OBIETTIVO ITALIA / DI CARLO CARPI

Mercatini di libero scambio e sicurezza

Recentemente fa a Torino si è consumata una vera e propria tragedia in pieno giorno, all’interno della struttura del mercatino di libero scambio sito in via Carcano: il nigeriano Kahlid Be Greata ha ucciso con un unico fendente alla gola Maurizio Gugliotta, originario di Catanzaro, ma residente da tempo a Settimo Torinese

Un omicidio apparentemente per futili motivi, che deriverebbe, all’origine, da un diverbio sugli spazi all’interno della struttura, che non può che colpire inevitabilmente l’opinione pubblica sia per l’oggettiva gravita del reato sia per il contesto dove si è consumato. Questi mercatini, ormai costituitisi nelle città più grandi, sono oggetto di dibattiti sia sui giornali sia tra la gente, molto spesso non solo per la loro ubicazione, che sembra essere sempre improvvisata in qualche zona d’ombra e, quindi, facilmente soggetta a degrado, quanto per la più completa mancanza di servizi igienico-sanitari a norma, per la manifesta inadempienza rispetto agli obblighi fiscali, la non tracciabilità di quanto commerciato e, infine, per la sicurezza intesa non solo quale rispetto di norme riguardanti la legge penale, ma soprattutto per quelle spesso non scritte del vivere civile, anche perché chi vuole aprire una attività di vendita al dettaglio in termini regolari viene sottoposto a una serie di procedure che, a molti, oggi sembrano non poco vessatorie.

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L’immigrazione nel nostro Paese sta diventando sempre più un fenomeno invasivo non solo nei numeri, ma anche nella percezione della presenza di individui, tendenzialmente africani, ai quali, in nome di una presunta “accoglienza”, ma, mi realtà, di una degenerazione della stessa, si concede nei fatti, rispetto a tanti italiani in evidente difficoltà, un binario preferenziale: vitto e alloggio presso una cooperativa convenzionata, la possibilità di lavorare, alla fine, quale ambulante presso un mercatino di solidarietà, dove lo scontrino fiscale è un optional e lo spazio assegnato costa giusto qualche euro al giorno. Ovviamente chi ha un occhio attento sa che la realtà non è proprio così come quella che appare, visto che, come è emerso anche dai media, vista la criticità del fenomeno, in molti centri di accoglienza queste persone, delle quali una parte è composta da riconosciuti profughi e da una restante di cercatori di fortuna, sono effettivamente costrette a soggiornare in strutture sovrappopolate, senza un numero di docce adeguato e, in alcuni casi, mal nutriti, oggetto di una feroce speculazione da parte di chi li gestisce in termini convenzionati con l’amministrazione pubblica. Molte di queste donne entrano nel racket della prostituzione, mentre gli uomini presenziano costantemente tutti i bar cittadini nell’intento di questuare la carità nell’insofferenza dei titolari dei pubblici esercizi e dei loro clienti. Chiaramente il fenomeno, nella sua complessità, non poteva che venir politicizzato dalle parti, spesso anche in termini invasivi e violenti, cercando di inserire la polemica in situazioni che hanno, in realtà, prettamente origine da violazione del diritto sia da parte delle Prefetture nella collocazione dei migranti in strutture troppo spesso non a norma, secondo i criteri di abitabilità tramite bandi di gara confezionati con urgenza e dei quali, pur essendo atti pubblici a pena di nullità, si fa molta fatica a entrarne in possesso o addirittura in visione, da parte delle cooperative, nei termini di ospitalità delle persone a loro affidate, in ultimo ai richiedenti asilo che, in molti casi, probabilmente vivendo situazioni di forte stress, turbano la quiete pubblica con schiamazzi nei migliori dei casi.

