società- Pagina 2

Io sono il maschio

Anche quest’anno, il 25 novembre, si è celebrata da più parti la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.

Mai come negli ultimi anni alcuni delitti efferati, compiuti a danno di donne da parte dei loro compagni o fidanzati, rendono evidente le necessità di cambiare qualcosa, di far si che questi delitti siano soltanto più un ricordo di un’epoca barbarica.

Ma cosa si può fare? Dove occorre agire perché la soluzione sia efficace? Sicuramente è necessario lavorare su più fronti: da un lato rendere edotte le possibili vittime di quali mezzi lo Stato metta a loro disposizione (patrocinio gratuito, segnalazione anonima della violenza, ecc), dall’altro educare i maschi, fin dall’adolescenza, che la donna non è una proprietà esclusiva del compagno, che se una donna dice no non vuol dire si, che un vestito non è necessariamente un invito.

L’anno scorso, per il 25 novembre, realizzai proprio un video dove alcune donne, nella loro lingua (russo, rumeno, cinese, francese) dicevano “Il mio vestito non è un invito” (My dress doesn’t mean “yes”) e l’iniziativa fu apprezzata dalle comunità etniche di queste persone prima che dagli spettatori.

Ma fin quando non andremo ad agire sulla vera causa del problema saremo sempre sconfitti in questa lotta senza età, senza confini, senza distinzione fra titoli di studio, luoghi di nascita e professioni.

Dunque, non soltanto repressione dei comportamenti errati e dei reati sia con provvedimenti amministrativi quale l’ammonimento del Questore o penali, ma anche e soprattutto preventivi, educando ad esempio i giovani a cambiare il modo di agire nei confronti del sesso femminile.

Se in casa il padre-padrone ha sempre schiavizzato la moglie facendosi servire, urlando appena qualcosa non viene fatto bene, prendendosi tutta la libertà possibile ma impedendo alla moglie anche solo di pranzare con la sorella o i colleghi, è evidente che i figli saranno indotti a ritenere che quello sia il comportamento da assumere nei confronti della loro futura moglie, anche solo inconsciamente. Insegnare loro che, ogni atto sessuale, dal più comune al più fantasioso, siano legittimi solo se accettati da entrambi significa far capire ai futuri mariti che una donna, mediante il matrimonio, non diventa di proprietà del marito ma, anzi, che entrambi hanno l’obbligo di prendersi cura dell’altro coniuge, del suo benessere, lasciando la libertà desiderata.

Occorre insegnare ai giovani, spesso privi dei giusti strumenti culturali, che i film porno trasmettono un ideale di coito, di rapporto sessuale nelle sue varie declinazioni, totalmente errato, difforme dalla realtà quotidiana, complice il montaggio cinematografico e la professionalità degli attori.

Non si spiega, altrimenti, l’aumento di numero dei maschi in una relazione stabile che ricorrono alle prestazioni delle prostitute per avere, è evidente, qualcosa di diverso da ciò che le loro compagneerogano solitamente; molti di loro, però, ottengono ugualmente la prestazione dalla compagna senza curarsi se la compagna sia consenziente o se, una volta concesso il consenso, cambino idea com’è nella natura umana.

Ecco, quindi, che il rapporto, penetrativo o no poco importa, che dovrebbe cementare l’intesa della coppia giorno dopo giorno, si trasforma in un momento di terrore, di incubo al solo pensiero che stia arrivando l’ora di andare a letto, stia tornando lui a casa o che terminato il ciclo lui pretenda di nuovo la prestazione sessuale.

Appare subito evidente come, se da un lato non vi sia la minima nozione di fisiologia, di anatomia e di psicologia, dall’altro vi sia l’imprinting familiare a dettare le regole della convivenza: l’uomo ordina, la donna esegue, il maschio decide, la femmina subisce, il marito (o il compagno) sono liberi come se fossero single, la moglie deve sottostare ai permessi del marito.

E’ palese che una simile mentalità debba necessariamente essere estirpata dalla nostra cultura, che vada combattuta con ogni mezzo lecito, che vada convertita in una reale parità di diritti, in pari opportunità.

Quante lettrici di questo articolo possono dire, in totale onestà, che il marito va a fare la spesa, lava i piatti, aiuta i figli a fare i compiti, stende il bucato o, ma qui siamo nella fantascienza, stira?

Quante donne, nella nostra società, sanno rifiutare l’imposizionedei genitori di sposare il fidanzato che piace a loro perché altrimenti “esci per sempre da questa casa”?

Se le donne imparassero a fare quadrato tra di loro, a sostenersi quando una collega, una compagna di scuola, una vicina o un’amica si trova in difficoltà, magari per colpa di genitori con l’intelligenza di un’ameba, o che appena effettuato il test di gravidanza positivo vengono abbandonate dal compagno, sicuramente non dovrebbero restare accanto al compagno (o in famiglia, la violenza non guarda lo stato di famiglia) e potrebbero vivere la vita che ogni essere umano merita.

Ma finché fotografiamo le panchine rosse, facciamo i girotondi e sfiliamo in corteo, sperando che tutto si risolva ipso facto, continueremo a leggere cronache di morti annunciate.

Sergio Motta

Sex coach

Delegazioni “ACI” della Granda “luoghi protetti” per donne a rischio violenza

“Mai più! (Non) sono solo parole”

Cuneo

L’annuncio è stato dato nel corso dello spettacolo “Mai più! (Non) sono solo parole” andato in scena sabato 23 novembre sul palco del cine-teatro “Don Bosco” di Cuneo, organizzato dall’“Automobile Club Cuneo” e dall’ “Agenzia di assistenza e consulenza sportiva – Mapa Sports Agency”, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la violenza sulle donne. Un annuncio che va ad aggiungersi ai molti, tantissimi, appelli e proposte arrivate, in e da “ogni-dove”, in occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”; dalle Istituzioni, dalla Politica in ogni sua forma e apparenza (o simil-tale) ma anche dal forte “rumore” di protesta e ribellione delle tante manifestazioni di piazza e delle voci della gente comune contro un fenomeno, quello della “violenza di genere”, sempre più in crescita e, all’apparenza, inarrestabile.

