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Un pomeriggio al Valsalice con il dottor Franco Berrino: alimentazione, salute e spirito ambiente

 

Nella giornata di venerdì 10 gennaio, presso l’istituto Valsalice di Torino, si è svolto un importante incontro con il dott. Franco Berrino, che ha parlato con sapienza, simpatia e passione in un’aula gremita di studenti della scuola media. L’evento è stato moderato dal prof. Andrea Olivazzo, docente di Tecnologia che, da diversi anni, dedica una parte di tempo delle sue lezioni ad affrontare un discorso sempre più significativo all’interno delle scelte di vita consapevoli: quello dell’alimentazione quotidiana.

“Il tema dell’alimentazione – ha dichiarato il prof. Andrea Olivazzo – l’ho sempre ritenuto importante, ed è giusto che i ragazzi possano riflettere e prendere consapevolezza di quanto le scelte alimentari influiscano su corpo, mente e ambiente. La presenza del dottor Berrino è la dimostrazione di quanto l’intero istituto Valsalice abbia a cuore la salute e il futuro delle nuove generazioni”.

Il dott. Franco Berrino, laureatosi in medicina e chirurgia all’Università di Torino e specializzatosi in anatomia patologica, si è poi dedicato soprattutto all’epidemiologia dei tumori. Dal 1975 al 2015 ha lavorato all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove ha diretto il Dipartimento di medicina preventiva e predittiva. Volto noto della lotta a un’industria alimentare che produce cibi sempre più sterili, raffinati, trattati chimicamente e potenzialmente pericolosi per la salute, è anche tra i fondatori de La Grande Via ETS, una Fondazione che promuove la consapevolezza di essere artefici della propria salute, fisica ed emotiva, e il benessere duraturo conquistato attraverso la scelta del cibo che viene mangiato e dell’attività fisica che viene compiuta. Un percorso finalizzato a divenire partecipi dell’armonia e della salute della comunità umana e del pianeta.

Proprio in questa direzione si è svolto l’intervento del dott. Berrino, che ha saputo catturare da subito l’attenzione dei giovani studenti spiegando due ricette sane e gustose di biscotti da preparare velocemente in casa, proponendo contemporaneamente una riflessione divenuta centrale all’interno dell’incontro.

“Tornare a cucinare e scegliere cosa mangiare è importante per noi e per il pianeta – ha dichiarato il dottor Berrino – oggi, purtroppo, è il cibo a scegliere noi. Questo succede a causa dei bombardamenti pubblicitari da parte dell’industria alimentare”.

“Dobbiamo sempre tenere a mente che scegliere cosa mangiare è una scelta che influisce non soltanto sulla nostra salute, ma anche sulle sorti del pianeta, sulle sue risorse – ha continuato il dottor Berrino – una delle cause della fame in Africa è dovuta alla coltivazione sterminata, voluta dal mondo occidentale, di soia, legumi e cereali finalizzati a diventare cibo per ingrassare gli animali in allevamento, in modo da ottenere più carne, più latte, più “prodotto da vendere”.  A quale costo, però? Gli animali si ammalano a causa di un’alimentazione innaturale e, di conseguenza, ci ammaliamo tutti noi che consumiamo il prodotto in forma di carne, latte, formaggi e derivati. L’uomo si è abituato oggi a mangiare cibi che non hanno mai fatto parte della sua dieta nel corso dell’evoluzione, alimenti sempre più raffinati come la farina 00, pieni di conservanti e trattati chimicamente per garantire una maggior durata, lo zucchero della pasticceria industriale, che posso definire “veleno”, vista la quantità di studi scientifici che lo collegano a molte gravi patologie sempre più presenti nella nostra società”.

“Il mio consiglio – ha concluso il dott. Berrino – è quello di tornare in cucina, di preparare con le vostre mani ciò che andrete a mangiare. Noterete anche dei benefici a livello economico. Tornare a mangiare il cibo dell’uomo, ovvero verdura, legumi, cereali, frutta fresca e secca come base fondamentale della nostra dieta significa allontanarsi dal consumismo imposto dall’industria alimentare. Cercate di mangiare cibo biologico, integrale, consapevoli della preparazione che l’ha portato fino al vostro piatto”.

Gian Giacomo Della Porta

Dal PC all’AI

Chi sia nato tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ‘70 ricorderà l’avvento dei primi PC, l’M24 Olivetti in particolare o, seppure più limitato, il Commodore 64 che portarono una innovazione, impensabile solo qualche anno prima, nella nostra vita e nella nostra società.

Dalla lettura dei floppy disks (e poi dei CD) all’esecuzione di calcoli piuttosto complessi, la redazione di testi memorizzabili, i primi fogli di calcolo (Lotus 123®) e molto altro, nel giro di 40 anni la tecnologia si è evoluta in modo esponenziale giungendo ad offrirci, al costo di un televisore, un computer ed una tecnologia in grado di accendere a distanza la caldaia o il forno, controllare le telecamere disseminate nell’appartamento, comandare una o più prese di corrente e molto altro.

