MARKETING PEOPLE- Pagina 2

Cambiamento e resilienza  

Cambiamento e resilienza. Sempre più spesso ci capita di leggere o sentire persone che utilizzano questi due termini. Sembrano essere inscindibili, due concetti che viaggiano costantemente assieme e che si competano tra loro. Se fossero persone, potremmo definirle una sorta di Starsky & Hutch della filmografia degli anni ‘80. Noi stessi li usiamo con una certa frequenza quando parliamo di mercato e azienda. Ma cosa intendiamo realmente dire quando parliamo di Cambiamento e Resilienza? Il cambiamento cos’è? Un’importante ristrutturazione aziendale o un cambio di lavoro? E la Resilienza? Ormai tutti in azienda sanno che la resilienza è il vocabolo utilizzato in metallurgia per indicare la capacità di un materiale di resistere all’urto senza rompersi. Altre fonti, invece, per rendere la cosa ancora più affascinante, legano il termine resilienza al latino “salio” (salire) che, con il suo iterativo “resalio”, accostato all’immagine di una barca capovolta, indica l’azione di risalire sulla barca dopo che si è rovesciata. Una cosa è certa: per molti di noi il cambiamento è un qualcosa d’intangibile che ci spinge a modificare quello che abbiamo sempre fatto e, più abbiamo fatto, più dovremo lavorare per adeguarci al nuovo.

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Noi non condividiamo questa visione, però, a nostro avviso, il cambiamento altro non è che la vita di tutti i giorni, sia quella privata sia quella professionale. Panta Rei, (tutto scorre) diceva Eraclito, uno fra i più grandi filosofi greci presocratici, per indicare l’eterno divenire della realtà, paragonandola a un fiume che solo apparentemente rimane uno e identico, ma che, in effetti, continuamente si rinnova e si trasforma, per cui non è possibile tuffarsi in esso più di una volta, perché la seconda volta non è lo stesso fiume della prima. Se condividiamo questa visione, il cambiamento è qualcosa che ci accompagna durante tutta l’esistenza, nelle piccole cose come nelle grandi cose. Cambiare barbiere perché il nostro è andato in pensione non è forse cambiamento? Cambiare cliente perché quello precedente ha ceduto l’attività non lo è altrettanto?   Queste cose, però, non ci preoccupano perché il nostro cervello le cataloga al livello più basso di rischio mentre, invece, se in azienda si passa da un sistema informatico all’altro o se viene modificata l’organizzazione, ci carichiamo di ansia e stress. Tutto ciò è normale, anzi diremmo che è umano, però non ci deve bloccare. Passato il primo momento di destabilizzazione, dobbiamo subito vedere quali opportunità nuove si stanno per presentare. Per molti anni, nella quotidiana gestione delle cose, ci è capitato di definire quest’approccio mentale come la tecnica del “Cosa c’è di buono in ciò” perché è giusto dirlo : Guardando bene troveremo sempre qualcosa di positivo, anche dove non ci sembra proprio. 

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Ci sono due modi di porsi di fronte alla richiesta di cambiamento, che, spesso, non è una nostra scelta, ma una necessità; per cristallizzarli ci rifaremo a due grandi pensieri:

Chi ti vuole diverso, non ti vuole affatto. (Eracle) Approcciare le cose in questo modo è assolutamente da evitare. Significa pensare sempre in negativo e, oltre a non facilitare le cose, questo atteggiamento ci porterà a “ Tagliarci fuori da soli” perché, ci piaccia o no, le cose vanno avanti anche senza dii noi. Il secondo modo, invece, ce lo ha offerto un pensiero di Mahatma GandhiLa vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia. Un modo dolce, positivo e forse affascinante che ci porta a vedere le cose in modo diverso, da cacciatori di opportunità.

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Questo approccio probabilmente è quello che meglio definisce una persona resiliente, una persona che supera la destabilizzazione iniziale e si pone alla ricerca dell’esperienza, dell’insegnamento che da questa esperienza ne può derivare. La tecnica cioè del: ”Cosa c’è di buono in ciò”. Un atteggiamento positivo che ci aiuta ad affrontare meglio le cose vivendo la vita. Più volte siamo entrati in contatto con persone capaci, intelligenti e competenti che, pur di non affrontare il cambiamento, si erano accontentate di ruoli/situazioni “ inferiori” a quelle che realmente meritavano o che potevano raggiungere. Alcune di loro erano contente e questo era un risultato positivo perché, probabilmente avevano deciso di anteporre i propri valori personali a quelli professionali, e questo li rendeva comunque felici e vincenti. Altri, invece, giustificavano lo status quo con motivazioni legate alla sfortuna o ai torti subiti e questo non era buono nemmeno a livello salutistico perché “stavano male con se stesse”. La resilienza, quindi, potremmo definirla come la capacità di non essere troppo rigidi o troppo morbidi, ma semplicemente “flessibili”, capaci cioè di adeguarsi prendendo il controllo della situazione.