Particolarmente lodevole, dunque, e degna di essere segnalata, fra le tante, anche l’iniziativa lanciata dal palco del Teatro cuneese di via San Giovanni Bosco, dove è stato ufficialmente annunciato che dal 1° gennaio 2025 la sede dell’“Aci Cuneo” di piazza Europa 5 e tutte le delegazioni provinciali dell’“Automobile Club Cuneo” diventeranno “luogo protetto” per tutte le donne in pericolo o potenziale pericolo. Ambienti sicuri, dove potersi rifugiare e avere una prima assistenza se si è vittime di stalking o violenza, con l’invito ulteriore da parte di “Aci” a chiamare il 1522, numero nazionale dedicato a questo tipo di emergenze. Ad ogni donna che avrà accesso agli sportelli, inoltre, sarà consegnato un dépliant che ricorda il numero di emergenza e il gesto comunemente noto per chiedere aiuto in modo silenzioso con la mano.

Dicono Giuseppe De Masi e Francesco Revelli, direttore e presidente di “Aci Cuneo”: “Un grazie, in primis, a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento teatrale, compresi i volti noti del mondo dello spettacolo, del giornalismo e dello sport, impegnandosi al nostro fianco nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica su un tema così importante, arrivato a toccare oggi cifre drammatiche. Le nostre sedi, già operativamente e quotidianamente impegnate nell’ambito sociale, diventeranno dal prossimo anno ‘luoghi protetti’ in cui potranno rifugiarsi e chiedere il primo aiuto tutte le donne  vittime (o possibili vittime) di ‘stalking’ o violenza. Attraverso la consegna di materiale divulgativo, cercheremo di promuovere anche il ‘gesto della mano’ per chiedere soccorso, un altro modo per provare a sensibilizzare sulla necessità del rivelare e denunciare, senza sensi di colpa, qualunque sopruso”.

Patrocinato dal Comune di Cuneo, lo spettacolo di sabato 23 novembre ha visto la partecipazione, particolarmente sentita, di oltre 200 persone, pienamente coinvolte in una ricca serata di monologhi, interventi di professionisti, musiche e coreografie artistiche, con un momento particolarmente toccante allorché è stato proiettato il video della canzone “Madama di Vento” scritta, negli anni ’70, da Ivan Cattaneo (tra gli show man della serata) assieme a Fabrizio De André, in una notte “brilla” a casa di Nanni Ricordi.

Spettacolo, poesia e riflessioni. Ad alta e a bassa voce. Da tenere lì, almeno per quella serata. Ma da non chiudere nel baule dei sogni e delle speranze. “Per far sì – ha ricordato l’assessore alle ‘Politiche Sociali’ del Comune di Cuneo, Paola Olivero – che la violenza di genere venga estirpata dalla nostra società, il cambiamento deve infatti partire da noi donne. Dobbiamo imparare ad amarci e valorizzarci. Solo in questo modo potremo essere più forti e pronte a chiedere aiuto in caso di violenze psicologiche, che spesso sono prodromiche alla violenza fisica”.

Per info: “Automobile Club Cuneo”, piazza Europa 5, Cuneo; tel. 0171/440030 o www.acicuneo.it

G.m.

Nelle foto: Giuseppe De Masi sul palco del “Don Bosco” annuncia l’iniziativa di “Aci Cuneo”; immagini dello spettacolo

Torino è Capitale Europea del Turismo Intelligente 2025

 

La Città di Torino si aggiudica un nuovo e prestigioso riconoscimento internazionale, quello di “European Capital of Smart Tourism” per il 2025, un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea.

“Un altro grande risultato per Torino – commenta il Sindaco Stefano Lo Russo -. Un riconoscimento che premia gli sforzi messi in campo per potenziare l’attrattività turistica della città e la sua notorietà a livello internazionale e di cui siamo davvero molto contenti”.

“In un anno come questo che nella nostra città vede numeri in crescita esponenziale rispetto al turismo – aggiunge l’assessore ai Grandi Eventi e Turismo Domenico Carretta – questo riconoscimento ci riempie ulteriormente d’orgoglio e conferma che il percorso tracciato va nella giusta direzione”.

Dopo il recente titolo di “Capitale europea dell’innovazione”, la città viene così nuovamente premiata a livello europeo, anche per la sua capacità di eccellere nel turismo intelligente, promuovendo soluzioni sostenibili e innovative.

Il riconoscimento viene infatti assegnato ogni anno alla città in Europa che più si distingue come destinazione turistica d’eccellenza a partire da quattro differenti criteri: sostenibilità, accessibilità, digitalizzazione del patrimonio culturale e creatività.

Torino ha prevalso in finale su altre sette città, selezionate dalla Commissione europea tra una rosa di 21 candidate provenienti da 10 paesi. Insieme al capoluogo piemontese, in gara per il titolo c’erano anche Genova, Bruxelles, Konya, Lahti, Lviv e Porto. L’iniziativa ha assegnato anche il premio “European Green Pioneer of Smart Tourism” alla città di Benidorm (Spagna).

A Torino viene riconosciuta la capacità di coniugare tradizione e innovazione, valorizzando il patrimonio storico e culturale così come quello naturalistico attraverso nuove tecnologie digitali e progetti creativi. Grazie a questo riconoscimento, la città riceverà un ampio supporto per incrementare la sua visibilità internazionale attraverso campagne di comunicazione e di promozione su scala europea. Nel corso del prossimo anno avrà la possibilità di instaurare collaborazioni con altre città europee, rappresentando un esempio di buone pratiche nel turismo sostenibile e intelligente.