Negli ultimissimi anni ha fatto la sua comparsa l’intelligenza artificiale, meglio conosciuta col suo acronimo AI, che sta realmente cambiando la nostra vita, e non necessariamente in meglio; uno dei primi esempi è quella offerta da programmi di fotoritocco o di video editing che, basandosi su una nostra semplice stringa di testo, sono in grado di creare l’immagine o il video da noi richiesto (Santa Claus donna qui sotto, per esempio)

L’AI altro non è che lo sviluppo logico del percorso iniziato, appunto, con i primi PC che almeno in teoria dovevanosemplificarci la vita. In realtà, ogni innovazione moderna ha solo in apparenza migliorato lo status, il modus vivendi delle popolazioni che quelle innovazioni hanno fatto proprie. Pensiamo solo alla robotica: nata per migliorare la precisione nell’esecuzione delle mansioni da parte degli operai, in realtà si è dimostrata un mezzo, accettato dai sindacati, per permettere alle aziende di licenziare gli operai. Anche nei servizil’informatizzazione ha portato agli stessi risultati: dove prima occorrevano quaranta impiegati ora ne basta la decima parte, ove prima c’erano due filiali bancarie per ogni Comune, ora c’è un solo sportello Bancomat ogni 3-4 Comuni.

L’avvento di whatsapp, che permette di lasciare messaggi audio, viene osteggiato dai più per motivi che sfuggono all’umana comprensione, preferendo sterili messaggi di testo che potrebbero essere stati inviati dal primo che prende in mano lo smartphone.

Non parliamo, poi, dei siti di incontri che permettono a perfetti sconosciuti, sé dicenti Pippo o Mimmo, di incontrare Mimì o Lulù, salvo poi fare retromarcia di fronte alla realtà, vista l’incapacità di incontrare, conquistare e sedurre una persona realmente.

L’AI, inoltre, è (o, meglio, sarebbe) in grado di scegliere per noi ilpartner più idoneo sulla base di ciò che abbiamo inserito nel nostro profilo.

E’ evidente che la nostra società meriti solamente l’estinzione, vista la volontà (o la tendenza) all’autodistruzione.

Quello che parrebbe essere un miglioramento della qualità di vita, alla luce dei fatti risulta essere un enorme autogol che ci allontana sempre più dal benessere, nell’accezione originale del termine, e dalla felicità.

Pensiamo di essere felici avendo (quasi) tutto sotto controllo con un semplice tasto dello smartphone, potendo in ogni momento stare in contatto con amici, parenti, amanti, ecc, ma chissà perché,ora più che mai, ci rivolgiamo allo psicologo o allo psicoterapeuta perché qualcosa in noi non va.

Una tecnologia che, in modo subdolo, lento ma inesorabile mette in evidenza tutti i nostri problemi, le nostre fragilità e che ci toglie la serenità, il sonno, la privacy, il riposo.

Con l’AI geni della musica come Beethoven o Mozart saranno messi alla pari con qualsiasi cretino che urla contro le donne, i poliziotti o il proibizionismo; quelli che una volta venivano derisi al bar fin quando non gli si toglieva il mezzo litro davanti verranno venerati come un Nobel o un laureato Honoris Causa.

Che senso avrà ancora studiare se basterà un’occhiata in rete per diagnosticarsi la patologia acuta da cui siamo affetti, per recensire un libro premiato, per valutare causa ed effetto del riscaldamento globale o per giudicare un film senza neppure averlo visto?

L’unico vero risultato dell’AI sarà di permettere ai decerebrati ditenere il passo con i più intelligenti; i minus habens, avendo molto tempo libero perché nessuno li assumerà più, avranno tempo a volontà per pontificare, convincere il mondo delle loro tesi, elaborare tesi fantasiose su qualsiasi argomento o cercare di dimostrare che la Terra è piatta.

Da ragazzino andai con i miei genitori a vedere il film “2001 Odissea nello spazio” nel quale, oltre alla regia impagabile di Stanley Kubrick, la musica di Richard Strauss ci conduceva alla scoperta della prima forma di AI, il computer HAL 9000 in grado addirittura di leggere il labiale dell’equipaggio. Considerando che parliamo di un film uscito nel 1968 possiamo dire che avremmo avuto, volendo, il tempo per prepararci e, ove necessario, correre ai ripari ma evidentemente così non è stato.

Dunque, che senso ha programmare un’intelligenza artificiale destinata agli imbecilli naturali?

Sergio Motta

Le biblioteche storiche di Torino, patrimonio dei cittadini

Il Salone del libro è  importante per Torino, ma anche per l’Italia tutta. L’affluenza e’sempre in aumento e questo vuol dire che leggere è una attività fondamentale a cui non si rinuncia, fortunatamente; attraverso i libri ci arricchiamo, sono uno strumento essenziale per la nostra crescita intellettuale,  morale e spirituale, ogni volume che leggiamo lascia una traccia, sempre.

Torino e’ nota anche per le sue diverse e straordinarie biblioteche e alcune, oltre che rappresentare luoghi di culto per il lettore e lo studioso, rivestono una grande importanza storica e monumentale.

Tra le molte esistenti eccone alcune molto importanti, simbolidella Torino dedita alla cultura e alla formazione.

Biblioteca Reale conserva circa 200.000 volumi, una ricchezza voluta da Carlo Alberto di Savoia-Carignano. La prestigiosa collezione di volumi e disegni importanti come i 13 autografi di Leonardo Da Vinci e il suo Codice del Volo degli uccelli. Nel 1942 venne inaugurata la nuova sede con importanti e preziosi arredi, dopo la Seconda Guerra Mondiale divento’ una biblioteca pubblica. Fanno parte del complesso museale anche il Palazzo reale, L’Armeria, la Cappella della Sindone, la Galleria Sabauda, il Museo di Antichità e i Giardini Reali.