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Un esempio di resilienza

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Questo non significa nascere resilienti, ma allenati alla resilienza e l’allenamento non richiede situazioni “speciali”. E’ sufficiente affrontare la vita quotidiana ponendosi obiettivi misurabili e raggiungibili la cui asticella sarà alzata di volta in volta. Anche il notissimo atleta giamaicano Usain BOLT potrebbe confermare questa teoria se pensiamo che il 2016 l’ha visto vincitore della competizione dei 200 metri a Rio de Janeiro con il tempo di 19″78, mentre nel 2001,ai suoi primi esordi, il suo tempo era “solo” di 22″04 .Il secondo allenamento che possiamo fare è quello di uscire dalle nostre zone di comfort facendo cose che non abbiamo mai fatto o che non facciamo da molto tempo come ad esempio parlare con qualcuno che non abbiamo mai considerato oppure, prendere una seggiovia anche se un po’’ ci intimorisce. Scopriremo mondi nuovi semplicemente allargando il nostro campo visivo e sdrammatizzando le cose che ci capitano perché, come diceva il Saggio“Il mondo è nato prima di noi pertanto saremo noi a doverci adattare a lui, specialmente se poi vogliamo cambiarlo.”

Antonio De Carolis

Presidente CDVM

Club Dirigenti Vendite e Marketing

www.cdvm.it

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Vendere in chiave di marketing

Quando pensare al nostro cliente non basta più

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Parlando di marketing non possiamo che parlare del cliente; sì del cliente, non della vendita. Vendere è la naturale conseguenza di una corretta attività di marketing; migliore è l’analisi più facile sarà acquisire il cliente. La vendita “non dovrebbe mai essere il primo obiettivo” Ci rendiamo conto che ciò può sembrare una sorta di stravolgimento delle cose, un “cambio di visione” ma credeteci, non è così. Alle orecchie di un venditore push (o one touch and go) questa affermazione suona come una nota stonata; un cultore del tutto e subito potrebbe tacciarci di eccesso di teorizzazione, ma proviamo a fare insieme alcune riflessioni. Il marketing non è una norma operativa ma è una precisa filosofia di approccio al mercato. Operare in chiave di marketing significa “vedere oltre”, vale a dire non limitarsi a considerare un professionista della vendita colui che si definisce un ottimo venditore solo perché riesce a “strappare” ogni tanto qualche “grosso ordine”. Relazionarsi in termini di marketing vuole dire farsi carico dei problemi di ogni singolo cliente, comprenderne gli obiettivi commerciali e di comunicazione, aiutandolo ad identificare comportamenti nuovi che gli consentano di “distinguersi” dai competitor. Il venditore che si muove secondo questa visione diventa “il personal trainer” del cliente. Prima gli parla per conoscerlo, poi condivide con lui una specifica scheda di esercizi ed infine monitora la sua attività. Restando nella metafora potremmo affermare che, in tempi di crisi, le palestre sono affollate di aziende che desiderano “perdere i chili in eccesso” che vogliono muoversi più agevolmente nel mercato, che vogliono farsi “notare” per conquistare nuovi clienti e farsi sempre più apprezzare da chi già opera con loro. Ma la voglia di perdere il sovrappeso e di farsi notare sono i veri obiettivi del cliente? Sicuramente no, il “dimagrimento” e il mettersi in mostra sono gli strumenti, perché il vero obiettivo è farsi scegliere. Ma uscendo dalla metafora, questo non vale forse per tutti? Aziende, venditori, gente comune? ……. Probabilmente sì Essere scelti è, molto probabilmente, il principale obiettivo di tutti, in ogni campo, per questo occorre spingersi oltre.

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Il “Professionista della vendita“, ad esempio, non può limitarsi alla sola conoscenza del proprio mercato e dei propri concorrenti, ma deve diventare il miglior conoscitore del mercato dei propri clienti. Più che vendere al proprio cliente, deve vendere ai clienti del proprio cliente. Estremizzando il concetto, il venditore moderno è colui che si comporta come un socio esterno dell’azienda. Se il suo cliente è soddisfatto, lui è soddisfatto. Forse qualcuno, ripensandoci un po’, potrebbe a questo punto dire: “Va bene, riflettendoci meglio, il marketing aiuta a vendere, ma non ad acquisire subito gli ordini”. “Come faccio a seguire questa filosofia?” A me è richiesta la pratica, il risultato subito..! ” Noi crediamo che offrendo al cliente argomenti e soluzioni (non solo prodotti…) in grado di contribuire al buon esito della sua attività, dimostriamo che operare in chiave di MARKETING significhi non limitarsi a vendere,ma a RI‐ VENDERE cioè a vendere oggi, domani e sempre perché, è chiaro che:

IL VENDITORE VENDE SOLO SE IL SUO CLIENTE VENDE.

In termini tecnici significa generare il ciclo del valore che inizia, finisce e ricomincia con il consumatore finale.

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In un’epoca in cui tutti hanno tutto e il potenziale economico è ridotto o sotto stretto controllo, solo questo tipo di approccio può portarci a produrre risultati duraturi nel tempo. Ma se marketing e vendita sono una la conseguenza dell’altra come possiamo definirle?