TORINO CLICK

Torino, una città a misura di famiglie

Dal prossimo anno, il logo “Torino Famiglie” identificherà spazi, progetti e azioni più a misura delle famiglie e dei loro figli. È una delle azioni del Piano per le Famiglie approvato  dalla Giunta comunale su proposta della vicesindaca Michela Favaro e rappresenta l’impegno della Città verso l’obiettivo di ottenere la certificazione di “Comune amico della famiglia”. Per la prima volta la Città si dota di un Piano strutturato di azioni rivolto alle famiglie, ovvero a tutti quei nuclei dove uno o più adulti si prendono cura di un minore.

Un impegno che si inserisce nel più ampio quadro del Documento Unico di Programmazione 2024-2026 che, nella sezione dedicata a diritti sociali, politiche sociali e famiglia prevede lo sviluppo di strategie mirate per rispondere ai bisogni e per favorire il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie torinesi, in particolar modo di quelle con bambini in età prescolare.

“Può sembrare scontato che ogni Città abbia politiche e azioni dedicate alle famiglie del proprio territorio – spiega la vicesindaca Favaro – ma spesso ciò che accade è che queste siano scollegate tra loro, a volte ripetitive e altre volte parziali. La redazione di un Piano strutturato ci permette di adottare un linguaggio comune, coordinare gli sforzi, comunicare meglio. Abbiamo lavorato a un documento che fosse un punto di partenza solido su cui costruire future iniziative e nuovi livelli di complessità. Agiamo sul locale e nel quotidiano per creare un ecosistema cittadino accogliente per le famiglie residenti e ospiti, per le famiglie che già ci sono e per quelle che si formeranno”.

La Città ha inizialmente aderito al “Network dei Comuni amici della Famiglia” che raggruppa già oltre 200 enti locali e di cui Torino è la città più grande. Si è poi costituito un gruppo di lavoro interdipartimentale per procedere alla mappatura e al coordinamento delle iniziative già in essere, propedeutico alla redazione del Piano. Lo scorso anno l’amministrazione ha ottenuto un finanziamento regionale destinato ai comuni con popolazione superiore a 20mila abitanti per sostenere e incentivare azioni specifiche in questo ambito. Il contributo di 27mila euro è stato destinato al lavoro per la definizione del Piano territoriale per le Famiglie, finalizzato sia a migliorare il benessere e la qualità della vita delle famiglie residenti nella città di Torino, sia ad attrarre nuovi nuclei familiari. Il punto di partenza è stata l’analisi dei dati partendo dalle condizioni delle famiglie in Italia e da un quadro puntuale e descrittivo delle famiglie a Torino, focalizzandosi in particolare sui temi dei ruoli di genere e della distribuzione dei carichi di cura e raccogliendo in modo chiaro e sintetico le attività e gli investimenti già presenti sul territorio. Da qui si è articolata la stesura da parte del gruppo di lavoro, frutto anche del coinvolgimento attivo di circa 400 genitori e nonni intervistati nel corso di 18 spettacoli teatrali dell’iniziativa “Gioca alla Fiaba”, realizzati in altrettanti giardini della Città e che hanno intrattenuto oltre 500 bambini e bambine.

 

Il risultato è il documento complessivo approvato oggi dalla Giunta e strutturato in dieci azioni positive, che rappresentano altrettanti impegni dell’amministrazione per i prossimi anni a sostegno delle famiglie torinesi e che si rivolgono in particolare alle giovani famiglie e ai giovani che stanno costruendo un progetto di famiglia a Torino: spazi verdi, servizi educativi e commerciali, conciliazione dei tempi, offerta culturale e sportiva, agevolazioni economiche e comunicazione. Inoltre, a partire dal 2025 i cittadini torinesi potranno riconoscere le azioni dedicate alle famiglie e ai loro figli e figlie grazie al logo “Torino famiglie”, presentato per la prima volta in questo documento.

LE DIECI AZIONI POSITIVE NEL DETTAGLIO

STRUMENTO DI COMUNICAZIONE DIGITALE RIVOLTO ALLE FAMIGLIE CON MINORI: strumento digitale utile a informare, orientare e permettere l’accesso a servizi, opportunità, eventi, agevolazioni e informazioni rivolte alle famiglie con figli minori residenti o ospiti nel territorio cittadino;

POLITICHE DI RIEMPIMENTO IN AMBITO CULTURALE E NON SOLO: stimolare gli stakeholder del territorio (anche mettendoli in rete) a rendere disponibili gratuitamente o a tariffe agevolate posti e opportunità non venduti o in fasce di scarsa affluenza nell’ambito dei loro servizi;

UTILIZZO DI SPAZI VERDI DELLE SCUOLE DELLA CITTÀ: dare nuova visibilità e vivibilità al patrimonio verde di prossimità, rendere i giardini scolastici punti di riferimento per il quartiere in orari extra scolastici, spazi per la sperimentazione di iniziative di amministrazione condivisa con i cittadini;

ACCOGLIENZA DEI NUOVI NATI: distribuzione alle famiglie di un kit di benvenuto per i nuovi nati. L’obiettivo è portare un messaggio positivo nelle case delle famiglie, con un piccolo dono per salutare l’inizio di una nuova vita e consegnando alle neo mamme e ai neo papà strumenti e informazioni utili per affrontare la meravigliosa e complessa esperienza della genitorialità;

CERTIFICAZIONE E DIFFUSIONE DEL MARCHIO “TOFAM” AD ATTIVITÀ COMMERCIALI, CULTURALI E SPORTIVE: istituire una certificazione di qualità dei servizi con l’obiettivo di identificare le attività che erogano servizi a favore delle famiglie secondo standard predefiniti;