Biblioteca Nazionale Universitaria

Fondata all’incirca nel 1723 per volontà di Vittorio Amedeo II di Savoia che realizzò l’accorpamento della raccolta del Comune, quella della Regia Università e i libri della corona, oggi e’ una biblioteca statale pertinente alla direzione del Ministero della Cultura. Nel 1957 comincio’ l’edificazione della sede attuale, in piazza Carlo Alberto, che terminò nel 1973 con il trasferimento del patrimonio dai locali di via Po, dove si sviluppò il grave incendio del 1904 che distrusse molte delle 4.500 unita’ presenti. Nella collezione attuale troviamo manoscritti in lingua ebraica, in greco, in latino, 1600 incunaboli che ci riportano agli albori della stampa e quindi alle meta’ del 1450, incisioni e disegni di inestimabile valore.

Archivio di Stato

Composto da 4 sezioni e’ risultato di una storia secolare che in origine era il Tesoro di carte dei Conti Savoia risalente al XII  secolo anche se  i primi atti che ne documentarono l’esistenza sono del XIV.

La biblioteca oggi e’ suddivisa in 3 settori: quella antica che custodisce volumi dal Medioevo al 1800, la nuova che contiene libri fino al 1930 circa e la corrente che arriva all’epoca attuale.

Sono conservati anche periodici, riviste scientifiche, dossier e studi culturali italiani e stranieri stampati dal 1593 fino ai giorni nostri.

Biblioteche Civiche Torinesi

Con 18 sedi in citta’ e punti di servizio in  2 ospedali e  3  carceri, le Biblioteche Civiche Torinesi rappresentano un patrimonio  condiviso di saperi e  un ponte tra culture e generazioni. Sono a disposizione oltre 500.000 libri, un tesoro di inestimabile di ricchezza culturale messo a disposizione dei cittadini. Spiccano tra le varie sedi edifici storici come Villa Amoretti, il Mausoleo della Bela Rosin o Andrea della Corte e altri piu’ moderni come il Dietrich Bonhoeffer, Natalia Ginzurg e poi il Bibliobus che sosta ogni giorno in diverse parti della citta’. Oltre alla consultazione e al prestito librario la biblioteca organizza eventi, corsi e laboratori dedicati alle varie fasce d’eta’ e diversi gruppi di lettura.

Centro Studi Piemontesi

La biblioteca  e’ nata nel 1969 in concomitanza con la fondazione del centro stesso che raccoglie volumi relativi alla cultura piemontese come la sua storia, la letteratura, il teatro, l’economia, l’arte, la civilta’.  La racconta e’ di circa 18.000 volumi moderni e 400 edizioni antiche, con un catalogo in costante aggiornamento anche in digitale su cui sono gia’ stati caricati 8.000 libri. E’ articolata in differenti fondi particolari legati ai maggiori  donatori come Mario Becchis o Renzo Gandolfo.

Centro Gobetti

Con una collezione, tra monografie e opuscoli, di 75.000 testi il centro e’ specializzato su alcune figure e correnti della cultura e della politica italiana del Novecento, sulla vicenda nazionale dall’Unità ai giorni nostri e sulla storia del pensiero politico contemporaneo. E’ un punto di riferimento per gli studiosi dell’antifascismo in chiave liberaldemocratica, per i cultori del pensiero di Piero Gobetti, Ada Prospero e Norberto Bobbio. Dal 1998 il centro e’ inserito nel Sistema Bibliotecario Nazionale e nel 2016 alcuni dei fondi librari sono stati trasferiti al Polo al ‘900 insieme a una parte della sua biblioteca generale.

Maria La Barbera

Il sex coaching

A partire dagli anni ’80 si sono diffusi i termini coach, coaching e, in un delle varie declinazioni, sex coaching.

Il coaching è a tutti gli effetti una disciplina, condotta da un maestro (coach) che offre il suo aiuto ed il suo supporto professionale, occupandosi di colmare e chiarire tutti quei dubbi che ognuno di noi può avere e rimasti senza risposta.

Oggi tratterò, in particolare, in sex coaching. Di cosa si tratta?

Letteralmente è l’allenamento al sesso ed i sex coach ne sono gli allenatori, che aiutano a risolvere le lacune in materia di sesso, permettendoci di giungere ad una sua diversa percezione (tabù, convinzioni limitanti).

Il sex coaching è una disciplina che punta a risolvere le problematiche legate al mondo del sesso come pure ansie e blocchi legati alla sfera sessuale.

Il sex coach è, a tutti gli effetti, una figura professionale che si occupa di insegnare tanto a singoli individui quanto alle coppiecome vivere e salvare la loro vita sessuale, sia personale che nella relazione, portando i soggetti ad esprimersi in modo più aperto, sia nelle fantasie che nelle prestazioni vere e proprie.

Una disciplina che permette a chiunque viva un disagio nella sfera sessuale di confrontarsi col coach per arrivare a prendere conoscenza di sé e della propria sessualità, con l’obiettivo di rimuovere alcune cause ostative o di raggiungere un maggior benessere ed una consapevolezza di se stessi.