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Ci piace pensare che la trattativa di vendita si svolga in due fasi:

  • La prima fase (il marketing) rappresenta l’analisi della disponibilità, della numerosità e del comportamento d’acquisto dei clienti del mio cliente (target.)
  • La seconda fase (la Vendita) rappresenta la relazione personale e va portata avanti con l’ascolto, le domande e la competenza.

Lo scopo è quello di fornire al nostro cliente strumenti quanto più precisi e verificabili che gli permettano di decidere come sfruttare al meglio il nostro prodotto. Il fatturato è l’obiettivo finale, ma non solo quello nostro!

Senza vendita non c’è fatturato ma senza fatturato non c’è vendita.

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Antonio DE CAROLIS

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Presidente CDVM

Club Dirigenti Vendite e Marketing

www.cdvm.it

“Cambiare se stessi” per “modificare gli altri”

decarolis2La comunicazione è una cosa semplice che si trasforma in complessa non appena diventa a due vie, cioè quando ci relazioniamo con qualcuno il cui feedback determina il raggiungimento o meno del nostro obiettivo.

di Antonio DE CAROLIS

 

Talvolta ci capita di sentire: “Quella persona è davvero antipatica, non capisco come possa fare quel tipo di lavoro con quel brutto carattere … ” oppure “Non immaginavo fosse così scortese, tutti ne parlano bene…”Pareri discordi o persone con doppia personalità? Niente di tutto ciò, probabilmente si tratta solo di “incontri ravvicinati tra persone che, in quel preciso momento, hanno avuto un comportamento poco compatibile con quello dell’interlocutore”.

A tutti è capitato di essere qualche volta “meno disponibili” o semplicemente “meno interessati agli altri”, non perché lo fossero realmente, ma solo perché in quel preciso momento o in quella specifica situazione, l’uomo di Neanderthal che ci accompagna tutta la vita ci ha portato a muoverci in quel determinato modo.

L’uomo di Neanderthal è la raffigurazione delle nostre consuetudini, dei nostri usi e delle nostre abitudini.Egli vive con noi dalla nascita e si nutre delle nostre esperienze, dei nostri sentimenti, della nostra “cultura”, e ci porta a comunicare con il mondo con atteggiamenti e comportamenti spesso “programmati”, poiché derivanti da esperienze già vissute (chi si è scottato con l’acqua calda, ha paura anche di quella fredda).

La comunicazione è una cosa semplice che si trasforma in complessa non appena diventa a due vie, cioè quando ci relazioniamo con qualcuno il cui feedback determina il raggiungimento o meno del nostro obiettivo.Se ad esempio raccontiamo a nostra moglie di avere visto le foto di un bellissimo albergo in montagna dove prima o poi ci piacerebbe soggiornare, stiamo comunicando a una via, cioè qualsiasi cosa dica nostra moglie (il feedback) non modifica il fatto che noi lo troviamo bello.

Se invece raccontiamo la stessa cosa con l’intento di organizzare il prossimo week end, allora la comunicazione diventa a due vie, poiché il feedback diventa fondamentale per raggiungere il nostro obiettivo, che è quello di andare in montagna e soggiornare proprio in quel posto.Qualcuno potrebbe giustamente affermare che cambiare il punto di vista delle persone è difficilissimo, ma noi crediamo che, analizzando meglio le cose, potremmo talvolta renderlo possibile.

È più facile deviare il corso di un fiume o spianare una montagna che cambiare l’animo di un uomo. Proverbio cinese

 

La prima cosa da fare è accettare che noi possiamo al massimo modificare un comportamento e non il carattere, perché alla sua formazione concorrono tanti fattori tra i quali l’ambente, la formazione, le esperienze e così via …

La seconda cosa è sapere che ogni comunicazione genera una visione e quindi è fondamentale capire quale visione, in quel preciso istante, ha generato il nostro messaggio nell’interlocutore.

Se ad esempio, il nostro: “Sai tesoro, ho trovato sul web un bellissimo albergo in montagna con piscina, sauna e sci in dotazione, un po’ caro ma davvero bello!” (messaggio), generasse in lei (ricevente) la visione di una spesa inutile in un momento di scarsa disponibilità economica come quello attuale (contesto), la possibilità di trascorrere il prossimo week fuori casa, sarebbe piuttosto remota, perché la sua visione è completamente diversa dalla nostra. La visione condivisa è fondamentale per il raggiungimento del nostro obiettivo di comunicazione.

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La visione condivisa: Donna o Sassofonista?

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Le regole base parlano chiaro: per avviare una comunicazione sono necessari un messaggio, un emittente, un ricevente, ma occorre fare attenzione anche alle altre componenti nel processo comunicativo, quali Referente – Codice e Canale .