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Tanto clamore anche a livello nazionale sta destando la vicenda dell’asilo Govone sito a Genova Pegli, nella frazione di Multedo, dove la Prefettura locale ha affidato al momento una dozzina di migranti ad una cooperativa, che li avrebbe collocati all’interno di una struttura di proprietà di un ente religioso di suore, che ha ereditato la palazzina a seguito di una donazione di privati, con il vincolo della destinazione di uso ad asilo per bambini, nella sorpresa e, quindi, anche nella paura di tutto il quartiere che, necessitando di una struttura dove affidare la propria prole nelle ore lavorative, si è visto chiudere dalle suore una struttura a tutti gli effetti efficiente e più che giustificata da un punto di vista economico e sociale, salvo poi, alla fine della recente estate, in termini del tutto casuale, assistere alla sua riapertura, questa volta per ospitare inizialmente centinaia di migranti, salvo poi aver constatato la reazione del quartiere, dopo aver ridimensionato il progetto iniziale. Ho sentito troppe volte apostrofare questi residenti come razzisti, fascisti nei termini più ottimistici, e quali semplici egoisti; ma, nei fatti, chi può coscientemente criticare una mamma italiana di quarant’anni con due figli piccoli, che si ritrova proprio nel mezzo del quartiere, per chi non lo conoscesse, pedonalizzato da stradine più che veri e propri passi carrabili, una struttura con soggetti scarsamente identificati dei quali si sa poco e niente e sui quali i primi a non essere trasparenti e di dialogo con l’opinione pubblica sono le istituzioni con i loro rappresentanti e dirigenti?

 

Movimento 5 Stelle dieci anni dopo

Tempus fugit”, così Virgilio commentava l’inesorabile trascorrere delle primavere dell’uomo, quasi come un gorgo che porta via con sé tutto, lasciandoci l’unica certezza del presente e della nostra, a volte felice a volte amara, quotidianità

Sembra ieri, eppure sono trascorsi quasi dieci anni dalla nascita del Movimento 5 Stelle sulla scia degli “Amici di Beppe Grillo”, comico genovese che, dopo anni di esilio dal mondo RAI, decise di esibirsi nei primi anni Duemila nei teatri svizzeri, proponendo uno stile innovativo, misto tra un cabaret tradizionale e una denuncia sociale di fenomeni di sperpero, corruzione, clientelismo da parte del mondo istituzionale italiano e dei maggiori crack finanziari contemporanei, tra i quali quello dello Parmalat. Iniziata una collaborazione tra l’attore e l’imprenditore informatico Gianroberto Casaleggio, si crea nel 2005 una piattaforma internet, chiamata in gergo tecnico “la rete”, attraverso la quale condividere informazioni, scambiarsi opinioni e soprattutto cooptare adempti da coinvolgere in un progetto politico. Nel 2009 per la prima volta il neonato Movimento partecipa alle elezioni amministrative dove raccoglie, nei vari Comuni e nelle varie regioni, tra il 4% e il 7% dei consensi, incominciando così ad inserire nei vari Consigli istituzionali i propri rappresentanti.

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Il 2012 è l’anno della svolta: il movimento cresce oltre ogni aspettativa, arriva a punte del 17% e vede trionfare quattro candidati sindaci, tra i quali il più rappresentativo è Federico Pizzarotti che espugna Parma, città colpita da un commissariamento prefettizio conseguente ad un presunto scandalo di mala gestione da parte della Giunta precedente di centrodestra. Nasce, così, una cavalcata tanto sorprendente quanto di successo che porterà i 5 Stelle a vincere nel 2014 a Livorno con Filippo Nogarin, nel 2016 a Torino con Chiara Appendino e a Roma con Virginia Raggi, assestandosi di fatto a secondo partito nazionale, con risultati elettorali alle politiche del 2013 e alle Europee del 2014 superiori al 20%. Letti i dati, il percorso dei grillini sembrerebbe correre liscio senza ostacoli verso la vittoria alle prossime elezioni parlamentari, eppure la statistica non spiega con affidabilità quanto può accadere in politica, specialmente da un giorno all’altro, anche perché, se il mondo corrisponde a leggi fisiche, il governo degli uomini si avvicina maggiormente ad un’arte che a una scienza. Se, a partire dal 2005 in avanti, Grillo ha infatti raccolto in sé, quasi fosse un parafulmini, la protesta sociale, l’insoddisfazione di una classe popolare e periferica di sottopagati, precari, truffati via via sempre con maggiore credito, nel momento in cui si è ritrovato ad amministrare gli enti progressivamente conquistati ha dovuto fare i conti con tutte le difficoltà del caso: rappresentanti alle volte inadeguati, notifiche di avvisi di garanzia non sempre interpretati per tutti gli eletti in termini analoghi, dibattiti interni non sempre dai toni costruttivi e, soprattutto, una massiccia dose di fuoriusciti, chi in termini spontanei chi espulso.

