerta sincera, anche se molto umile.

Ho quindi coltivato le amicizie meritevoli, divertendoci nei momenti lieti e prestandoci mutuo soccorso in quelli tristi,provando gioia per le amicizie autoeliminatesi che non sanno cosa si sono perse.

Con gli anni ho imparato ad apprezzare gli inviti sinceri, il bicchiere di vino offerto senza fronzoli su una tovaglia rammendata, piuttosto che l’evento che dimostra palesemente di essere stato organizzato “pro domo sua” e non capisci quando scatterà la trappola.

I social hanno veicolato un concetto di amicizia lontanissimo dall’accezione originale del termine: basta chiedere l’amicizia a qualcuno e che quel qualcuno la accetti per essere classificato“amico” pur non conoscendosi e non avendo mai scambiato due parole e ciascuno non sa nulla dell’altro, nemmeno se la foto del profilo corrisponda realmente all’identità dichiarata.

I genitori dovrebbero, intanto, non portare all’esasperazione i figli mettendoli in continua competizione (sportiva, scolastica, sociale) con i propri compagni facendoli diventarehomo homini lupus”; poi noi stessi dovremmo renderci conto che lo specchio mostra soltanto il nostro aspetto esteriore, non quello che gli altri percepiscono: se pensiamo di essere “l’ombelico del mondo” mentre siamo soltanto “l’ano del quartiere” continueremo a infilare una delusione dietro l’altra.

Siamo davvero sicuri di essere meglio di chi ci circonda? Siamo realmente convinti che gli altri possano solo essere nostri allievi anziché i nostri insegnanti, magari in qualcosa di importante?

Sergio Motta

Incontro tra finanza e narrativa: esperienze e riflessioni

Un incontro che unisce finanza e narrativa, con molti punti chiave che collegano due mondi apparentemente distanti:

 6 febbraio 2025, alle ore 18.45

dialogheranno:
Massimo Ghiotti, consulente finanziario di Sanpaolo Invest con esperienza di 14 anni nel settore finanziario, parlerà di aspettative di vita, strategie di investimento e scenari economici futuri, con un focus anche sull’impatto dell’insediamento di Trump
– ⁠Antonio D. De Giorgi, ingegnere e scrittore per passione, presenterà il suo ultimo libro Il cilegio e il bambù (Paola Caramella Editrice), un romanzo dove si intrecciano riflessioni esistenziali e una narrazione avvincente.
Moderano l’incontro  Mara Martellotta e Gian Giacomo Della Porta.
L’evento sarà presentato da Paola Caramella.
Seguirà rinfresco.
RSVP entro il 31 gennaio 2025.
Campus Fideuram
Via Magenta 19
Torino

La solastalgia, il disagio creato dai cambiamenti ambientali

Coniato dal filosofo Glenn Albrecht dell’universita’ di Newcastle in Australia, “solastalgia” e’ un neologismo che deriva dalla fusione di “solace” e “nostalgia”, che insieme creano  la nostalgia della conforto. È un termine che indica il senso di malessere che si genera quando l’ambiente circostante viene maltrattato, danneggiato e deturpato.  A dar vita a questa “patologia del luogo” sono fenomeni climatici estremi come tempeste e alluvioni, ma anche fuoriuscite di petrolio e altri disastri causati dall’uomo. Quando i territori a cui apparteniamo, quelli delle nostre radici, non sono piu’ riconoscibili ai nostri occhi e alla nostra memoria questo puo’ causare stress, ansia e malessere.

Ci si sente come se quei luoghi, che rappresentano la nostra identita’ ci fossero stati portati via, si crea un senso di smarrimento dovuto alla trasformazione della nostra casa, di quello spazio che ha la funzione di rifugio e di sicurezza sia fisica che psico-sociale. Albrecht comincio’ a parlare di solastalgiariferendosi alle vicende dell’ Upper Hunter Valley che vennemodificata, meglio dire stravolta, a causa delle  operazioni di estrazione mineraria  che avevano causato nei suoi abitanti importanti problemi di umore, rabbia e senso di frustrazione.