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Gli elementi della comunicazione – Roman Jacobson

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Ma come possiamo agire per modificare una visione non coincidente con la nostra?Di certo non la possiamo modificare con reazioni scomposte, innalzamenti di tono e altre cose di questo genere, ma potremmo aumentare le possibilità di riuscita lavorando su noi stessi incominciando con il porsi delle domande. Nel caso specifico, ad esempio, potremmo chiederci:Siamo sicuri di aver scelto la situazione migliore per intavolare il discorso? Il momento era quello adatto? Avevamo chiaro il suo stato d’animo di quel momento, e perché era così? Abbiamo utilizzato le parole giuste o ci siamo alterati per quella sua prima reazione di disinteresse?Queste sono solo alcune possibili domande che ci servono per comprendere che, se vogliamo modificare gli altri, dobbiamo per primi cambiare noi.

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo. (Gandhi)

Volendo semplificare al massimo il processo comunicativo, possiamo affermare che, se il ricevente risponde alle sollecitazioni dell’emittente, è questo che deve cambiare per primo.Attenti però perché, nella stessa comunicazione, i due ruoli variano costantemente, passando da uno all’altro. Ecco perché è fondamentale controllare le nostre azioni.Gli eccessi di orgoglio o i pregiudizi mal si sposano con la comunicazione efficace perché generano contrasti costanti e crescenti .

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Ma allora, restando nel caso specifico, come si poteva ottenere il risultato sperato?La certezza non l’avremo mai “a tavolino” perché, come detto, si tratta di capire i bisogni dell’interlocutore in quel preciso momento; solo dopo, sarà possibile proporre qualcosa, non esiste quindi una regola precisa.Se, però, simulassimo di aver capito che nostra moglie, in questo momento, si sente particolarmente “demoralizzata “per la situazione economica e “affaticata” per la tensione da essa derivante, il nostro albergo, da spesa “inutile”, potrebbe trasformarsi in possibile “medicina” per la comune ricerca di “relax e ristoro” , aumentando in modo esponenziale la possibilità di essere scelta da entrambi.Non vogliamo assolutamente dire che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto, ma non dimentichiamo mai che, spesso, siamo noi a generare le risposte che ci sono date, quindi, prima di criticare gli altri , diventiamo protagonisti del cambiamento.Agendo su di noi, favoriremo il cambiamento degli altri e gli effetti saranno strabilianti. Buona comunicazione a tutti ….

Antonio DE CAROLIS

Presidente CDVM Club Dirigenti Vendite e Marketing

presso Unione Industriale di Torino

www.cdvm.it

Comunicare in chiave commerciale

decarolisDi Antonio DE CAROLIS

Per Paul Watzlawick, primo esponente della Scuola di Palo Alto, la cosa era molto chiara: “non si può non comunicare”.

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Paul Watzlawick

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La comunicazione, diceva, è un “processo d’interazione tra le diverse persone che stanno comunicando” quindi, per estensione, anche il silenzio è una forma di comunicazione. Questo vale per tutti, persone e aziende, in ogni momento della propria esistenza, ecco perché ogni iniziativa, ogni progetto e ogni servizio o prodotto vanno adeguatamente comunicati al mercato. Adeguatamente, perché come, diceva il saggio, “se decidi di parlare, fa’ che il tuo dire sia meglio del tuo tacere”. Marcello Marchesi, nel libro “Diario futile di un signore di mezza età” (Rizzoli 1963), scriveva: “La pubblicità è necessaria. Dice F.M., pontefice dell’advertising: “La gallina, quando ha fatto l’uovo, canta; l’anatra no. Nei negozi tutti chiedono uova di gallina, ma nessuno chiede uova di anatra“.

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Marcello Marchesi- scrittore, sceneggiatore, regista cinematografico e teatrale, paroliere e attore italiano

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La metafora è chiara: la gallina quando fa l’uovo lo comunica, l’anatra no. lo comunica “cantando”, non starnazzando,di qui il messaggio: “dobbiamo comunicare e dobbiamo farlo seguendo delle regole”.

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L’uovo è servito

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Probabilmente la “regina” delle norme della comunicazione è: “Prima di parlare poniamoci delle domande e diamo loro delle risposte”. La prime cose da chiedersi sono così ovvie che non tutti se le pongono: “Quale messaggio vogliamo trasmettere?”; “Perché un potenziale cliente dovrebbe scegliere proprio noi rispetto a un nostro concorrente ?”; “Che cosa rende particolare la nostra offerta”……. Anche se i prodotti sono simili al punto da sembrare uguali, esiste sempre un fattore distintivo tra un’azienda e l’altra, un Selling point, un’argomentazione esclusiva di vendita. Rosser Reeves, uno tra i più noti pubblicitari statunitensi del secolo scorso, lo definiva USP (Unique selling proposition). Talvolta identificarlo non è semplice ma, se valutiamo la nostra offerta nella sua completezza, non limitandola cioè al solo prodotto, scopriremo sempre più spesso che la USP sta nel servizio o nel contenuto tecnico. Chi lavora tutto il giorno con il PC, troverà forse più interessante un’assistenza on site o “Next Business Day” (entro il giorno lavorativo successivo) rispetto a uno sconto di alcune decine di euro.