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A capo per antonomasia di questi processi di assestamento proprio Pizzarotti, primo tra i grandi nomi del movimento, alla prima inchiesta giudiziaria con al centro la sua figura, ha intrattenuto con Grillo stesso, divenuto “garante” dei 5 Stelle, un acceso confronto, che si è concluso con il suo allontanamento, tanto poi da essere stato rieletto al secondo mandato, ma da indipendente. La stessa dinamica ha colpito il gruppo parlamentare dove, in molti, hanno accusato una certa qual mancanza di democrazia interna, derivante dall’assenza di trasparenza tra gli stessi eletti, in particolar modo relativamente alla questione di una adesione volontaria ad un progetto di rinuncia a una parte sostanziosa delle laute indennità, per creare un fondo di garanzia per piccole imprese, nella logica globale di una propaganda contraria al rimborso elettorale dei partiti. Non solo, ma anche nei Comuni, i Consigli perdono via via i pezzi, mostrando non poca difficoltà nell’amministrazione quotidiana della cosa pubblica, sfociando, purtroppo, vedi recentemente a Livorno, ai primi acquazzoni, in tragedie con numerosi morti, con il senno di poi forse evitabili. La scomparsa di Casaleggio, vero deus ex machina, sembra aver esplicitato nella sua pienezza la crisi di identità del movimento; la rete, così tanto celebrata e direi osannata, ha evidenziato criticità difficilmente spiegabili all’esterno, non senza timidezza, come quanto successo a Genova nelle ultime amministrative dove la Cassimatis e i suoi candidati, indicati dalla piattaforma web quali candidato sindaco e candidati consiglieri comunali, si sono visti escludere dallo stesso Grillo che ha preferito Pirondini, scelta che ha determinato un contenzioso legale assai turbolento, che ha visto dar ragione alla estromessa che ha scelto tuttavia di correre da indipendente in quanto impossibilitata legalmente a utilizzare il simbolo dei 5 Stelle, perché appartenente a una società milanese che ne concede o meno l’utilizzo a propria discrezionalità: clausola non certo elaborata o pensabile da uno che non abbia alle spalle una struttura legale non di poco conto.

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A Roma la situazione nella capitale non sembra delle migliori: se al concreto rischio di fallimento dell’ATAC, società di trasporto municipale, si può addebitare una pregressa gestione Marino e Alemanno, il sindaco Raggi naviga in un mare tempestoso; il “caso Marra” sembra essere la sua spada di Damocle e la difficoltà a nominare un nuovo assessore al bilancio, dopo le dimissioni dei precedenti due in un anno di mandato, si è arginata in extremis con l’avvento del toscano Limmetti, assessore con identiche funzioni presso la città dei “quattro mori” che per supportare la Raggi ha dovuto abbandonare il precedente incarico. A Torino le polemiche scaturite a seguito degli incidenti di Piazza San Carlo, avvenuti il 3 giugno scorso in occasione della finale di Champions League persa dalla Juventus, hanno macchiato l’amministrazione della città, capitanata dalla Appendino, del sangue di ben 1.500 feriti e di un morto, incidenti forse evitabili con un piano organizzativo e di evacuazione più attento. Oggi Grillo è alle prese con la stipula del regolamento propedeutico all’individuazione di un candidato premier per la prossima primavera: le polemiche e i dissapori sono dietro l’angolo, pronte ad esplodere. Per i complottisti il Movimento 5 Stelle nasce per volontà della CIA al fine di creare una sacca all’interno della quale convogliare tutti i malumori degli italiani e, allo stesso tempo, manovrarla al fine di pilotare a proprio piacimento il Paese negli anni della crisi economica, per altri sembra un Pollicino 2.0 che ha perso la propria strada e che, a stento, fa fatica a ritrovare seppur con l’aiuto della rete e forse di Google Maps.Rimaniamo tutti quanti alla finestra per capire cosa succederà prossimamente, anche in funzione di una potenziale quanto incerta riorganizzazione della sinistra ex PD, che cerca di trovare spazio tra Renzi e il Movimento. In fondo Rino Gaetano cantava “ma il cielo è sempre più blu…”