COINVOLGIMENTO DELLE FAMIGLIE NELLA COSTRUZIONE DEL NUOVO PIANO REGOLATORE GENERALE: eventi e spettacoli teatrali in aree pubbliche, rivolti a tutte le famiglie torinesi per raccogliere le opinioni di coloro che abitano la Città, scoprire il modo in cui la vivono e valorizzare i loro desideri e idee per il futuro. L’iniziativa ha preso il nome di “Gioca alla fiaba”;

RETE DI IMPRESE SUL TERRITORIO PER LA PROMOZIONE DEL WELFARE AZIENDALE: introdurre elementi di premialità nei bandi di concessione, negli appalti per l’affidamento di servizi e per la fornitura di beni della Città per le proposte progettuali che tengono conto delle esigenze di conciliazione dei tempi delle famiglie; per le aziende che abbiano politiche di welfare aziendale, in particolare con agevolazioni alle madri;

CERTIFICAZIONE FAMILY AUDIT PER LA CITTÀ DI TORINO: la certificazione Family Audit è uno strumento manageriale a disposizione delle organizzazioni pubbliche e private che intendono certificare il proprio impegno per l’adozione di misure volte a favorire la conciliazione tra vita e lavoro, le pari opportunità e più in generale il benessere organizzativo;

CAMPAGNA AFFIDI FAMILIARI: promuovere e sostenere le risorse spontanee della comunità, diffondendo una cultura di mutuo aiuto tra persone e famiglie, di solidarietà e di partecipazione che favorisca la cura nei contesti di vita dei bambini in difficoltà e delle loro famiglie e l’accoglienza temporanea, nonché la promozione e l’accompagnamento del volontariato familiare;

PIANO DEI TEMPI E ORARI: promuovere il coordinamento dei tempi e degli orari della città, al fine di rendere flessibili gli orari dei servizi rivolti ai cittadini e favorire la presenza di famiglie con bambini.

GiovedìScienza. Torna la rassegna dedicata alla divulgazione scientifica per tutti

GIOVEDÌSCIENZA 39ª EDIZIONE

Torino, 28 novembre 2024 – 24 aprile 2025

PRIMO APPUNTAMENTO GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE ORE 17.45

Segnali dal cervello

Riavvolgere il filo del groviglio della malattia

Con Jordi Manuello, Università di Torino, vincitore Premio per la comunicazione in Neuroscienze Aldo Fasolo 2023, in dialogo con Federico Luzzati, Università di Torino e Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi – NICO

Accademia delle Scienze – Via Accademia delle Scienze, 6 Torino

 

Dal 28 novembre 2024 al 24 aprile 2025 torna GiovedìScienza, la storica rassegna realizzata dall’associazione torinese CentroScienza Onlus che da quasi quarant’anni svolge un ruolo cruciale nel trasmettere in modo efficace la complessità della scienza al grande pubblico.

GiovedìScienza è ormai diventato l’appuntamento settimanale fisso per tantissimi torinesi ma anche per moltissimi appassionati che seguono la rassegna da tutta Italia. La 39ª edizione si propone come un viaggio attraverso la scienza, dove passato, presente e futuro si intrecciano per creare un bagaglio di conoscenza e innovazione che cerca di rispondere alle sfide più importanti del nostro tempo.

L’immagine guida scelta per questa edizione è una proiezione verso il futuro: un adulto porge idealmente il testimone a una bambina, che sostiene simbolicamente il nostro pianeta. Un’immagine evocativa che ci ricorda che la ricerca scientifica non è solo una risorsa per migliorare il presente, ma una promessa di un mondo migliore da lasciare alle future generazioni. La responsabilità del presente è immaginare e costruire il futuro!

L’edizione 2024-2025 di GiovedìScienza si caratterizza per la ricca varietà degli incontri in programma e inaugura con un omaggio alla continuità tra generazioni, un aspetto fondamentale della ricerca scientifica, partendo dal ricordo di Aldo Fasolo e Tullio Regge, due scienziati che hanno segnato non solo il panorama scientifico internazionale, ma anche la storia di CentroScienza.

Tanti i nomi illustri della divulgazione scientifica italiana e i giovani ricercatori e ricercatrici che si sono distinti per le loro ricerche in vari campi.

Tanti i temi che verranno affrontati nel corso di questa edizione: dalla medicina alla tecnologia, dall’evoluzione umana alle questioni ambientali, dalle macchine elettriche ai misteri del cosmo. E ancora medicina narrativa, tecniche di evoluzione assistita, e grandi classici, come il funzionamento del cervello e la sostenibilità delle materie prime.

La 39è un’edizione arricchita dalla partecipazione attiva di alcuni dei soci dell’associazione che dialogheranno con gli ospiti. A Luigi Civalleri, docente della SISSA – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati e socio di CentroScienza, la conduzione di questa edizione.

Gli incontri, come sempre gratuiti e aperti a tutti, quest’anno si svolgono esclusivamente in presenza, nel tradizionale orario delle 17:45 e in due sedi: l’Accademia delle Scienze e il Polo del ‘900. A queste si aggiunge il Polo artistico e culturale Le Rosine, che ospiterà un appuntamento speciale alla sera: uno spettacolo dedicato agli aspetti emotivi e sentimentali del cambiamento climatico. A partire dalle 17.45 del venerdì, gli incontri saranno a diposizione sul canale YouTube che conta oggi quasi 20.000 iscritti e oltre 3 milioni di visualizzazioni.

Con l’obiettivo di entrare sempre di più a stretto contatto con le giovani generazioni si rinnovano, per il terzo anno consecutivo, gli Speciali Scuola…dalla Scuola!, appuntamenti mattutini ospitati direttamente negli istituti e co-progettati insieme agli studenti. In collaborazione con Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani nell’ambito del programma CONVIVIO quest’anno anche un appuntamento speciale GiovedìScienza.