La consegna in 24 ore attrarrà molto più di un piccolo sconto per chi necessita di riassortimenti veloci e non desidera avere un magazzino in casa propria. Questi ovviamente, sono solo semplici esempi, ma un confronto attento con il mercato e con i nostri competitor ne evidenzierebbe molti altri. Una volta identificato, il fattore distintivo va comunicato, ma attenzione a farlo in modo corretto. Dire a un cliente che lavora in ZTL che la macchina che vogliamo vendergli è elettrica serve a poco, a lui dobbiamo sottolineare che non avrà limitazioni nella circolazione. E’ necessario comunicare sempre il beneficio che otterrà, non la caratteristica tecnica, e il beneficio deve essere specifico per il nostro interlocutore, non per quello di altri. Enfatizzare, ad esempio, la libera circolazione nel centro cittadino a chi non necessita di recarvisi, è pressoché inutile.

Schematizzando potremmo dire che per comunicare con efficacia è necessario definire: A CHI – il target al quale vogliamo comunicare. CHE COSA – Il contenuto della comunicazione. IN CHE MODO – La modalità di comunicazione. QUANDO – Periodi di maggiore concentrazione delle vendite. DOVE – I mezzi attraverso i quali comunicare. Riguardo ai mezzi da utilizzare la domanda “sorge spontanea”: Come scegliere tra TV, Radio, Giornali, Riviste di settore, Directory, Sito Internet, Social network..? La prima risposta potrebbe essere: Dipende dal budget che abbiamo a disposizione, ma crediamo sia limitativo ed anticipato, perché sarebbe giusto ragionare in termini di “customer behaviour”, cioè dell’analisi del comportamento del cliente tipo. Conoscere il comportamento del nostro potenziale cliente in fase di acquisto è fondamentale perché, se esiste un percorso logico che i clienti utilizzano per fare un acquisto, è cosa buona assecondarlo.

A titolo di esempio, se chi vende tavole da surf sa che i propri clienti, prima di fare l’acquisto, si informano sulla rivista ” tavole per tutti i gusti” (credo non esista…) è meglio che il valore più alto del proprio budget lo si investa qui. Per analisi di questo genere è possibile rivolgersi ad agenzie specializzate o fare tesoro di quanto affermava Plutarco: “Se sai ascoltare impari anche da chi parla male”. I clienti, contrariamente a quanto qualcuno ancora pensa, amano parlare con le aziende e, quando lo fanno, offrono suggerimenti e punti di vista utilissimi agli uomini di marketing.

Alcuni esperti di psicologia della comunicazione sostengono che il momento migliore per acquisire informazioni è quello che segue l’atto di vendita perché, a prescindere dall’esito della trattativa, l’interlocutore si libera delle barriere pregiudiziali del ruolo e si relaziona da partner commerciale. Comprendere i mutamenti del mercato e assecondare i comportamenti dei nostri clienti significa aiutarli a decidere, semplificando il loro processo d’acquisto; pertanto è necessario ascoltare. Molti credono che il bravo venditore sia quello che parla tanto, ma non è così. L’ascolto è fondamentale perché le caratteristiche di un prodotto vengono nobilitate al rango di beneficio solo se rispondono a bisogni reali e per conoscere i bisogni reali è necessario comunicare .

Buona comunicazione a tutti.

“Il marketing spontaneo”

decarolisDalla scheda cliente al Customer Relationship Management

 

di Antonio DE CAROLIS*

www.cdvm.it

 

 

Il portafoglio clienti rappresenta per ogni azienda un vero e proprio tesoro da curare e tramandare.

Ogni piccolo imprenditore conosce i propri clienti e, per quelli che gestisce personalmente, ha delle attenzioni particolari che, solitamente, sono dedicate agli amici preziosi.Ad essi invia auguri di buone feste, scrive o telefona per il giorno del loro compleanno e, se li vede, difficilmente dimentica di chiedere come stia “la signora” (la moglie), o come procedano gli studi dei figli.Quando va a trovarli in azienda ascolta con molta attenzione quanto gli raccontano cercando di capire cosa dicono i loro clienti e cosa propongono i concorrenti e, se decide di “preparare” un nuovo prodotto, si confida con i più̀ fedeli, chiedendo un parere su una semplice ipotesi o magari su “un prototipo”.

Tutte le informazioni acquisite le annota su un foglio (di solito già predisposto con zone da compilare e con uno spazio in bianco al fondo, acquistato in un noto negozio di forniture per ufficio torinese…) che diventa, di fatto, la scheda cliente. Le varie schede,solitamente, le tiene chiuse dentro un contenitore (anche su questo potremmo tentare di offrire un’immagine: in plastica con coperchio trasparente, in ferro color azzurro tipo cassaforte o in una cassettiera con cartelle nominative appese) reso “sicuro” da una piccola serratura.

Appena pronti i pezzi della nuova produzione, pensa a chi potrà̀ presentarli per primo, perché́ proprio da questi comincerà̀ la sua “campagna di vendita”, proprio dai più̀ fedeli e da quelli che sa (dovremmo più̀ correttamente dire: ritiene), che avranno maggiore facilità nell’inserirli sul mercato. Questo scenario, probabilmente un po’ d’antan, e probabilmente ancora un po’ dei nostri giorni, è noto a tutti e racchiude in sé la quintessenza del “marketing inconsapevole”,   cioè̀ di quel marketing che ogni buon imprenditore fa, talvolta senza sapere di farlo.