Immigrazione e accordi politici con il Nord Africa

Si è concluso di recente il prestigioso convegno annuale organizzato dalla Ambrosetti, nota società di consulenza direzionale, e tra i temi caldi trattati c’è stato, inevitabilmente, quello dell’immigrazione che, ormai da anni, vede l’Italia come meta di centinaia di migliaia di africani, apostrofati da alcuni quali migranti, da altri semplicemente come clandestini

Pare accantonato il tema dell’accoglienza, anche a seguito dello stato di emergenza proclamato di fatto dal ministro degli Interni Minniti, in quota PD che, nel dichiarare il pericolo di una “tenuta sociale” del nostro Paese di fronte ad un fenomeno come quello attuale di spostamento stanziale di masse enormi di persone, ha completamente stravolto la logica e l’operato del suo predecessore Alfano, leader del Nuovo Centrodestra.Modificato, quindi nel suo insieme, l’orientamento del mondo politico nell’unione di intenti nel fermare gli sbarchi, ecco i soliti aruspici lasciarsi andare alle peggiori esternazioni, frutto o di una profonda ignoranza o di una demagogia spicciola, che forse non trova successo nemmeno presso un pubblico di bambini delle elementari oggi chiamate primarie (anche se fortunatamente per i pargoli non hanno nulla a che vedere con quelle politiche). Un coro unico proveniente dai principali esponenti di destra e sinistra, seduti comodamente su poltrone di “pelle umana” nella cornice di Villa d’Este in quel del “ramo di Como”, si alza unanime concordando sulla necessità di pagare un qualcuno affinché non faccia arrivare questi disgraziati, impestati di ogni malattia, chiamata superficialmente povertà.

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E poiché, in natura, secondo Hobbes nel suo Leviatano, a ogni “immaginazione” corrisponde un concetto esprimibile dall’uomo in parola, non scomodiamo supercazzole applicate come se fosse Antani, secondo un assai più modesto pensatore, ma comico di grande livello nella satira contemporanea, quale Ugo Tognazzi, per esprimere il concetto di pagare! Lor Signor non si abusino di espressioni quali finanziare ospedali, welfare, progetti di cooperazione internazionale: chiamiamole stecche, tangenti, pizzo! Quello sono e quello restano! Ma qualcuno forse sarà tentato di alzare il dito della manina nella prestigiosa disquisizione di politica internazionale, seconda solo a quella di Davos, e di ricordare come un tale, un certo Silvio Berlusconi che si autoproclamò in quella circostanza statista di caratura internazionale, a suo tempo avesse già contribuito ad un’iniziativa similea suon di miliardi di Euro, da lui definiti attraverso metodologie assai superate del marketing dei venditori degli anni Settanta in “piccoli contributi”. Ma un soggetto dotato delle medie capacità intellettive della popolazione, espressione assai cara e di moda che si legge nelle sentenze di alcuni magistrati per indicare un uomo caratterizzato da un livello di comprensione alla soglia di un minus habens , non può non rendersi conto, di fronte all’obbiezione di quanto sollevato dal precedente intervento del signore in platea tra le ultime fila che timidamente ha alzato la mano esprimendo una quanto lecita perplessità, della presenza di un vuoto spazio-tempo dal 2009 a oggi, che forse nemmeno la teoria della relatività di Einstein potrebbe colmare.Il beneficiario dei contributi stanziati dal leader per antonomasia di Forza Italia era un certo Mu’ammar Gheddafi, da egli definito come “un suo grande amico” che, come un Goto moderno, riceveva un obolo dalla versione 2.0 dell’Impero Romano, non tanto per prestigio quanto per posizione geografica, affinché si adoperasse nella prosecuzione del mito del re Teodorico a svolgere la funzione di cuscinetto e di tenere lontani i barbari più feroci dai confini della civiltà.Ma se filava così come pare tutto per il meglio che fine ha fatto il povero colonnello libico, resosi così simpatico con la trovata delle ragazze immagine ospitate nella tendopoli romana per lui allestita alle quali commentava il Corano, visto che da beduino quale era non poteva alloggiare in un hotel seppur di lusso? Evidentemente a un certo Sarkozy, che molti ricorderanno più quale marito di una certa Carlà, che per il suo trascorso di ex presidente della Repubblica francese, non garbava il fatto che i confini dell’Europa cristiana fossero difesi dai miscredenti e che, soprattutto, il militare maghrebino stringesse affari con l’Italietta, a discapito di una grande Nazione vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna.