Gli interventi dell’uomo sull’ambiente naturale, sempre piu’spesso, hanno risvolti funesti non solo sul sistema ecologico, ma anche sugli esseri umani che lo vivono e che non lo riconoscono piu’ come loro habitat originario. Questo fenomeno nostalgico, sfortunatamente, non e’ piu’ ricollegabile unicamente a singoli eventi, ma  lo si puo’ trattare a livello globale a causa della massiccia attivita’ di antropizzazione che incede inarrestabile e di frequente in maniera irrispettosa. Quest’anno siamo rimasti tutti sorpresi dal caldo record e innaturalmente protratto al sud e dai violenti temporali al nord che hanno avuto il potere di distruggere paesaggi naturali e urbani; ognuno di noi guarda a questi fenomeni estremi con preoccupazione perche’ compromettono la possibilita’di previsione, di poter pianificare  molte attivita’, ma soprattutto creano la  sensazione di non essere al sicuro nel proprio ambiente.Si da’ origine cosi’ alla “ecoansia” che produce molti dubbi sul futuro, impedisce di progettare soprattutto ai giovani che gia’ da tempo hanno cominciano a ribellarsi. Diversi sono, infatti, gli interventi attivi di ragazzi, conosciuti e non, che alle conferenze dell’Onu o  alle manifestazioni in piazza con determinazionedenunciano lo sfruttamento del pianeta,  urlano la loro  paura per il futuro  chiedendo uno stop all’utilizzo indiscriminato e dannosodel nostro pianeta. Da una parte il progresso dall’altra la necessita’che questo sia sostenibile e riguardoso, generazioni a confronto sull’avvenire, ma di sicuro un malessere ecologico sempre piu’diffuso nel presente.

MARIA LA BARBERA

Di diritti moriremo

Riguardando alcune interviste e conferenze del compianto Sergio Marchionne, mi ha colpito molto la sua analisi sulla pretesa, da parte della maggior parte degli italiani, di veder rispettati i propri diritti senza però rispettare i tanti doveri che l’appartenenza alla nostra società impone.

Si pretende il diritto allo studio, al lavoro, alla giornata di 8 ore, alle 40 ore settimanali, alle ferie, ad una giusta retribuzione e molto altro, ma per ragioni di comodo gli obblighi vengono sempre tralasciati.

Proprio perché alcuni diritti sono divenuti sacrosanti grazie a lotte sindacali, garanzie costituzionali o sentenze giudiziarie tutti ne usufruiamo dimenticando, però, che nel diritto vige un patto sinallagmatico tra diritti e doveri, ovvero vige il “do ut des” che implica il godimento di un qualcosa in cambio di qualcos’altro.

Mi spiego meglio: ho diritto alla sanità gratuita o alla pensione, a condizione di aver versato i contributi o pagato le tasse (questo è il dovere); anche su altre materie, tuttavia, spesso si confondono i ruoli e si pretende solo senza sapere (o volere) elargire nulla in cambio.

Faccio un esempio: pretendere la promozione a fine anno scolastico senza studiare è un controsenso; lo stesso dicasi per il lavoro dove non possiamo pretendere il posto a tempo indeterminato se, durante il periodo di prova, abbiamo assunto atteggiamenti ostili.

I sindacati, passati i fasti dell’autunno caldo (con uno Statuto dei lavoratori proposto dall’allora Ministro Donat Cattin e non guadagnato dalle OO.SS), hanno incentivato sempre più la concessione dei diritti a ogni lavoratore anche a costo, non di rado, di tutelare i lavativi o difendere gli indifendibili a scapito della meritocrazia.

Da un tale substrato non può che nascere la consapevolezza che i diritti siano dovuti, mentre i doveri sono tali solo per i meno furbi, per i più ligi, per i fessi insomma.

Naturalmente questo concetto di applica anche al voto politico, dove sempre più gente non si reca alle urne ma poi starnazza sui difetti della maggioranza uscita dalle urne, dove sempre meno gente si reca in Consiglio comunale ma poi pretende provvedimenti non di competenza del Comune; che dire di chi non sa neppure che dalle elezioni politiche del 2022 il numero dei deputati è sceso da 630+315 a 400+200? Però tutti giurerebbero di poter insegnare ai politici come si amministri davvero un Paeseesattamente come, davanti alla TV, siano tutti arbitri, giudici dei contest canori, Mister di calcio o strateghi di un conflitto.

E’ sicuramente ora, anche se siamo parecchio in ritardo, di insegnare fin dalle elementari cosa e quali siano gli obblighi e che sono connessi allo status di cittadino e, una volta appresi qualisiano, spiegare che se assolvi correttamente ai tuoi doveri godrai di una serie di diritti.

Tutti noi abbiamo l’obbligo di fare qualcosa perché il nostro Paese, la nostra società e, di conseguenza, ognuno di noi funzionino al meglio; ma se è facile essere passivi godendo di diritti è molto più impegnativo essere parte diligente assolvendo agli obblighi. Fino al 2004 esisteva la leva obbligatoria in Italia, poi sospesa dalla Legge 23 agosto 2004, n. 226: i renitenti alla leva erano davvero pochissimi, almeno in tempo di pace; scommettiamo quanti sarebbero oggi se la leva venisse ripristinata? Eppure è un obbligo derivante dal diritto di vivere in pace, di garantire al Paese la difesa in caso di attacco e, da alcuni anni, di coadiuvare le FF.OO. nel pattugliamento di zone a rischio.

Probabilmente stiamo ancora troppo bene per riflettere che se viviamo di soli diritti, di diritti moriremo.

Sergio Motta