Nonostante questa ormai “rodata” modalità̀ operativa, che fa storcere il naso ad alcuni di noi “markettari” di grandi aziende, ma che gli ha consentito di stare sul mercato da oltre vent’anni, questo “immaginario” imprenditore ha un pensiero che lo assilla: i risultati dei suoi collaboratori non lo soddisfano, sono inferiori ai suoi che, essendo “ il titolare”, non si considera un venditore di professione.

Inoltre nota che i suoi clienti lo seguono da quando ha iniziato a lavorare, mentre gli altri cambiano con troppa rapidità̀.

Comprende bene che il mercato è duro e che la crisi è pesante ma, chissà̀ come mai, quando va lui a vendere, le cose cambiano.

Per cercare di aiutarlo a comprendere meglio il perché, proviamo ad analizzare meglio il caso e rispondiamo ad alcune domande che probabilmente alcuni si stanno ponendo:

  •  Quanto sta facendo il nostro imprenditore è sbagliato?
  •  Perché́ i risultati sono così diversi pur avendo tutti un’esperienza similare?
  •  Che cosa potrebbe fare quest’azienda per migliorare le proprie performances?

Alla prima domanda la nostra risposta è immediata: NO.
Secondo noi non è sbagliato ciò che sta facendo ma, altrettanto sicuramente, va modificato significativamente come lo sta facendo.

Sta utilizzando (magari inconsciamente) alcune leve del marketing mix, ma lo sta facendo in modo parziale e senza supporto tecnologico, il che rende difficilissimo mettere al servizio di tutti i collaboratori le informazioni ricevute e, se è vero che le informazioni sono una ricchezza, al momento non le sta sfruttando come dovrebbe e potrebbe.

I risultati purtroppo prescindono dalla semplice colleganza aziendale.

Ogni venditore (in quanto essere umano…) è diverso dagli altri e non tutti sono (anche se magari lo pensano…) competenti allo stesso modo e in grado di gestire una comunicazione di buon livello.

Su questo tema è possibile operare un miglioramento attraverso un chiaro e programmato percorso formativo utile anche a definire una “prestazione standard” al di sotto della quale, per non penalizzare mercato e azienda, non è possibile stare.

Prima di provare a dare qualche suggerimento operativo, e quindi rispondere alla terza domanda, proviamo ad esaminare alcuni principi della gestione.

Per “Fare azienda” è indispensabile “Fare squadra”.

Fare squadra significa lavorare in modo aperto con i colleghi e con il mercato e, per farlo, è necessario prima di tutto comunicare.
Oggi le aziende più̀ evolute, infatti, si rivolgono ai propri clienti e ai propri fornitori definendoli partner aziendali.

I prodotti in portafoglio sono costantemente migliorati grazie all’innovazione delle materie prime o delle lavorazioni; pertanto oggi, a nostro parere, la sfida con il mercato si vince presidiando il territorio.

Sempre più diffusa è la scelta di alcuni venditori di affiancare il titolare del punto vendita che distribuisce i loro prodotti perché, solo così, riescono a comprendere i reali bisogni dei propri clienti (e forse dei clienti dei loro clienti…)

La vendita è il principale obiettivo di ogni azienda e chi non ascolta il mercato è destinato nel tempo a restarne “fuori”.

Beau Toskic dice con efficacia: “Sul mercato o mangi o sei il pranzo…”.

I gusti delle persone cambiano con estrema rapidità anche in funzione dello sviluppo tecnologico cui facevamo riferimento prima; infatti quello che il marketing definisce “il ciclo di vita di un (qualsiasi…) prodotto” si è drasticamente ridotto in termini temporali.

Chi può̀ ancora pensare che il modello xy di una macchina fotografica resti attuale per oltre uno/due anni? L’elettronica evolve quasi settimanalmente e, paradossalmente, proprio quando il livello di vendite dei modelli in produzione è ai massimi storici, arriv il momento di pensare alle novità̀.

La concorrenza non si ferma e, se arriva a “coprire” il mercato anche con uno solo dei suoi prodotti, potrà̀ presto farlo con tutta l’intera gamma, relegando il nostro brand a un “prodotto di nicchia”.

A questo punto, all’imprenditore che ha deciso di fare “marketing consapevole” possiamo proporre alcuni temi sui quali riflettere in fase decisionale e operativa.

1- Conoscenza del mercato.

Conoscere il mercato significa sapere bene chi sono realmente i nostri clienti (acquisiti e/o potenziali).

L’identificazione del target è il primo grande passo da fare e non tutti hanno chiaro questo principio. Non è possibile vendere lo stesso prodotto a tutti. Il tipo di articolo proposto, il livello di prezzo, la comunicazione che lo accompagna e spesso l’offerta ( pensiamo ad esempio ai minimi d’ordine richiesti) segmentano da soli il nostro target.

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La corretta identificazione del target di riferimento

2- Conoscenza del comportamento d’acquisto dei clienti (acquisiti e/ o potenziali)

Esempio di un’azienda produttrice di abbigliamento mare.