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E fu cosi che in un bel pomeriggio del Febbraio 2011 alcuni caccia dell’aviazione francese, senza dire nulla a nessuno, si alzarono in volo per andare a bombardare la Libia così crudele da decenni, nella accondiscendenza di mezzo mondo, della violazione dei diritti umani della popolazione locale. Da quella data funesta sono passati ben sei anni e in quel deserto, così impregnato di petrolio, non solo non regna la pace, tra guerre civili in atto tra un numero non meglio precisato di tribù e Stati riconosciuti e non dall’ONU, ma sembrerebbe che prosperi anche una fiorente attività criminale organizzata, dedita al traffico di esseri umani verso la cara e vecchia Europa, così ricca e prospera e civile da poter ospitare tutti, belli e brutti. Lor Signor alla Ambrosetti dessero meno fiato alla bocca rispettando il pubblico, che consapevolmente non si reca alle urne a votarli praticando l’astinenza, piuttosto che contribuire all’elezione di soggetti oversize che, seduti quali satrapi mediorientali, fanno sfoggio di una preparazione politico-culturale che non padroneggiano. Il vero problema è che, a seguito della fine del colonialismo anglo-francese, sostituito da governi militari manipolati a piacimento dalla politica internazionale, oggi si vorrebbe “esportare la democrazia”, creando i presupposti affinché vengano eletti rappresentanti politici locali finanziati, in modo da fermare con ogni metodo, anche i più cruenti, nel silenzio della stampa internazionale, il fenomeno degenerato dell’emigrazione verso Nord da parte dei subsahariani, e, allo stesso tempo, tutelare gli interessi economici di Stati Uniti, Francia e Inghilterra, q discapito di una Italietta e di una Cina che, nel silenzio complessivo, ha comprato mezza Africa e installato enormi basi militari un po’ ovunque, al di sotto del Mediterraneo. Qualcuno diceva: “finché c’è guerra c’è speranza”, contenti loro…