Tutti noi, chi più chi meno, particolarmente agli inizi della propria vita sessuale o all’arrivo della menopausa e dell’andropausa, ma anche in periodi di sovraffaticamento psichico, possiamo incontrare disagio o incomprensioni nella sfera intima. Il sex coach ha il compito di ascoltare chi si trovi in tale situazione fornendogli gli elementi per superare eventuali blocchi e disagi e vivere consapevolmente la propria vita sessuale.

L’incontro con il sex coach vede affrontati tanti argomenti, con il paziente che palesa i propri problemi o dubbi e formula domande, ed il coach aiuta chi si rivolge a lui/lei fornendogli i giusti strumenti per comprendere le tematiche e rimuovere i blocchi.

Si parla di ogni sfaccettatura della sessualità, dalla soluzione di problemi come l’eiaculazione precoce a come prolungare il piacere, dal vaginismo alla disfunzione erettile. Insieme, coach e paziente permettono al paziente di disattivare quel meccanismo mentale che privilegia la parte razionale a svantaggio di quella istintuale, che blocca ogni tentativo di cambiare, di seguire desideri e realizzare fantasie.

Tutti noi ci portiamo dietro dall’infanzia alcuni blocchi, qualcuno più di altri, dovuti all’imprinting genitoriale, all’ambiente, all’educazione, alla religione; compito del sex coach è aiutarci a vivere il sesso più liberamente ed in modo appagante.

In un periodo in cui siamo tutti presi dalla frenesia della vita quotidiana, dove stress, preoccupazioni, ansie e lavoro minano seriamente la nostra felicità e la nostra vita sessuale rivolgiamoci al sex coach senza timore e, lavorando insieme a lui/lei, riportiamo la felicità tra le mura domestiche e sotto le lenzuola.

Conditio sine qua non, però, è essere consapevoli di avere un problema.

Sergio Motta

Sex coach

Buongiorno, grazie, scusa. La cortesia sta bene su tutto

L’educazione è come una camicia bianca, non passa mai di moda” diceva Toto’.

Purtroppo questa affermazione del famoso attore, commediografo e poeta napoletano ultimamente non trova molto fondamento perché sembra, invece, che le buone maniere e la cortesia stiano perdendo importanza.

Quando ero piccola ricordo che i miei genitori mi dicevano di salutare, di ringraziare e di dire per favore quando chiedevo qualcosa; era doveroso cedere il passo agli anziani, tenere la porta a chi veniva dopo di te e chiedere scusa in caso di piccoli incidenti, ma soprattutto se ci si comportava male. Cosa sta succedendo alla gentilezza? Perché si stanno perdendo quelle forme di cortesia che rendono la nostra quotidianità  più cordiale e civile? Senza dover ricorrere alle regole del Galateo che, seppur aggiornate alle nuove consuetudini, non sono sempre e comprensibilmente applicabili, sarebbe invece importante utilizzare alcuni comportamenti essenziali per facilitare le relazioni non solo tra persone reciprocamente note, ma anche nei confronti di sconosciuti che non incontreremo mai più.

Un “buongiorno” (possibilmente con un sorriso) è necessario se si incontra qualcuno di nostra conoscenza, quando si entra in un negozio, in un bar o prima di chiedere un’ informazione per la strada; un “grazie” è d’obbligo quando si riceve qualcosa, se qualcuno ci aiuta o se una persona ci dedica del tempo; un bel “per favore” è indispensabile prima di chiedere qualsiasi cosa anche se, in apparenza, non ce n’è bisogno; infine la più difficile, domandare  “scusa”, un’ espressione di  dispiacere in seguito ad una mancanza,  una specie in via di estinzione, difficilissima da pronunciare e persino da contemplare.

Se poi vogliamo andare oltre l’argomento “buone maniere”, di cui attualmente ci si sorprende come di fronte ad una apparizione, è utile sapere che un saluto, anche solo con un cenno del capo se proprio ci sentiamo timidi, un segno di gratitudine e porgere le proprie scuse  sono motivo di benessere e ci mettono in contatto con il lato migliore del nostro io. Uno studio della International Journal of Psychophysiology afferma, infatti, che essere gentili supporta l’autostima, aiuta il sistema cardiovascolare, diminuisce i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e aiuta la produzione di endorfine (i neurotrasmettitori che alleviano il dolore e lo stress).

Se i nostri gesti di gentilezza, poi, non dovessero trovare una risposta secondo le nostre aspettative, non molliamo la nostra battaglia per la civiltà, perseveriamo, proviamo a creare un circolo virtuoso e ad andare in controtendenza a queste inclinazioni di ultima generazione che ci vogliono troppo avari di cordialità e attenzioni.

Vestitevi di educazione e gentilezza. Sarete sempre eleganti”.