  •  Si vendono più̀ costumi da bagno a Viareggio o a Firenze?
  •  Quali tipi di costumi comprano i residenti di Firenze? E in quale periodo?
  •  Quanti ne acquistano mediamente pro-capite in un anno?
  •  Che cosa influenza la loro decisione in fase di scelta? Il prezzo, il modello, il marchio, la vestibilità̀ ….

Abbiamo assistito a una “simpatica discussione” tra il titolare di un noto negozio della città medicea ed un suo rappresentante di costumi perché́, il primo chiedeva di avere in negozio la nuova collezione a fine novembre mentre il secondo (quasi irridendolo) voleva farla arrivare ad aprile/maggio.

Il titolare spiegava che il suo non era un capriccio, ma rispondeva ai bisogni di una clientela facoltosa che per le vacanze di fine anno sceglieva mete esotiche e, quindi, desiderava acquistare il capo all’ultima moda, magari pagandolo un prezzo più̀ elevato, per poterlo sfoggiare nelle spiagge dei VIP.

In questo caso, ad esempio, la data di consegna era più̀ importante del prezzo.

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Perché sceglie il prodotto A ?

3- Acquisire e gestire le informazioni

Non esistono informazioni ” usa e getta” ma solo informazioni “verifica e usa”.

Ogni informazione che arriva dal mercato deve arricchire il nostro database non perché́ le cose restano invariate, ma perché́ è indispensabile capire come si sono evolute.

Il concessionario di auto che crede che quel cliente che quattro anni fa ha acquistato una spider, torni da lui per riacquistarne un’altra, commette un grave errore di presunzione perché́ presume appunto che le cose non siano cambiate.

Non considera che in questi anni questo signore possa essersi sposato e magari, essendo anche diventato padre, necessiti oggi di una station wagon.

Un database va aggiornato costantemente pertanto è necessario gestirlo elettronicamente perché́ consente, con poco investimento di tempo, di fare analisi fruibili da tutta l’azienda, non solo da chi ha acquisito le informazioni.

La gestione del database è fondamentale per varie attività̀ come ad esempio:

  •  Definire il profilo dei clienti.
  •  Verificare quali e quante siano le fasce di clienti che hanno acquistato uno o più̀ prodotti.
  •  Analizzare il livello di penetrazione dell’azienda in termini di copertura del mercato e dei prodotti venduti.
  •  Attivare iniziative di customer care mirate
  •  ………

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La condivisione delle informazioni

Riflettere su questi temi favorisce una più̀ corretta valutazione di quanto si sta facendo e di quanto si potrà ancora fare, fattori indispensabili per definire obiettivi operativi chiari e misurabili.La riflessione genera idee e poiché́ ci piace pensare che “un grande cambiamento nasce sempre da una piccola idea” auguriamo buona riflessione a tutti.

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Antonio DE CAROLIS – Presidente CDVM
Club Dirigenti Vendite e Marketing c/o Unione Industriali di Torino

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L’arte di Innovare se stessi. La passione per il cliente in tempo di crisi

 Il filosofo tedesco Georg Hegel disse: ” Niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della passione.” E noi siamo assolutamente d’accordo con lui

di Antonio DE CAROLIS *

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“Io sono contento solo quando sei contenta tu”, un’espressione sentimentale che probabilmente ci è capitato di utilizzare o quantomeno di sentir pronunciare da altri.Un’affermazione che sintetizza chiaramente la visione di chi ha una passione per un’altra persona. Sì, passione, quell’emozione che oggi sembra mancare a molti ma che forse è solo poco manifesta.

Il filosofo tedesco Georg Hegel disse: ” Niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della passione.” E noi siamo assolutamente d’accordo con lui. Pensiamo all’importanza della passione nel mondo del lavoro e in particolare nell’area commerciale.

Un venditore, ad esempio, è sottoposto quotidianamente a vari stress: l’ambiente in cui opera, il cliente che “non vuole comprare” o che, dopo avere acquistato, non rispetta i pagamenti concordati, il responsabile che “rileva con insistenza quanto manca all’obiettivo”, il marketing che “sforna” sempre altri prodotti per acquisire nuovi target .….

Più volte, ci è capitato di sentire qualche uomo di vendita affermare: “Basta, cambio lavoro! Sono stufo di essere il punch ball del mondo” eppure, il giorno dopo era lì, al proprio posto, pronto ad affrontare ciò che solo la passione può superare, perché essa prevale sull’emotività e dona l’equilibrio necessario per mantenere il controllo e diventare un riferimento per gli altri.

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Verrebbe da chiedersi: ma, passione per chi, passione per che cosa?

Crediamo di poter affermare: passione verso gli altri e verso se stessi.Verso gli altri, perché chi fa il venditore, sa che il cliente è indispensabile quanto il pallone per un calciatore (senza palla non si gioca) e verso se stessi perché questo mestiere può offrire soddisfazioni umane, sociali (ed anche economiche), superiori a quelle di altri.