Europa e terrorismo

Le Ramblas, i famosi viali della bella Barcellona, non saranno più piacevoli e spensierati ricordi di tutti noi, appassionati turisti della Spagna del Sud, alla ricerca di quel profumo di “fiesta” tanto celebrato dai più importanti scrittori del Novecento, a partire da Hemingway, cronista dei principali quotidiani statunitensi ai tempi della guerra civile vinta da Francisco Franco e immortalata nella sua più totale drammaticità dal quadro di Pablo Picasso “Guernica” ,distrutta dal bombardamento a tappeto da parte della Luftwaffe tedesca al suo collaudo generale, in prospettiva della imminente seconda guerra mondiale.Ora inevitabilmente, ogni qualvolta ricorderemo il capoluogo della Catalogna, avremo ben in mente le immagini dei terroristi islamici e del camion sulla folla travolta, indifesa nella propria sorpresa durante un momento di svago insieme a parenti e amici in una giornata di agosto.Al telegiornale sembra purtroppo di rivedere il drammatico attentato di Nizza dell’anno scorso sulla Promenade des Anglais, percorso pedonale della Costa Azzurra, affascinante ed emozionante quanto quello oggetto del tragedia odierna.Certamente non si può rimanere che attoniti e perplessi di fronte a queste mostruosità partorite dalla mente dei terroristi, oggi islamici, dove trovano la morte centinaia di innocenti di tutte le età, le nazionalità e anche indistintamente di tutte le confessioni religiose, ma è altrettanto evidente nella ripetitività di queste sciagure una certa dicotomia rispetto a quanto successo nei cosiddetti “anni di piombo”: in primis questi islamici sono simili, più che a dei militanti politici impegnati a destabilizzare l’ordine costituito per facilitare l’ascesa di una fazione partitica per la quale protendono, piuttosto a dei “kamikaze” giapponesi, soldati della aviazione dell’Impero del Sol Levante dell’ultimo conflitto mondiale che, spinti da “un vento divino”, si immolavano contro le portaerei americane nel tentativo estremo di difendere la propria nazione.

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Sarebbe, però, estremamente superficiale classificare questi criminali islamici quali fanatici; infatti, così come si è superata da tempo l’attribuzione di questa accezione nei confronti degli aviatori nippoci sopra ricordati, sconfinare nel fanatismo significa, indirettamente, celebrare l’eroismo, visto che il confine tra i due termini è davvero sottile e oggetto di interpretazioni faziose; in fondo i trecento spartani guidati al massacro dal re Leonida alle Termopili contro i Persiani non erano tali? I santi della Chiesa Cattolica, senza il deliberato e consapevole martirio dei quali la principale religione del mondo occidentale sarebbe rimasta un culto settario mediorientale, non possono affiancarsi nello spirito di abbracciare la fede nell’accettare la propria morte a questi magrebini? Certamente no, anche perché gli spartani così come i giapponesi sceglievano di combattere, uccidere e consapevolmente di immolarsi per difendere la patria dall’invasione di un nemico belligerante; i discepoli e i loro seguaci predicavano la vita eterna, aspetto che rivoluzionò il mondo antico, a tal punto da essere perseguitati e condannati a morte dai governatori romani perché, direttamente o indirettamente, attaccati dai predicatori provenienti dalla Palestina nella loro corruzione o nella violazione dei diritti umani anti-litteram. Ma attualmente nessuno vuole convertire l’Europa alla fede di Allah.Gli stessi carbonari di fine Ottocento e gli anarchici di inizio Novecento, con le loro bombe e con le loro pistole, prendevano di mira gli imperatori di Francia e di Austria o il re d’Italia sapendo di essere arrestati e ghigliottinati o fucilati, ma anche in quella fattispecie il bersaglio politico era chiaro e comunque istituzionale.