MARIA LA BARBERA

Capodanno Anni ‘70, ritorno a piedi da Cavoretto a Barriera

Nel 191 avanti cristo Roma si inventò il capodanno. Dunque, ad occhio e croce sono passati più di 2mila e duecento anni. Decisamente una festa pagana. Feste propiziatorie. Con la continua speranza di anni migliori di quelli passati. Ma dopo 2mila e 200 anni le cose sono notevolmente cambiate. E direi proprio in peggio.
Si festeggiava addirittura durante le 2 guerre mondiali sul fronte, soldati che speravano nella fine della guerra. Ora… mi pare che violenza, omicidi, disperazione e conflitti  non finiscano mai. Ogni giorno ce n’è una. Dai femminicidi a bande di giovani adolescenti violenti ed ignoranti. Dalla guerra in Ucraina che tra un po’ sarà di tre anni e la Palestina e oramai quasi tutto il medio oriente. Follie allo stato puro. E più leggi cercando di capire e più non riesci a fartene una ragione. Appunto, scusate se tediosamente mi ripeto, ci si rifugia nel ricordo.  Non che con i miei genitori si usasse tanto festeggiare questa ricorrenza. Sicuramente questioni di abitudini. Dunque dovetti arrangiarmi da solo.
Il primo  nel 72.  Con quattro amici del Basket all’oratorio Monterosa in ristorante a Cavoretto. Quello all’angolo sulla piazzetta. Cucina così così e un vino scadentissimo tanto noi non bevevamo. Il ritorno a casa a piedi.  Proprio così. Da Cavoretto in Barriera di Milano. Che senso di libertà. Per la prima volta mi sentivo grande.  L’anno successivo ai Giardini di via Mercadante angolo via Monterosa. Mangiammo tutti a casa e poi in tre o quattro alle 23,30 ci trovammo. Quattro chiacchiere, aspettando le 24. Qualche mortaretto, spumante scadente con il panettone ancor più scadente e all’una tutti a nanna, ma si capiva che stavamo crescendo. Ma fu nel 1974 l’anno clou. Da lì a 5 mesi sarei diventato maggiorenne. Mica noccioline.
Ancora non lo sapevo ma il 1975 avrei per la prima volta votato. Anche qui non sono solo noccioline. Partimmo per la montagna il 27 dicembre.  Valli di Lanzo. Treno fino a Germagnano e poi corriera fino alla frazione di Mezzenile e scarpinata di mezz’ora per raggiungere la piccola baita di proprietà dei genitori di Umberto. Ci conoscevamo dalle elementari. Ora grazie ai social ho saputo che è andato in pensione. Serena la sua compagna di allora. Anche lei dopo decenni al sindacato ora in pensione. Letizia la creativa del gruppo diplomata al liceo artistico. Insegnante ed anche lei in pensione.  Mamma mia che freddo. Subito lA stufa a palla ed ogni 5 minuti un ciocco da ardere. Tanto freddo ma tanta ma tanta felicità. Da quelle parti il padre di Umberto aveva fatto il partigiano e noi… in fondo sentivamo ancora l’alito  di quegli epici anni.
Si dormiva abbracciati un  po’ per amore e un po’ per il freddo.  Ma che ci importava: avevamo il mondo in mano. Come diceva Russel se a vent’anni non sei comunista sei senza cuore. Se a quarant’anni lo sei ancora sei senza cervello. Ma la seconda parte non la conoscevamo ancora. Ci sono ricordi dove non c’è né rimpianto né rimorso ma solo incondizionata fiducia verso il futuro.
Gli ultimi giorni  di quel dicembre 1974 erano tutto ciò. E dopo cinquanta anni esatti lo sono ancora. Il 31 arrivarono compagne e compagni giovani comunisti della 35 sezione.
Mitica sezione di Barriera di Milano. In via Baltea davanti al mercato di piazza Foroni. Fu tra i più bei capodanni della mia vita.
Forse non abbiamo ottenuto tanto ma almeno ci abbiamo provato. E per l’appunto non è cosa da poco. Almeno nell’averci tentato, nel voler cambiare le cose. Viceversa avremmo avuto solo rimorsi. Bene, siamo alla sgoccioli di questo 2024. Ed auguri ma non a tutti. Auguri a chi se li merita… e sono pochi tra i politici che se li meritano. Non se li meritano i violenti , non se li meritano i razzisti e sovranisti. Non se li meritano gli scafisti venditori di morte a pagamento. Noi nel 2025 continueremo a dire ciò che pensiamo, quello che vorremmo essere e quello che siamo diventati. Un nostro personale contributo per un nocciolo di felicità in un Mondo sempre più infelice. Ed anche ciò non mi pare cosa da poco.
PATRIZIO TOSETTO

Tradizione o intossicazione?

E’ notizia di questi giorni che una signora inglese già da alcuni anni, pur di mantenere viva a casa sua la tradizione del cenone risparmiando (non poco) avrebbe utilizzato gli avanzi delle feste aziendali, convincendo gli organizzatori del catering a “passarle” gli avanzi. Finché, nel 2017, in un cenone che ebbe luogo alcuni giorni dopo aver preso quel cibo, qualcosa andò storto: molti dei partecipanti accusarono malesseri, il marito, la figlia minore, i suoceri alcuni cugini e amici di famiglia a causa di un’intossicazione alimentare.

Questo è sicuramente un caso limite, ma il rischio è comunque presente specie se si utilizzano preparazioni domestiche della cui modalità di preparazione non si è sicuri, prodotti di bassa qualità o, specie nei discount, prodotti con data “best before” superata.

Tutti i cibi conservati sottovuoto e ricchi di acqua possono diffondere il botulino, proprio perché questo è un clostridio anaerobo che vive, quindi, in assenza di aria. E’ più facile reperire questa tossina nei cibi realizzati domesticamente perché minori sono i controlli e le attenzioni; nelle industrie solitamente i controlli di NAS e ASL sanzionano eventuali difformità dalla legislazione vigente.

Sono altrettanto a rischio le conserve vegetali, le salse, tonno e carne in scatola, gli insaccati.

