L’angolo del Private Banker
di Fabio Ferrarese
L’oro, da sempre, viene considerato dalla stragrande maggioranza dei risparmiatori come il bene rifugio per eccellenza nei momenti di forte incertezza per le altre tipologie di investimenti in portafoglio. Così è avvenuto anche durante l’ultima crisi del 2011, quando la valutazione del metallo giallo raggiunse il prezzo di 1.900 USD per oncia, quasi il 50% in più rispetto ai valori attuali.
Nei momenti in cui i listini azionari flettono, oppure quando l’inflazione inizia a galoppare, gli investitori riscoprono questo asset per difendersi nelle fasi di volatilità dei mercati. È successo anche questa volta: in concomitanza con le svalutazioni della moneta cinese le borse internazionali hanno iniziato a scendere e, come potete vedere dal grafico sottostante, da dicembre 2015 questa commodities si è rivalutata di oltre il 20%.
Il 2 maggio 2016 la quotazione ha raggiunto i 1.294,00 USD, il massimo da sedici mesi a questa parte, grazie alla debolezza del dollaro Usa ed alle bassissime quotazioni petrolifere. La domanda che gli investitori ora si pongono è: quale potrà essere la forza e la durata del rialzo in corso e cosa tenere d’occhio per anticiparne i movimenti futuri?
Guardando nuovamente il grafico si può notare come l’attuale fase di rialzo si sia realizzata in tempi molto stretti ed ora sembra che l’oncia sia destinata a prendersi un periodo di pausa. Nonostante i volumi degli scambi abbiano supportato questa rivalutazione in maniera più concreta che in passato e quello che sembra frenare il rally è la mancanza di fondamentali.
Che cosa intendiamo per fondamentali? Quegli elementi che in passato ne hanno generato il rialzo: un’impennata dell’inflazione, un crollo dei listini azionari, un periodo di profonda recessione dell’economie, ecc. In questo momento, per esempio, la spinta potrebbe arrivare da un’accelerazione del processo di normalizzazione dei tassi da parte delle banche Centrali (in particolare della Federal Reserve) oppure da un aumento dell’inflazione.
Gli attuali tassi negativi, incorporati anche dalle nuove emissioni di obbligazioni da parte dei Paesi industrializzati, ha portato assenza di rendimento per i risparmiatori facendo confluire molti di loro sulla scelta di inserire o incrementare nel proprio portafoglio la percentuale investita nel metallo prezioso. Quindi, come prima cosa, bisogna tenere presente l’andamento dei tassi perché questo influenza le scelte di molti investitori prudenti e/o conservatori.
Un secondo consiglio è quello di tenere sempre ben presente la quantità di oro che viene prodotta. Infatti per tutte le materie prime esiste un prezzo di estrazione sotto il quale non conviene andare perché la successiva commercializzazione non risulta poi conveniente. Questo punto di pareggio per il metallo giallo è fissato a 1.000 USD per oncia. Quando il prezzo si è avvicinato a questo valore la produzione si è contratta ed ha esercitato una spinta sul prezzo (più o meno lo stesso scenario che sta coinvolgendo il prezzo del petrolio).
Un terzo elemento da tenere in considerazione sono gli acquisti di oro da parte delle banche centrali. Pensate che queste da sole hanno contribuito per circa un 13% della domanda globale di tale metallo. Bisogna sapere che la quantità d’oro presente nelle casse delle banche centrali si calcola sull’ammontare di valuta estera che ogni Paese detiene. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno nelle proprie casse poca divisa estera e molto oro (oltre 8.000 tonnellate, che corrispondono quasi al 75% delle sue riserve). La Germania ne detiene 3.381 tonnellate, l’Italia 2.451 e la Francia 2.435. La Cina ha accumulato oro soltanto per il 2,2% delle proprie riserve. Tutti i Paesi, che vogliono rafforzare la credibilità delle proprie divise e contestualmente vogliono diversificare la natura delle proprie riserve, per proteggersi dalla volatilità dei mercati, tendono ad aumentarle. Negli ultimi sei anni la Banca Centrale Cinese, per realizzare quanto appena descritto, ha acquistato in media tra le sei e le otto tonnellate d’oro al mese, raddoppiandone le quantità da luglio dello scorso anno. In concomitanza con la caduta della quotazione del petrolio anche la Russia ha aumentato le proprie riserve aurifere mediante acquisti sul mercato. In controtendenza e per stato di necessità si sta muovendo il Venezuela che per far fronte alla crisi petrolifera ha venduto oltre novanta mila tonnellate di oro (25% delle sue riserve) nel corso degli ultimi sedici mesi.
In conclusione, essendo tante le variabili da prendere in esame, è consigliabile avere sempre questo asset in portafoglio per una corretta diversificazione, mentre per decidere quando sovra o sotto pesarlo il consiglio è quello di farsi sempre seguire da un esperto negli investimenti.
Per curiosità ed approfondimenti potete scrivere a fabio.ferrarese@yahoo.it