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Attualmente si parla di ragazzi, tendenzialmente giovani, di origine magrebina, nati o cresciuti in Europa e, in molti casi, nei Paesi dove effettuano gli attentati, senza mai prendere di mira bersagli politici o istituzionali, ma sempre e comunque civili, solitamente in luoghi di svago. Dal 2001 a oggi le modalità degli attacchi sono mutate, si era partiti con le bombe sugli aerei, nella prima decade del nuovo millennio si è passati ad azioni maggiormente orientate all’uso di armi da fuoco, quali mitra e fucili di grosso calibro, da qualche anno, infine, si predilige l’uso improprio di furgoni a tutta velocità sulla folla nei principali punti di aggregazione sociale. Qualcuno potrebbe obiettare che difendono in termini reazionari i loro Paesi, quali Libia, Iraq e Afghanistan, dall’invasione anglo-franco-americana, impossibilitati dal fronteggiare eserciti regolari, nella speranza forse di creare, attraverso il disordine nei principali centri stranieri, i presupposti per il ritiro delle truppe. Ricorrere sempre poi alla classificazione di questi giovani quali disturbati mentali, o disagiati sociali o ancora ex-detenuti, sa tanto di totalitarismo dell’informazione, in cui ogni avvenimento contrario al regime, così perfetto nella sua organizzazione democratica e di rappresentanza popolare, non possa che essere espressione di squilibrati. La verità è che, dichiarata la morte di un presunto Bin Laden e di un altro presunto Califfo, il terrorismo contemporaneo sembra non vedere la propria fine con il sollievo di tutti, ma la sporadicità degli attentati, mai legati tra di loro da una forma di continuità spazio-temporale, al momento non fa emergere un quadro ben delineato di attacco all’Occidente quale forma nuova di conflitto politico-militare. Negli anni Settanta molti, dietro alle bombe esplose in Germania, in particolar modo durante l’Oktober Fest, e in Italia, con le stragi nere a Brescia e a Bologna, videro la mano lunga della CIA; oggi i quadri internazionali, rispetto a quell’epoca, sono radicalmente mutati ma il controllo della società civile da parte delle Istituzioni si è affinata in nuovi linguaggi non ancora decifrati, dove il controllo delle masse ha sempre più direzioni ondivaghe, poco chiare, tanto da aver portato i filosofi contemporanei a teorizzare la “post-verità”, in un mondo dove tutto pare, ma nulla è certo. Evidentemente, come nel mito della caverna di Platone, qualcuno non ci dice la verità fino in fondo, pensando di tenerci prigionieri con il volto fisso sulla parete della grotta dove proietta, come in uno schermo cinematografico, quanto di suo interesse.

 

 

 

Nord-Ovest. La crisi non è solo piemontese

In Liguria 6.000 imprese in meno dal 2008 a oggi

 

 Nei più recenti convegni si sprecano i dati nel comparto degli analisti ormai presenti in ogni categoria sindacale, da quella degli industriali a quella degli artigiani, senza tralasciare naturalmente quelle dei commercianti e dei dipendenti. Il problema vero ritengo stia nel metodo attraverso il quale questi dati vengono raccolti e interpretati, nella logica che nessuna ricerca può davvero esprimere una verità anche fotografica se non in funzione di un modello di interpretazione. L’analista, infatti, non può e, soprattutto, non deve raccogliere dei dati senza interrogarsi sulla modalità attraverso la quale sta facendo la conta; lo scopo della ricerca deve essere predominante rispetto al numero perché, diversamente, si può dire tutto e il contrario di tutto. Ritengo, quindi, che dichiarare pubblicamente che in Liguria a partire dal 2008 a oggi vi sia stato un decremento di 6.000 imprese, a oggi non dia un vero valore aggiunto alla riflessione perché, tralasciando il concetto di impresa troppe volte sovrapposto a quello di partita IVA, che non necessariamente riflette un vero tentativo di attività, quanto semmai di precariato subordinato nella esternalizzazione di una mansione, non rispecchia la problematica o, meglio, la dinamica attraverso la quale si è giunti a quello che può superficialmente essere definito quale impoverimento complessivo del territorio.

