Anche quest’anno, il 25 novembre, si è celebrata da più parti la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.
Mai come negli ultimi anni alcuni delitti efferati, compiuti a danno di donne da parte dei loro compagni o fidanzati, rendono evidente le necessità di cambiare qualcosa, di far si che questi delitti siano soltanto più un ricordo di un’epoca barbarica.
Ma cosa si può fare? Dove occorre agire perché la soluzione sia efficace? Sicuramente è necessario lavorare su più fronti: da un lato rendere edotte le possibili vittime di quali mezzi lo Stato metta a loro disposizione (patrocinio gratuito, segnalazione anonima della violenza, ecc), dall’altro educare i maschi, fin dall’adolescenza, che la donna non è una proprietà esclusiva del compagno, che se una donna dice no non vuol dire si, che un vestito non è necessariamente un invito.
L’anno scorso, per il 25 novembre, realizzai proprio un video dove alcune donne, nella loro lingua (russo, rumeno, cinese, francese) dicevano “Il mio vestito non è un invito” (My dress doesn’t mean “yes”) e l’iniziativa fu apprezzata dalle comunità etniche di queste persone prima che dagli spettatori.
Ma fin quando non andremo ad agire sulla vera causa del problema saremo sempre sconfitti in questa lotta senza età, senza confini, senza distinzione fra titoli di studio, luoghi di nascita e professioni.
Dunque, non soltanto repressione dei comportamenti errati e dei reati sia con provvedimenti amministrativi quale l’ammonimento del Questore o penali, ma anche e soprattutto preventivi, educando ad esempio i giovani a cambiare il modo di agire nei confronti del sesso femminile.
Se in casa il padre-padrone ha sempre schiavizzato la moglie facendosi servire, urlando appena qualcosa non viene fatto bene, prendendosi tutta la libertà possibile ma impedendo alla moglie anche solo di pranzare con la sorella o i colleghi, è evidente che i figli saranno indotti a ritenere che quello sia il comportamento da assumere nei confronti della loro futura moglie, anche solo inconsciamente. Insegnare loro che, ogni atto sessuale, dal più comune al più fantasioso, siano legittimi solo se accettati da entrambi significa far capire ai futuri mariti che una donna, mediante il matrimonio, non diventa di proprietà del marito ma, anzi, che entrambi hanno l’obbligo di prendersi cura dell’altro coniuge, del suo benessere, lasciando la libertà desiderata.
Occorre insegnare ai giovani, spesso privi dei giusti strumenti culturali, che i film porno trasmettono un ideale di coito, di rapporto sessuale nelle sue varie declinazioni, totalmente errato, difforme dalla realtà quotidiana, complice il montaggio cinematografico e la professionalità degli attori.
Non si spiega, altrimenti, l’aumento di numero dei maschi in una relazione stabile che ricorrono alle prestazioni delle prostitute per avere, è evidente, qualcosa di diverso da ciò che le loro compagneerogano solitamente; molti di loro, però, ottengono ugualmente la prestazione dalla compagna senza curarsi se la compagna sia consenziente o se, una volta concesso il consenso, cambino idea com’è nella natura umana.
Ecco, quindi, che il rapporto, penetrativo o no poco importa, che dovrebbe cementare l’intesa della coppia giorno dopo giorno, si trasforma in un momento di terrore, di incubo al solo pensiero che stia arrivando l’ora di andare a letto, stia tornando lui a casa o che terminato il ciclo lui pretenda di nuovo la prestazione sessuale.
Appare subito evidente come, se da un lato non vi sia la minima nozione di fisiologia, di anatomia e di psicologia, dall’altro vi sia l’imprinting familiare a dettare le regole della convivenza: l’uomo ordina, la donna esegue, il maschio decide, la femmina subisce, il marito (o il compagno) sono liberi come se fossero single, la moglie deve sottostare ai permessi del marito.
E’ palese che una simile mentalità debba necessariamente essere estirpata dalla nostra cultura, che vada combattuta con ogni mezzo lecito, che vada convertita in una reale parità di diritti, in pari opportunità.
Quante lettrici di questo articolo possono dire, in totale onestà, che il marito va a fare la spesa, lava i piatti, aiuta i figli a fare i compiti, stende il bucato o, ma qui siamo nella fantascienza, stira?
Quante donne, nella nostra società, sanno rifiutare l’imposizionedei genitori di sposare il fidanzato che piace a loro perché altrimenti “esci per sempre da questa casa”?
Se le donne imparassero a fare quadrato tra di loro, a sostenersi quando una collega, una compagna di scuola, una vicina o un’amica si trova in difficoltà, magari per colpa di genitori con l’intelligenza di un’ameba, o che appena effettuato il test di gravidanza positivo vengono abbandonate dal compagno, sicuramente non dovrebbero restare accanto al compagno (o in famiglia, la violenza non guarda lo stato di famiglia) e potrebbero vivere la vita che ogni essere umano merita.
Ma finché fotografiamo le panchine rosse, facciamo i girotondi e sfiliamo in corteo, sperando che tutto si risolva ipso facto, continueremo a leggere cronache di morti annunciate.
Sergio Motta
Sex coach