Nel cuore dell’inverno, quando il lago d’Orta era silenzioso, i borghi sulle due rive avvolti dalle luci soffuse del tramonto e le acque calme riflettevano i profili delle montagne innevate prima che il buio della sera calasse il suo sipario, un giovane gabbiano lo sorvolava con ali leggere e occhi curiosi. Non era come gli altri gabbiani: lui non cercava solo pesci o vento, ma storie, luci, e voci nel paesaggio imbiancato. Si chiamava Ettore e amava planare leggero sui moli, fiorare la superficie del Cusio, curiosare nelle viuzze che costeggiavano i lungolaghi e gli imbarcaderi.

Era l’antivigilia di Natale, ed Ettore si era posato sul tetto innevato della Basilica di San Giulio, al centro dell’isola che dormiva come un presepe incantato. Da lassù osservava i lampioni accendersi nei borghi: Orta San Giulio, Pella, Pettenasco, San Maurizio e i piccoli paesi che punteggiavano le rive come stelle da Gozzano fin su a Omegna. Ma c’era qualcosa che mancava. Il lago, pur bellissimo, sembrava triste. Nessun canto allietava l’aria, nessuna barca decorata era ormeggiata, nessun bambino pareva intento a raccontare sogni. Ettore decise allora di portare lo spirito di Natale sul lago. L’indomani volò fino a Omegna, dove trovò un vecchio falegname intento a intagliare una stella di legno. “È per mia nipote,” disse l’uomo, “ma non ho modo di portarla sull’isola”. Ettore la prese con il robusto becco e volò via. Poi raggiunse una bambina a Pettenasco che aveva perso il suo cappello rosso. Il giovane gabbiano lo ritrovò tra i rami di un larice e glielo riportò, ricevendo in cambio un biscotto alla cannella. Così, volando per tutta la giornata del 24 dicembre di borgo in borgo, raccolse piccoli doni, desideri e sorrisi. Quando tornò sull’isola di San Giulio, li posò tutti davanti alla basilica: la stella, il biscotto, un guanto, una letterina, una candela profumata, la vecchia pipa che il pescatore Giovanni aveva perso a Imolo, un pastello colorato dimenticato fuori dal cancello di un asilo. E fu allora che accadde il miracolo. Le acque del lago, nel tardo pomeriggio, si illuminarono di riflessi dorati, come se il cielo avesse deciso di specchiarsi lì. Le campane suonarono da sole, e una barca addobbata di luci apparve dal nulla staccandosi dal molo di Orta con quattro musicisti che iniziarono a suonare dolci melodie natalizie. Ettore, commosso, volò in cerchio sopra l’isola, mentre gli abitanti accorrevano sulle rive, stupiti e felici. Quel Natale, il lago d’Orta non fu solo bello: fu vivo, caldo, e pieno di meraviglia. Da allora, ogni vigilia, un gabbiano solitario sorvola il lago, portando con sé il ricordo di quel giorno in cui il Natale fu salvato da un tenero e puro cuore alato.
Marco Travaglini

Questo è un Natale speciale, messo in mezzo a due guerre e due abortiti tentativi di pace. I pacifisti stanno dalla parte di chi fomenta la guerra e riempiono le strade di proteste e di violenza. Gli Angeli si asterranno dallo scendere sulla grotta di Betlemme e staranno nell’alto dei cieli. Chi dovrebbe stare dalla parte della pace sostiene per ignoranza che la forza difende la pace. La forza è parola di difficile definizione. E’ una lettura bignamesca di Machiavelli, priva di qualsivoglia caratura storica e intellettuale perché a tutelare la pace è la buona politica che non c’è più perché è affidata ad improvvisatori, magari dotati di grossa o minima corporatura, ma molto carenti di intelligenza politica. La democrazia è in crisi perché mancano i politici e quasi tutto è affidato alle mani sbagliate di chi non legge, non studia, non conosce, non sa neppure parlare con correttezza sintattica e grammaticale. Il mio vecchio amico Gallino metteva già in luce anni fa che, quando la filosofia teoretica è latitante, anche il normale ragionamento ne risente. Stiamo perdendo il senso della storia e della politica e la pace dipende soprattutto da queste due componenti diventate molto rare. Anche una visione cristiana della vita è in crisi: le banalizzazioni populistiche di Papa Francesco hanno dato un contributo non indifferente ad un laicismo scristianizzante. Tornando al tema di questi giorni, vi confido cosa ho deciso. Per gli eventuali pro Pal, in realtà antisemiti persi, e i filoputiniani ho fatto una scelta molto semplice: ho allentato i rapporti con loro fino al punto da renderli inesistenti. Tentare di aprire gli occhi ai sempliciotti e ai fanatici è impresa troppo onerosa, se non impossibile. Non leggo più le cose che scrivono e che non meritano neppure mezzo minuto di attenzione. A Torino ci siamo per ora liberati della mina vagante tra il capoluogo e la Valle di Susa. Ho notato che ci sono potenziali facinorosi sostenitori per ora verbali del centro sociale che fa della violenza e del vandalismo la sua unica ragione di vita. Troppi si sono rivelati a favore di Askatasuna. Anche qui farò lo stesso: chiudere ogni possibile futuro rapporto. Con gli intolleranti, insegnava Popper, si deve essere intolleranti. Io aggiungo che con i sostenitori a parole degli intolleranti bisogna essere intollerantissimi. Bisogna partire da certi professori che non possono imitare Toni Negri senza pagare il dazio. E da certe professoresse indegne di salire in cattedra, sia pure di scuole medie. Tra i vili sostenitori, magari sottovoce, dei violenti, paradossalmente, preferisco i violenti che offrono il petto agli idranti della polizia, che purtroppo non riescono a raffreddare le teste calde portate a delinquere. Certe teste sarebbe interessante sottoporle a Lombroso come se dovessimo fare un gioco perché esse non hanno nessun valore e nessuna utilità. E’ un brutto Natale, ma rifiuto la menzogna dei bottegai che attribuiscono la colpa di un Natale agitato alla Polizia e non al centro sociale che da trent’anni sconvolge la vita pacifica dei torinesi e dei valsusini. Speriamo che a Natale e Santo Stefano facciano tutti festa, astenendosi dai pensieri e dalle azioni abituali. Chissà che possano recuperare un po’ di responsabilità. Sarebbe un ottimo risultato che contribuirebbe ad una migliore convivenza civile.
Il Natale e’ la festa piu’ importante della tradizione cristiana. Il 25 dicembre si commemora l’anniversario della nascita di Gesu’ Cristo, lo sanno tutti, ma non tutti sanno quale e’ la storia che ha portato a scegliere proprio questa data considerato che ne’ il Vangelo, a parte qualche riferimento di Matteo e Luca, ne’ la Bibbia riportano in quale mese nacque Gesu’. Per un periodo ci fu anche un dibattito nel mondo ecclesiastico all’interno del quale furono proposti diversi di giorni per le celebrazioni e alla fine si arrivo’ alla data che tutti conosciamo.
Il vescovo greco ortodosso Epifanio di Salamina, venerato dalla Chiesa Cattolica, intorno al 226 si rese conto che tra le due tradizioni, quella pagana e quella cristiana, c’erano dei punti di contatto come la metafora della rinascita della luce sulle tenebre; Papa Giulio I, sulla scia di questa corrispondenza, nel 337 stabili’ che il 25 dicembre sarebbe stato celebrato il Natale, probabilmente anche con la speranza di convertire i romani al cristianesimo, e l’ Imperatore Giustiniano nel 529 rese la data festa ufficiale dell’Impero.