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Ma soprattutto di quali aziende si parla? Raccogliere il cartone per la strada vuol dire essere imprenditore? Essere un magrebino imbianchino con partita IVA significa entrare, o meno, nel numero delle imprese da conteggiare? Una vera analisi per essere pregna di significato deve spiegare quale è il riferimento dello studio ma, soprattutto, lo scopo che deve essere costruito nei termini nei quali suggerisca una riflessione in modo da portare la classe politica che, per definizione, può adoperare quegli strumenti della “mano pubblica”, a rispondere coerentemente alla propria ragione d’esistere: la predisposizione di un contesto favorevole all’attività del privato e del libero scambio. Nessuna economia può svilupparsi ma, soprattutto, resistere nel tempo sorretta dal clientelismo pubblico, al contrario un mercato sano e forte necessità unicamente di quella minima, ma fondamentale, sensibilità dell’amministratore statale, che sappia cogliere l’imprescindibile e mai scontata presenza dell’imprenditore, cioè di colui che realmente e, soprattutto, lealmente sacrifica quel tanto o quel poco che possiede per avviare un progetto di investimento nella logica di medio periodo, attraverso la propria applicazione nel lavoro inteso come fatica e impegno quotidiano, nella confidenziale speranza di un miglioramento duraturo delle proprie condizioni di vita, per poter quindi esprimere e vedere realizzati socialmente i propri talenti.

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Ebbene, dal marzo 2008 ho avviato la mia attività imprenditoriale: non ho mai visto nessun soggetto istituzionale e politico di ogni schieramento dirmi, a oggi: “ragazzo hai del fegato, questo è il mio biglietto da visita, farò il possibile per aiutarti”. Non credo che il mio sia un caso isolato e inevitabilmente ognuno tragga le proprie conclusioni che anzi anticipo ad alta voce: “Ma noi giovani intraprendenti siamo ben visti e spronati all’investimento in un progetto in proprio?” Siamo circondati da troppe mezze figure, gelose della propria modesta poltroncina, magari raggiunta a sessant’anni, contornati volutamente da quarantenni senza preparazione, disposti a qualunque captatio benevolentiae in cambio di un piatto di minestra. Molti non sanno che, tra i molti laureati che emigrano all’estero, magari in qualche banca d’affari, (certamente non a servire gli spaghetti al pomodoro a Berlino) ci sono i figli di noti imprenditori locali con a libro paga anche una cinquantina di dipendenti e un fatturato di alcune decine di milioni di Euro, poiché sono i genitori stessi a spronarli a quella che viene teorizzata come “esperienza all’estero da curriculum”, ma che, in molti casi, diventa definitiva. Se ad emigrare quindi sono i giovani ricchi figuriamoci i poveri! Sarebbe dunque bello capire nell’analisi il motivo della chiusura di quelle 6.000 imprese, in quale filiera erano, più che limitarsi a citare il settore e soprattutto di fronte a quali problemi insormontabili si sono dovuti arrendere. Certamente il credito è la vera palla al piede dei giovani o di chi, in generale, gestisce una attività individuale; le banche usano metodologie assurde con i piccoli per impedire loro il finanziamento, da riservarsi, per ragioni politiche, a grandi operazioni di speculazione che vedono come registi o i partiti stessi o “chiamiamoli imprenditori” loro prestanome.

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Il miliardo di Euro di buco della CARIGE lo hanno creato quei 6.000 imprenditori? Io sincerante non ci credo, anzi accuso ad altra voce: quei mille milioni di Euro sono finiti nelle mani di dieci persone: le navi si sa sono pezzi di ferro in molti casi arrugginiti, i grattacieli se non convinci il Papa, si ignorano i metodi, a trasferirci gli uffici del Vaticano rimarranno vuoti per i prossimi vent’anni considerando che i prezzi proposti dagli immobiliaristi al metro quadro non sono nemmeno così vantaggiosi rispetto ad una vastissima scelta di sezioni di palazzi in pieno centro attualmente vuoti. La verità è che le aziende, a prescindere dal settore di appartenenza, e che esercitino realmente o meno un rischio di impresa, continueranno a chiudere. Fino a quando non si rimetterà al centro il Lavoratore con i suoi sogni e i suoi sacrifici, fino a quando le banche non ritorneranno a voler valutare la serietà intima dell’individuo, dell’Uomo Qualunque che si reca in banca, senza conoscenze, a chiedere quei 5.000 massimo 10.000 Euro mettendo a garanzia il proprio nome, la propria parola, sarà dura invertire la triste statistica dei 6.000 decessi, perché vanno chiamati così, in 9 anni.