Tornano anche i GiovedìScienza dietro l’angolo: tre incontri in orario mattutino in collaborazione con le Biblioteche civiche torinesi e la Rete case del Quartiere.

 

Confermato l’appuntamento con il Premio Nazionale GiovedìScienza, il riconoscimento per la divulgazione scientifica rivolto a ricercatori e ricercatrici Under 35 di tutta Italia. A gennaio 2025 sarà pubblicato il bando della quattordicesima edizione, con l’obiettivo di incoraggiare i protagonisti e le protagoniste della ricerca a comunicare la scienza e di contribuire alla promozione della cultura d’impresa attraverso la valorizzazione della comunicazione scientifica. Quattro i premi in denaro, due percorsi formativi per i finalisti, e per il vincitore del Premio GiovedìScienza l’opportunità di raccontare i risultati della propria ricerca al pubblico della 40a edizione di GiovedìScienza.

 

Ingresso libero sino esaurimento posti. Maggiori informazioni su www.giovediscienza.it – Tel. 0118394913

WhatsApp 375 6266090 – gs@centroscienza.it

La gentilezza digitale

Serena Fasano, delegata per il Piemonte e la Valle D’Aosta di UNA, Aziende per la Comunicazione Unite, e partner della agenzia Instant Love ci parla di educazione in rete.

Il 13 novembre scorso è stato il giorno della gentilezza, un tema di cui si parla molto con l’obiettivo di contrastare questo clima di discordia, ma anche di ingiurie e violenza verbale, facilmente riscontrabile sui social media o in televisione, che rappresenta lo specchio di un fenomeno proprio della mondo reale odierno.

Perchè si parla sempre di più di gentilezza, anche al mondo digitale?

Il tema della gentilezza si sta affacciando in maniera piu’ consistente all’interno del mondo della comunicazione, se ne parla maggiormente perchè ci si è resi conto che è necessario sempre di più educare e rendere consapevoli le persone di tutta una serie di regole e di condotte proprie della relazione, sia nel mondo reale che digitale. Il fine è di contrastare l’attuale approccio caratterizzato da una forte attitudine all’egoismo, all’individualità e soprattutto al conflitto, spesso spietato; è come se si fosse sviluppata nel tempo una grande angoscia che impedisce un confronto sano con gli altri, si pensa a difendere il proprio spazio, le proprie idee, anche con veemenza.

La gentilezza rappresenta ancora un valore?

Attualmente purtroppo modi garbati e buone maniere sono associati, spesso, alla debolezza, soprattutto nei confronti di noi donne. È necessario credere, invece, che un approccio cortese non corrisponde ad una mancanza di fermezza, non è fragilità, è un metodo che facilita le relazioni, il lavoro e lo scambio. Non è sempre spontaneo applicarla, a volte bisogna fare uno sforzo perchè è più facile usare toni duri e arrabbiarsi, ma impegnarsi ad essere cordiali e anche empatici è determinante, migliora noi stessi e l’ambiente circostante. Questo vale anche per il digitale dove i dialoghi aspri sono molto frequenti soprattutto sui social come Facebook, che ha avuto una evoluzione negativa: all’inizio era una magia, un luogo dove ritrovare persone e pubblicare belle immagini iconiche, in seguito si è trasformato in una piattaforma per polemizzare e discutere, è diventato una sorta di sfogatoio oltre ad un veicolo di fake news. Ora sta affrontando un nuovo passaggio legato alle creazione di community intorno ad interessi specifici: speriamo che questa possa essere un’evoluzione più pacata.

Qual è la strada da percorrere per attuare un cambio di rotta e ripristinare il principio del dialogo sano?

L’educazione digitale e la consapevolezza. Capire le dinamiche che sono dietro al mondo digitale, osservare con un occhio obiettivo il suo funzionamento e capirne le regole aiuterebbe ad utilizzarlo in maniera cosciente. La formazione è uno ausilio essenziale per acquisire gli strumenti per una corretta navigazione: usare toni e parole giusti, non rispondere alle provocazioni, non alimentare polemiche. Sono necessari codici comportamentali che si possono diffondere solo attraverso l’educazione, a cominciare dalle scuole. Le regole delle buone maniere devono avere il sopravvento sugli impulsi più bassi che sul web hanno terreno fertile, è essenziale un cambio culturale.

MARIA LA BARBERA

Noi siamo le vergin…

Alcuni anni fa era consuetudine, da parte degli sposi, dopo la prima notte di nozze esporre un lenzuolo macchiato di sangue, a dimostrazione che la moglie era ancora vergine, a tutela dell’onorabilità di lei e di lui.

Come sa chiunque abbia una Qi appena normale, tale esposizione non provava nulla per due motivi: in primo luogo il sangue poteva essere dovuto alle mestruazioni o procurato in altro modo (carne macellata) per tacitare i pettegolezzi; in secondo luogo, particolarmente durante gli anni ’70, era quasi una regola praticare sesso anale per arrivare integre al matrimonio (anche con un altro partner). Molti anni prima, nel 1928, Hertz De Benedetti aveva scritto un poemetto goliardico dal titolo “Ifigonia in culide” (parodia di Ifigenia in Aulide) dove raccontava come le vergini di Corte, per deliziare il Sovrano, restassero vergini davanti concedendo, diremmo noi oggi, il lato B.

Resta, tuttavia, vivo nella nostra cultura il concetto di verginità quale pregio, quale maggior valore per una donna, esattamente come un’auto nuova vale più di una usata, se escludiamo le auto d’epoca che però, nel caso delle donne, sono fortemente deprezzate.