Quale il senso di questa disamina? In queste festività, essendo noi un popolo di poeti, navigatori e, soprattutto, di mangioni diamo molta importanza alla quantità sia nell’imbandire la tavole che nel preparare cestini natalizi. Al di là di ogni considerazione nutrizionale, dietetica o medica, se pensassimo di più alla qualità piuttosto che alla quantità?

Orientarsi su produttori di chiara fama, o mettere nei cestini cibi che non possano costituire pericolo alimentare?

Se sono persone che conosciamo bene, sapremo se posseggano una macchina per caffè a capsule (o cialde) o se usino ancora la moka; in alternativa marmellata, frutta di stagione, frutta secca, formaggio tipo Grana, legumi secchi, biscotti, fette biscottate ma dando sempre la priorità alla qualità.

Molti di noi tendono a esagerare quando si tratta di regalare qualcosa in concomitanza con le festività principali o se organizzano cene temono di sfigurare cucinando solo ilnecessario, di passare per tirchi, che qualcuno abbia ancora fame ma di dovergli dire “non ce n’è più”; e puntualmente tutti gli anni buttiamo via gli avanzi, quando va bene li distribuiamo tra gli ospiti o ci costringiamo a mangiare gli avanzi per diversi giorni a seguire.

Se per fare questo, però, siamo costretti a lucrare sulla qualità di ciò che offriamo qualcosa non funziona; la salute dei nostri commensali e nostra è seriamente a rischio.

Se il produttore non avesse indicato in etichetta tracce di un allergene, anche solo per la presena nello stabilimento?

Se un dono, perché il regalo è un’altra cosa, indica il sentimento che proviamo verso il ricevente, mandarlo in ospedale non sembra il modo migliore per dimostrarglielo; meglio poco, magari tra prodotti di eccellenza (champagne, tartufo, caviale, quello vero, sigari cubani, whisky invecchiato, ecc.) piuttosto che molti prodotti di dubbia qualità.

E’ corretto, quasi doveroso, mantenere le tradizioni anche se alcune andrebbero adattate alle mutate esigenze della società (più nessuno zappa la terra, spacca le pietre o taglia manualmente gli alberi, quindi 3000 calorie al giorno sono eccessive), la vita sedentaria favorisce il sovrappeso e così via.

Cambiano i tempi, cambiano i gusti e le esigenze delle persone per cui sarebbe il caso di adeguarci, se non vi è nulla che ci impedisca di farlo.

Un occhio alla salute, uno riguardo all’ecologia, un’attenzione agli interessi di chi riceverà il dono o mangerà i nostri manicaretti: non solo dimostreremo di conoscere i suoi gusti ma faremo una scelta razionale, dando priorità al suo gradimento e spendendo probabilmente la stessa somma.

Se fossi un matematico potrei dire che il rapporto tra qualità e quantità è una costante: al diminuire di una se aumenta l’altra il risultato rimane invariato.

Ma il fattore umano dovrebbe restare il valore dominante.

Sergio Motta

È ‘Torino riflessa’ la nuova guida che narra la città del commercio, della tradizione e dell’innovazione

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Da giovedì 19 dicembre Torino ha una nuova guida turistica, promossa dalla Città di Torino, in collaborazione con EDT, e si intitola “Torino riflessa. La città vista dalle vetrine”. Si tratta di un viaggio tra gli spazi del commercio locale che raccontano storie di resilienza, innovazione e tradizioni tramandate, svelando il volto autentico della città attraverso le vetrine dei suoi negozi, i mercati rionali, le botteghe artigianali.

“Abbiamo voluto mostrare la Città attraverso le vetrine dei negozi – ha dichiarato l’assessore al Commercio Paolo Chiavarino- per raccontare storie di tradizione, resilienza e innovazione, sottolineando l’importanza del commercio di prossimità come motore economico e pilastro della comunità. Non solo guida, ma un invito a guardare la Città che ha saputo coniugare memoria e modernizzazione con occhi nuovi. Un viaggio tra passato e presente che ci invita a riflettere sul valore delle nostre scelte di acquisto e sulla nostra capacità di valorizzare ciò che rende unica la nostra città “.

“Ci siamo sentiti a casa nello sviluppare questo progetto – ha dichiarato il direttore di EDT Angelo Pittro – perché EDT condivide lo spirito delle storie raccontate da questa guida. Siamo una casa editrice torinese fondata cinquanta anni fa dalla famiglia Peruccio e anche la nostra sede è frutto della riconversione di un’antica fabbrica. Con ‘Torino riflessa’, grazie alla scrittura ispirata di Alessandro Lamacchia e Stefano Cavallito e agli scatti di Michele d’Ottavio, abbiamo voluto dar voce alle storie nascoste dietro le vetrine, raccontando luoghi che custodiscono il valore del lavoro artigianale delle cose fatte con cura e passione.

Il progetto riesce a mettere in luce come, dal cuore elegante di Torino, con i suoi fasti barocchi e risorgimentali, alle periferie più vitali, Torino abbia mostrato più di una volta il suo talento nel cambiare pelle, mantenendo, però, una profonda connessione con il suo passato.

