Sono pochi i torinesi dei “salotti” buoni che non sono passati nell’atelier del “ragioniere”, e che non hanno respirato, almeno qualche volta, l’atmosfera british che un magazzino di tessuti (tale era agli inizi la rinomata boutique) ha saputo acquisire negli anni. Giovedì alla Chiesa di Santa Cristina in piazza San Carlo si terrà una messa che darà modo alla cittadinanza di dare un ultimo saluto all’uomo che rappresentò, con grande sobrietà e dedizione, lo stile classico ed inglese per oltre mezzo secolo
La pioggia di questi giorni ha salutato uno dei più grandi magistri elegantiarum torinesi: il “ragioniere” Cesare Barbero, più noto per il brand del negozio che avviò 58 anni fa, e che si può ancora trovare all’ammezzato di via Cesare Battisti 1, in pieno centro: Jack Emerson.
Sono pochi i torinesi dei “salotti” buoni che non sono passati nell’atelier del “ragioniere”, e che non hanno respirato, almeno qualche volta, l’atmosfera british che un magazzino di tessuti (tale era agli inizi la rinomata boutique) ha saputo acquisire negli anni. Nel tempo, il magazzino è divenuto piccolo centro sartoriale per riparazioni e poi, con l’importazione diretta di famosi prodotti dell’eleganza maschile, è diventato un punto di riferimento dello stile classico che ha anche saputo dettare tendenza.
Eppure, lo stile di Jack Emerson è rimasto fortemente “torinese”. Nessuno sfarzo modaiolo, nessuna concessione al mondo del fashion e degli eccessi che spesso accompagnano i negozi frequentati da una clientela fatta di vip e personaggi pubblici. Nessun vernissage o party, solo scaffali pieni di stoffe ed un ambiente che non ha mai del tutto perso l’impostazione originale, anche quando ormai era diventato un piccolo centro commerciale in cui dalle scarpe al cappello, il gentleman poteva trovare tutto.
Ecco che così un luogo fisico, discreto e riservato anche nella visibilità al pubblico (nessuna grande vetrina e solo pochi anni fa un accesso autonomo alla strada, che ha affiancato la semplice targhetta sul campanello) ha saputo raccontare un approccio all’abbigliamento ed alla propria cura che solo i sabaudi possono capire: un posto per conoscitori che ha accolto reali e capitani d’industria (se così si vogliono definire Umberto Agnelli e l’Avvocato), ma anche persone molto più normali, accomunate dal gusto di una città che al primo sguardo sembra grigia, mentre sotto sotto nasconde colori raffinati riservati a chi li sa scovare.
Jack Emerson, per curiosità, è un personaggio che Cesare Barbero definì “un amico di famiglia”, ma che forse è identificabile in una figura romantica che visse tra Firenze e Capri, con la sua sposa scrittrice, e che leggende urbane vorrebbero spia dei servizi segreti della Corona Inglese.
Le esequie del “ragioniere” si sono tenute con grande discrezione, dopo la scomparsa del novantenne da tempo malato avvenuta giovedì scorso in una clinica privata, ma giovedì prossimo alla Chiesa di Santa Cristina in piazza San Carlo si terrà una messa che darà modo alla cittadinanza di dare un ultimo saluto all’uomo che rappresentò, con grande sobrietà e dedizione, lo stile classico ed inglese per oltre mezzo secolo.
Un lutto che, per noi che amiamo una Torino che negli anni ’30 era la vera capitale della Moda italiana, ci dà modo di riflettere su un centro sempre più affollato di grandi catene low cost, in cui l’amore e la passione per il proprio lavoro sartoriale hanno lasciato il posto a offerte e sconti da fast food dell’abbigliamento. L’unica speranza che rimane riguarda, cinicamente, un’eredità che si spera fatta di gusto, e non solo una sfrenata galoppata verso la massificazione del commercio e degli stili. Forse, se questo sarà il nostro destino, l’addio non sarà solo a Barbero, ma anche a ciò che ci ha insegnato.
Giovanni Vagnone