La verginità (e l’imene come suo simbolo) infatti non ha alcun significato medico essendo unicamente un concetto culturale, risalente ad un’epoca in cui il controllo sulle donne e sulla loro sessualità era totale e l’autodeterminazione inesistente.

Tutti, almeno lo spero, sanno che l’imene è una membrana ubicata all’ingresso del canale vaginale che può avere forme diverse (luna, semiluna, perforato); le più sfortunate hanno un imene imperforato che le obbliga a subire un piccolo intervento chirurgico in occasione del menarca per permettere la fuoriuscita del mestruo.

Mi sono sempre domandato quale funzione abbia l’imene e ancora non l’ho capito: qualcuno sostiene che eserciti una barriera contro la risalita di germi nel canale vaginale, altri che sia un organo come l’appendice, della quale sentiamo la presenza solo quando si infiamma e dobbiamo essere operati.

Si tratta di una membrana piuttosto elastica che in alcuni casi non viene deflorata durante il primo coito ma, per assurdo, può rompersi in seguito ad un trauma, attività sportiva violenta, caduta da cavallo, ecc.; in alcuni casi, inoltre, è stato riscontrato un imene intatto in donne prossime al parto, segno che l’attività sessuale non aveva modificato la struttura delle membrana.

Su un campione di 100 donne intervistate, solo 4 hanno dichiarato di aver subito una perdita di sangue durante la presunta deflorazione, segno anche questo di enorme ignoranza nell’associare perdita di sangue a deflorazione; molto più verosimilmente si tratta di perdite ematiche dovute alla scarsa lubrificazione, alla mancanza di delicatezza del partner per scarsa intimità, poca dimestichezza e disinteresse per il piacere della partner.

Anni addietro una persona mi chiese perché io non scegliessi donne  vergini, piuttosto di una con molta esperienza; risposi, in totale onestà, che se era molto “usata” vuol dire che aveva ottime prestazioni, altrimenti sarebbe stata sempre a riposo. Lasciai l’interlocutore perplesso.

La religione, poi, soprattutto quella farneticante di certi estremismi anglosassoni considera la verginità un “must”, un obbligo nei confronti del futuro marito; guarda caso tra quelle persone il tasso di infelicità è ai massimi livelli.

L’idea stessa di doverlo fare solo con il marito (dopo aver pronunciato il fatidico SI) e quindi sapere di dover dare il massimo con quella persona, in quel luogo, in quel momento è sicuramente un’ottima fonte di stress, di ansia da prestazione; va da sé che non potendo imparare la pratica a scuola o presso conoscenti di chiara fama ci si presenti all’appuntamento coitaleda perfette impreparate. Per gli uomini invece nessuna prescrizione perché, beati noi, non vi sono segni visibili di presunte esperienze pregresse e, quand’anche vi fossero, sarebbero giuste perché “l’uomo è uomo”.

Ovviamente non la penso così, riporto solo i pensieri di molte, troppe persone.

La Chiesa ha sicuramente contribuito enormemente a diffondere questo culto della donna vergine. Sant’Ambrogio, per esempio, scrisse ben cinque opere sulla verginità, con preferenza per quella femminile: De virginibusDe viduisDe virginitateDe institutione virginis e Exhortatio virginitatis. Il Vescovo di Milano esaltò la verginità come massimo ideale di vita cristiana, degno erede di quel Saulo, poi convertitosi col nome di Paolo di Tarso,che disse “colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio. Ambrogio ritenne che la verginità fosse l’unica vera scelta di emancipazione per la donna dalla vita coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente il fatto che il matrimonio costituisce solo un contratto economico e sociale, che non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: Davvero degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di essere messa all’asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri chi offre il prezzo più alto”.Ambrogio arriva al punto di invitare i genitori a rispettare la scelta di restare vergini dei figli che, così facendo, non sono obbligati a sposarsi.

E’ vero, parliamo di 17 secoli fa ma solo fino a 50-60 anni fa guai se un genitore scopriva che la figlia aveva avuto rapporti prima del matrimonio; nota bene, non perché la figlia avesse fatto male di per sé, ma perché poi lo sposo e tutti i suoi parenti avrebbero denigrato la ragazza e, “Il lupo e l’agnello” di Fedro insegna, la sua famiglia di origine.

A tutt’oggi, e per i distratti ricordo che siamo nel millennio, in alcune scuole degli Stati Uniti il programma di educazione sessuale include o si basa sull’astinenza: un chewing gummasticato o un mozzicone di sigaretta vengo usati come metafora: una volta usati sono da buttare perché nessuno li vuole più.

La realtà è che, tuttora, troppe persone ancora pensano che il primo coito cambi la vita a chi lo subisce, che nulla sia più come prima; la verità è che, se la società abbattesse il culto della verginità, avremmo persone consapevoli di ciò che fanno e lo fanno senza ansia, paure, tabù e obblighi o divieti.

Per finire non voglio obbligare nessuno a “perdere” la verginità:semplicemente, chi vuole restare vergine per qualsiasi motivo è giusto che lo rimanga, come è sacrosanto che chi desidera avere rapporti appena la ragione glielo consente sia libero di averli senza essere etichettato, catalogato o, peggio, schernito o denigrato.

E’ però necessario che, da parte di entrambi, vi sia il consenso.

Sergio Motta

Sex coach

 

Da necessità a piacere

Chiunque visiti il nostro Paese, e ancor più noi che ci viviamo, non possiamo non conoscere la cucina, i cibi, le ricette e tutto ciò che contraddistingue la nostra alimentazione da quella di molti altri Paesi.

Per ammissione di molti stranieri, noi cuciniamo i cibi mentre loro si limitano a cuocerli, non riuscendo così ad attribuire al pasto quel valore aggiunto che la nostra cucina ha guadagnato in secoli di storia.