Le vetrine di Torino non sono solo spazi di esposizione, sono specchi del tempo capaci di riflettere le trasformazioni sociali e culturali della città. Ogni angolo ha qualche cosa da raccontare, dalle scaffalature in legno, così preziose, della storica Erboristeria della Consolata, che profuma ancora di timo serpillo, alla splendida boiserie della gioielleria Palmerio 1932, sita in via XX Settembre, un tempo sede dell’agenzia di viaggio Transatlantica Robotti, fino a via San Secondo dove le vetrine viola di un centro dentistico convivono con la grande devanture lignea con motivi neoclassici di inizio Novecento e parte degli arredi dell’attuale caffetteria Nobili.

Porta Palazzo, il mercato più grande d’Europa, rappresenta il simbolo della diversità e dell’accoglienza di Torino, come ci ricordano le Luci d’artista di Michelangelo Pistoletto “Amare le differenze”, che decorano l’Antica Tettoia dell’Orologio.

Girando per questo mercato e per gli altri che si trovano più a Nord nella città, si trovano specialità uniche come il sapone di Aleppo della Drogheria Rinaldi o i taralli fragranti del tarallificio il Covo in piazza Foroni. Nella galleria Umberto I, che si imbocca dall’esedra di Porta Palazzo, la storica Casa della Tuta, nata nel 1933, continua a vendere abiti di tradizione da lavoro ormai da generazioni. Questi mercati, più che spazi commerciali, si sono trasformati in luoghi di incontro e di vita dove tradizioni e storie si intrecciano.

Gli spazi industriali dismessi di Torino, come il Lingotto, ora polo culturale e commerciale, e il birrificio Metzger di via Catania, trasformato in birreria artigianale e sede di eventi culturali, dimostrano la straordinaria capacità della città di reinventarsi e rigenerarsi. Lo stesso accade nei piccoli negozi come la Panetteria Bertino, in via Galliari, che all’epoca delle leggi razziali salvò alcuni dei suoi clienti storici nascondendoli nei sotterranei, o alla Torrefazione Samambaia di via Madama Cristina, dove un florilegio di dolciumi testimonia storie di resilienza e passione con una fragranza di altri tempi.

‘Torino Riflessa’ sottolinea l’importanza del commercio locale non solo come motore economico, ma anche come pilastro della comunità. Nella centralissima via San Tommaso negozi come la latteria delle sorelle Bera e la Drogheria fondata da Lavazza nel 1895 raccontano un passato che si rinnova ogni giorno. Non meno significative sono le attività periferiche, come la fabbrica di vernici Zoccali, che ha saputo reinventarsi per rispondere alle attuali esigenze.

‘Torino riflessa’ è molto più di una guida, è un invito a guardare la Città con occhi nuovi, a perdersi nei suoi quartieri e a scoprire la bellezza nascosta nelle sue vetrine.

Attraverso luoghi simbolici come il San Giors, una stazione di posta rinnovata alla fine dell’Ottocento e oggi bellissimo ristorante tradizionale e locanda con “camere d’artista”, o come il grande ostello Combo, ospitato nell’antica caserma dei pompieri, il progetto conferma e rivela che la città ha saputo coniugare memoria e innovazione. Seguire l’ispirazione di ‘Torino riflessa’ rappresenta un viaggio tra passato e presente, che ci invita a riflettere sulle scelte quotidiane dei torinesi e sulla loro capacità di convogliare le energie per rendere unica la loro città.

 

Mara Martellotta

Voglia di mercatini

In questo periodo prenatalizio un po’ ovunque, specie nel nord e centro Europa, i mercatini di Natale attirano persone anche da località piuttosto distanti.

Alcuni agenzie di viaggi sono quasi specializzate in viaggi in autobus o con mezzi propri verso località sede di mercatini famosi, come Innsbruck, Annecy, Graz, Budapest, Montreux o Merano.

Questi mercatini natalizi, ed i viaggi organizzati, hanno una caratteristica che li differenzia da tutti gli altri: non si va lì per fare affari, né per la scelta di articoli natalizi; si va lì per stare con altre persone, per tuffarsi nell’atmosfera natalizia, per cambiare aria potremmo dire.

Ieri con i miei collaboratori ho visitato i mercatini di Aosta che, nonostante la sede provvisoria in attesa che l’area romana venga ripristinata, contengono decine di casette. Abbiamo chiesto ad alcuni visitatori quale motivo li spingesse a venire, spesso dalla Francia, a visitare questo mercatino. La risposta è stata promettente, almeno da un punto di vista umano: la voglia di stare in mezzo ad altre persone, respirare questa atmosfera e, ma in misura molto minore, acquistare qualche prodotto tipico (liquori, ricami, artigianato ligneo). Agli espositori è stato chiesto come stesse andando l’edizione di quest’anno: la risposta è stata positiva, tanti visitatori nonostante il freddo pungente, poche vendite di oggetti, molte consumazioni di cibi e bevande tipici (succo di mela caldo, vin brulè, strudel, brezeln).

Si evince, quindi, che il motivo per cui queste persone si recano a visitare questi eventi non sia il risparmio (tra benzina e autostrada o considerando il costo del viaggio organizzato occorrerebbe acquistare davvero tanti articoli convenienti per ammortizzare i costi sostenuti), non è la ricerca di articoli particolari (vi sono negozi che vendono online e negozietti specializzati anche nelle nostre città), non è la concomitanza dei mercatini con un week end in zona, perché la quasi totalità viaggia in giornata.

Cosa spinge allora le persone, e intere famiglie con bimbi piccoli, a visitare questi mercatini?