La posizione geografica, il clima, la presenza di montagne elevate e di mari pescosissimi, di fiumi e laghi, di pianure estese ed una storia multi-millenaria, fabbriche di armi e di imbarcazioni hanno contribuito a rendere l’Italia famosa in tutto il mondo per le sue prelibatezze.

Ma questo sarebbe l’aspetto puramente alimentare della cucina; noi italiani andiamo oltre: il mangiare, il cucinare, il sedersi a tavola è diventato un rito sociale, un momento che non soltanto riunisce parenti ed amici ma che stimola riflessioni, è prodromico alla redazione di un contratto, consente di raccontare le proprie vacanze attraverso ciò che di alimentare si è portato a casa.

Un carissimo amico narra che la sua compagna, finlandese, potrebbe vivere a cotoletta e patatine, eventualmente aggiungendo alla sera una minestrina (modello nudelnsuppe tedesca) senza sentire la necessità di cambiare sapori.

In effetti sembra che mentre noi viviamo per mangiare, molti altri Paesi mangino per vivere.

Ho viaggiato in Medioriente, nei Caraibi, nell’Africa sub sahariana, nel Maghreb, nei Balcani, in Turchia e posso dire che sono pochi i Paesi che si avvicinano al nostro per varietà di cibi, per modalità di cottura, per fonti (ovini, caprini, equini, molluschi, pesci d’acqua dolce e di mare, verdure e frutta di tutti i generi) e per capacità di presentazione oltre che per qualità dei vini di ogni tipo e gradazione e dei liquori e distillati.

Tralasciando festività quali Pasqua e Natale, anche la preparazione di un pasto della domenica o di una festa di compleanno è un evento conviviale che consente non soltanto di soddisfare il bisogno primario di alimentarsi, ma coinvolge i partecipanti, a vario titolo, nella riuscita dell’evento.

Dalla scelta della tovaglia e degli accessori, dalla scelta dei menù e delle bevande la socialità tra i partecipanti è un sentimento che raggiunge il suo culmine nel brindisi di inizio pasto e prosegue con la portata in tavola delle varie portate.

Ancor più se ognuno dei partecipanti porta qualcosa perché narrerà come gli sia venuta l’idea, dove abbia trovato la ricetta, dove abbia comprato le materie prime, ecc.

In ogni regione ci sono riti, tradizioni particolari tipiche di un periodo dell’anno e cibi che diventano il motivo ufficiale dell’incontro, mentre il motivo ufficioso, ben più importante, è ritrovarsi, magari dopo mesi senza vedersi.

Negli ultimi mesi, almeno a Torino e Milano, i ristoranti sono tutti prenotati, e non solo nei week end, segno che le persone dopo aver dovuto rinunciare obtorto collo ai ritrovi, alle serate a cena fuori, stanno recuperando perché la voglia e la capacità di relazionarsi è superiore a qualsiasi paura, a qualsiasi rischio sanitario.

A chi non è capitato, trovandosi da solo in prossimità del Natale o di Pasqua, di essere invitato da parenti o amici “così mangiamo insieme”.

E cosa dire dei giovani che, magari solitari e taciturni davanti allo smartphone, trovano però occasione di dialogo e cameratismo nell’intervallo di pranzo in un fast food o nella mensa universitaria?

Eventi come “Cheese”, la “Fiera del peperone”, la “Fiera del tartufo bianco” o la “Fiera del bue grasso” iniziano come una fiera di paese ma proseguono come un momento conviviale organizzato mesi prima e vissuto come un pellegrinaggio laico, in adorazione di questo o quel cibo.

Dalla trippa di Moncalieri al tartufo d’Alba, dalle olive taggiasche o coratine alle lenticchie di Castelluccio di Norcia i santuari del cibo vedono aumentare ogni anno il numero di visitatori e di eventi.

Le trasmissioni di cucina in TV, moltiplicatesi negli anni, sono la dimostrazione mediatica di quale e quanto sia l’interesse per il cibo.

Non dimentichiamo, però, che gli eccessi possono nuocere gravemente alla salute e che una festa è bella quando la si vive ogni tanto e non diventa una abitudine perpetua.

Soprattutto ricordate: non guidate se dovete bere.

Sergio Motta

Il cambiamento climatico raccontato al cinema e in TV. Conferenza intorno alla mostra Change!

CIELI ARANCIONI, APOCALISSE POP

Con Jacopo Bulgarini d’Elci, direttore Mondoserie.it

 

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica

Sala Feste

Piazza Castello – Torino

 

Mercoledì 20 novembre, ore 17

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili

Palazzo Madama presenta il sesto appuntamento del ciclo di conferenze a ingresso gratuito che, dal luglio a dicembre 2024, approfondiscono alcuni dei temi presentati nel percorso di mostra Change! Ieri, oggi, domani. Il Po e accoglie nella Sala Feste la conferenza – spettacolo del giornalista e critico televisivo Jacopo Bulgarini d’Elci, direttore di mondoserie.it.

 

Un racconto di come il cinema e la tv abbiano messo in scena cambiamento climatico e crisi ambientale, attraverso le scene spesso indimenticabili di opere potenti di ieri e di oggi: da The Day After Tomorrow a La principessa Mononoke, da Mad Max a Snowpiercer, da The Road alla saga di Dune, da The Last of Us a Don’t Look Up. Partendo da un’immagine involontariamente profetica: i cupi e alienanti cieli arancioni di Blade Runner 2049, sequel (uscito nel 2017) del leggendario film di Ridley Scott. Quella scena di finzione diventerà realtà tre anni dopo, il 9 settembre 2020, quando i cieli della Bay Area di San Francisco si faranno improvvisamente arancione…

Ed è questo il tema che la conferenza affronterà: quello di una Natura maltrattata, trascurata, offesa, che si prende la sua “vendetta” in un numero sempre più grande di racconti distopici cine-televisivi. Che sia per lo scioglimento dei ghiacci, per le siccità, per un inquinamento soffocante, per un virus o un’infezione fungina, il futuro che il cinema e la tv ci propongono è apocalittico. Specchio del nostro senso di colpa?

Jacopo Bulgarini d’Elci è fondatore e direttore di Mondoserie.it, progetto multimediale che, nella forma di articoli, indagini lunghe, podcast, indaga in profondità le nuove forme dell’immaginario collettivo. In particolare il nuovo “racconto lungo”, la serialità televisiva, capace di tradurre gli umori sotterranei che popolano i sogni (e gli incubi) del nostro tempo. Comunicatore, progettista culturale, giornalista, è stato vicesindaco e assessore alla Cultura del comune di Vicenza.

Al progetto della mostra Change!, e riflettendo in linguaggi diversi sugli stessi temi oggetto della conferenza-spettacolo, ha contribuito anche con il video omonimo, parte integrante del percorso espositivo, e con un saggio nel catalogo.

Presto che è tardi

Questa espressione, tipicamente piemontese, anticipava i tempi attuali dove tutto viaggia veloce, dove tutti hanno fretta, dove nel tempo occorrente a fare dieci cose ne vogliamo fare trenta.

Letteralmente “fai presto perché è già tardi”, è un’istigazione a non perdere tempo, ad accelerare i ritmi se no rischiamo di arrivare fuori tempo massimo; a fare cosa, spesso, non lo sa neppure chi la pronuncia.

Non è un problema solo torinese, anzi: provate ad andare a Milano e ve ne accorgerete. Se sotto la Madonnina occupate il lato sinistro della scala mobile, sicuramente vi arriverà qualcuno alle spalle rimproverandovi perché deve superarvi, dicendovi di spostarvi alla vostra destra. Normalmente chi va di fretta così, però, lo rincontrate ai tornelli di uscita della metro perché non trova il biglietto per uscire.

Ma sotto la Madonnina è tutto di fretta: una domenica mattina ero in metro, direzione fuori città, ed una mamma stava strattonando il bimbo di pochi anni perché era tardi, la mamma di lei li aspettava a pranzo. Vicino alle porte della vettura ci scambiammo uno sguardo e la signora, forse leggendo nei miei pensieri, mi disse “Dobbiamo andare da mia madre ed è già tardi” (erano le 11); mi venne spontaneo chiedere se abitasse lontano. Mi rispose “No, scendiamo alla prossima, poi sono 300 metri a piedi”.  Alla risposta capii che l’umanità merita di estinguersi. A meno che la signora dovesse preparare da zero la casseula, nel qual caso sarebbe stata fortemente in ritardo, mi domando quale fosse la sua concezione del tempo.

E non è l’unico caso, anche qui sotto la Mole, dove la gente ha fretta anche in auto, corre e sorpassa in curva sulle stradine di montagna per arrivare, quando va bene, cinque minuti prima di me, dopo aver rischiato la vita (problemi suoi) e aver messo a repentaglio la mia.

Quando con i miei collaboratori analizzo i tempi attuali, confrontandoli con 30-40 anni fa, mi rendo conto (e loro me lo confermano) che ora facciamo tutto in tempi ristretti, vogliamo fare più cose nello stesso tempo in cui, tempo addietro, ne facevamo la metà e, in generale non conosciamo più il significato di relax, di riposo, di quiete.

Qualcuno attribuisce allo stress, al logorio della vita moderna (come recitava uno spot pubblicitario di cinquant’anni fa) questa incapacità di gestire i ritmi ed i tempi, questa smania di fare sempre di più a scapito, com’è evidente, della qualità.

Se io non mi fermo mai a controllare i risultati ho ottime probabilità che quanto ho fatto sia difettoso, impreciso, raffazzonato.

Purtroppo, e le previsioni non tendono al bello, non sembra vi siano segni di ravvedimento o, quantomeno, di capire quale rischio corriamo con questa eterna rincorsa alla quantità. Quando si entra in questo meccanismo del “sempre di più”, “sempre più in fretta” si sviluppa una vera e propria dipendenza che ci porta a perdere il senso del tempo.

Da quanto non sentite un amico, un conoscente dire “ieri mi sono rilassato”, “ieri ho guardato tre film”, “ieri mi sono seduto in riva ad un torrente a fare nulla”? C’è sempre qualcosa da fare, e siccome lo facciamo in fretta, solo dopo ci accorgiamo che è da rifare, da rimediare. La casa è sempre da pulire (delle due una: o viviamo in un letamaio o abbiamo una casa di 300 mq e la colf è in sciopero), bisogna mettere ordine nel box o in cantina, devo preparare quei progetti per il giorno dopo in ufficio (ti pagano nei festivi?), la spesa domenicale, il pranzo con tizio o caio e potremmo aggiungerne quante ne volete.

Addirittura, stare in ozio almeno qualche ora di un giorno alla settimana sviluppa in noi il rimorso per aver sprecato tempo prezioso, per aver rinunciato a costruire qualcosa.

Io non parlerei di stress quanto piuttosto di ansia: mentre lo stress è la reazione ad un evento, ma può anche essere positivo, il c.d. “eustress” e darci il giusto stimolo, per esempio, prima di una gara, l’ansia è la reazione anticipatoria di un evento, non dipende dall’evento stesso ma dal nostro approccio ad esso, se ci sentiamo inadeguati, ecc.

Io dico sempre che, a preoccuparsi in anticipo, se poi non era nulla ci siamo preoccupati inutilmente; se, invece, era qualcosa che non abbiamo potuto prevenire, per cosa ci siamo preoccupati a fare?

Sergio Motta