L’ipotesi più plausibile, e molti intervistati l’hanno testimoniato, è la voglia di stare in mezzo alla gente, tornare all’atmosfera natalizia, riempire gli occhi dei più piccoli di oggetti e tradizioni natalizie.

In una città come Torino in cui, nel periodo natalizio, i parcheggi sono a pagamento anche nei festivi, in cui cantieri eterni disincentivano i giri in centro, dove i problemi di parcheggio ti fanno preferire viaggi di 100-200 chilometri per trascorrere una giornata senza stress, in cui il mercatino natalizio di piazza Castello è sparito ai tempi del Covid e ora stanno ancora evidentemente disinfettando la piazza, le persone non trovano un’atmosfera degna di questo periodo, dove socializzare, fare acquisti da persone e non da siti e, pertanto, si rivolgono altrove, com’è nella logica umana.

Salta subito all’occhio come, obbligati a stare con il cellulare in mano tutto il giorno, per lavoro, per tenere contatti con amici e con la famiglia, raggiungere un indirizzo, effettuare un bonifico, leggere le mail, riconoscere un brano musicale di anni addietro, pagare, accendere da remoto il termosifone di casa o togliere l’antifurto in ufficio, segnare un appuntamento in agenda o messaggiare con qualcuno potersi finalmente incontrare di persona anche se con perfetti sconosciuti, lasciare un attimo lo smartphone in tasca per poter toccare gli oggetti, bere il vin brulè o spingere il passeggino acquistino un sapore, un piacere dimenticato.

Ripeto sempre che l’uomo è un animale sociale che ha bisogno di stare in mezzo ad altri esseri umani, di confrontarsi con essi e, soprattutto, di affermare o confutare i propri pensieri, le proprie idee, le proprie convinzioni.
Dal secondo dopo guerra il QI delle persone è in calo, ed in Italia il problema è particolarmente sentito stante che il 70% degli adulti è analfabeta funzionale (sa leggere ma non comprende il senso); al di là di ogni possibile terapia cognitiva, cura medica, intervento ministeriale nei programmi educativi, ecc ecc, è palese che confrontarsi con gli altri, anziché convincersi ogni giorno di più che il proprio smartphone sia la Bibbia, che ognuno di noi sia la reincarnazione della più alta divinità, possa influire positivamente su questo calo intellettivo.

Confrontare tesi e opinioni, saper cambiare il proprio punto di vista (Einstein sosteneva che l’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento) è segno di obiettività, di intelligenza e, dunque, di umiltà.

Mantenere sempre la stessa opinione, rimanere ancorati a poche idee, ma sempre le stesse, non indica carattere forte, anzi, mostra semplicemente di non avere interesse a capire la verità ma solo a non ammettere di essersi sbagliati.

Sergio Motta

Come sarà la Torino che verrà? sportiva, verde, giovane, culturale, all’avanguardia

Una Torino sportiva, verde, giovane, culturale, all’avanguardia, con il lungo fiume riqualificato e spiagge balneabili sul Po. Immaginano così la Torino del futuro giovani e adulti, interpellati attraverso un sondaggio nei giorni scorsi alle Ogr nel corso dell’annuale evento in cui il Sindaco e la Giunta comunale fanno il punto sui progetti realizzati nell’anno che si sta per concludere. Un appuntamento che quest’anno è stato l’occasione per tracciare un bilancio di metà mandato, di fronte ad una platea di circa 1400 persone tra cui 700 studenti provenienti di 25 istituti superiori torinesi.

Sul palco il racconto dei progetti in corso, dei cantieri attivi e in partenza, dei grandi eventi in arrivo, di investimenti e sfide dei prossimi anni che disegneranno la Torino del futuro, suddivisi nei quattro ambiti che hanno dato il titolo all’evento: “sviluppo, coesione, cura, sostenibilità”. Proprio come ha fatto un’illustratrice chiamata a mettere su un foglio da disegno la Torino che immaginano i componenti della giunta: “la città dei quartieri” per l’assessore all’Urbanistica Paolo Mazzoleni, una città “con le piazze illuminate” per quello alla sicurezza Marco Porcedda, “un alveare che brulica” per la titolare del Bilancio Gabriella Nardelli e una città “che si specchia nei volti dei ragazzi” per il collega con la delega alle Politiche Sociali Jacopo Rosatelli. E ancora: la città “delle nascite di bambini, imprese, talenti e luoghi” per la vicesindaca Michela Favaro, “un mosaico” per l’assessore al Commercio Paolo Chiavarino, una città “poliedrica” per quello allo Sport Domenico Carretta, un luogo ideale per “bambini e giovani” per l’assessora alle Politiche Educative Carlotta Salerno, una Torino “Verde e blu, i colori della natura e del fiume” come le deleghe dell’assessore Francesco Tresso, “un mare” per l’assessora alla Cultura Rosanna Purchia e “una grande costruzione di mattoncini Lego” per quella all’Innovazione e Mobilità Chiara Foglietta.

“Arrivati a metà mandato”- ha commentato il Sindaco – il bilancio è sostanzialmente positivo. È stato fatto tanto, tanto resta ancora da fare; abbiamo ancora problemi da risolvere ma mi sembra di poter dire che, complessivamente, la strada che abbiamo iniziato a percorrere sia quella giusta e che sta iniziando a dare risultati tangibili, con progetti per 2,6 miliardi di euro che segnano una stagione di grandi investimenti per Torino”.

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