A un convegno, alcuni giovani neolaureati inseriti nel ruolo di agenti di vendita, raccontavano come si erano avvicinanti a questa professione e, uno di questi, con la franchezza che solo i giovani sono capaci di offrire, ha affermato: “Non trovavo un posto coerente con il mio corso di studi e vedendo sul giornale inserzioni quasi esclusivamente riferite a venditori, ho deciso di provare. I miei genitori non erano molto contenti ma hanno capito subito che sarebbe stata un’esperienza formativa in termini di autonomia e di relazione. Sono passati tre anni da allora e oggi, non cambierei mestiere per niente al mondo”.

Ma chi è questo “personaggio” che non cambierebbe attività nemmeno in un momento di crisi economica? E come fa ad amare un lavoro che tutti i giorni lo porta a sentirsi dire “siamo in crisi, non abbiamo soldi da investire” oppure ” Il suo prodotto non ci serve perché lo acquistiamo già da altri?” Il Professionista della vendita è una persona che dedica molto tempo alla preparazione e all’analisi del mercato in cui opera, perché sa che “essere al passo con i tempi” significa talvolta “essere in ritardo”.

E’ un esperto, che utilizza la tecnologia, per gestire molte informazioni in poco tempo, e le tecniche per comunicare con il proprio interlocutore. Lui sa bene che, prima di ogni cosa, il cliente è un essere umano e, come tale ha bisogno di attenzioni tipiche di una relazione tra individui.

Il venditore con la V maiuscola (è capitato di sentirlo dire dall’Avv. Giovanni Agnelli riferendosi a se stesso) “ama” il proprio cliente perché è realmente interessato a lui e alla sua attività e sa che, per aiutarlo, non è sufficiente “entrare in contatto” ma è necessario “comunicare”.

La passione è il sentimento che “fa muovere” ed elevare il livello della performance perché aumenta le esigenze di performance.Un campione sportivo in allenamento ad esempio, ripete molte volte ciò che “forse” farà in gara. Si racconta che Del Piero battesse oltre 100 punizioni a settimana e che Maradona palleggiasse con un’arancia per accentuare la sensibilità del piede e, quindi, il controllo di palla.

Pensiamo che lo scopo di un professionista, venditore, commercialista, avvocato o calciatore, sia proprio questo: ricerca della prestazione eccellente attraverso la preparazione e l’allenamento. Quando le cose vanno “bene”, ovviamente, l’impegno non pesa ma, quando le cose vanno “meno bene” però, può capitare di fare molta fatica per ottenere poco, quindi lo sforzo va orientato.

Alcuni sono soliti dire: ” Per superare le difficoltà corro di più, sono sempre in giro”. Certo è un buon punto di partenza, ma la domanda è: “Dove corri?” Hai preparato un piano di lavoro “a tavolino” o corri e basta? E se corri e basta, dove stai andando? Altri invece dicono: “Il mercato in crisi chiede molta creatività”.

Ma cosa s’intende per creatività? La creatività, a nostro avviso, è prossima all’invenzione quindi, l’uomo d’affari non inventa, innova. Innova quanto fa per migliorarlo, per renderlo più semplice, più efficace, più comodo o semplicemente meno costoso. Molti miglioramenti nascono dal bisogno, che spesso è il vero propulsore dell’innovazione.

Una recentissima ricerca presentata dai nostri amici di SKILLAB ha rilevato che i fattori scatenanti del processo innovativo sono principalmente: i bisogni del cliente, il sistema competitivo, la crisi, il DNA aziendale e la naturale evoluzione. Vincente sarà chi, prima degli altri, si adeguerà alle situazioni che lo circondano, per accettarle non come definitive, ma come punto di partenza per la ricerca di nuove soluzioni.

La natura offre varie prove di questa teoria, pensiamo ad esempio alle piante di cactus che vivono con un minimo apporto idrico e nutrizionale in zone desertiche o quasi. Oppure pensiamo al mondo animale con l’ornitorinco, del quale Wikipedia, alla voce storia scientifica recita testualmente: Quando l’ornitorinco fu scoperto dagli europei alla fine del ‘700, una pelle fu mandata in Gran Bretagna per essere esaminata dalla comunità scientifica. Gli scienziati inglesi in un primo momento si convinsero che quell’insieme a prima vista bizzarro di caratteristiche fisiche dovesse essere un falso, prodotto da qualche imbalsamatore asiatico. Solo uno studio più approfondito certificò l’ornitorinco come massima espressione di adattamento all’ambiente dettato dalla volontà di sopravvivenza della specie.

Non male come propensione al problem solving !!! L’esempio più elevato, di risultato ottenuto attraverso la passione per il lavoro, ce lo offre però Ovidio, nelle Metamorfosi.

 

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Il libro X narra di Pigmalione, re di Cipro e scultore, il quale si innamorò perdutamente di Galatea, una statua femminile “nuda e in avorio” da lui stesso scolpita. La dea dell’amore Afrodite, colpita da tanta passione, decise di trasformarla in essere umano e concedergliela in sposa. Mitologia, è vero, però ci piace credere che la vera passione possa sempre trovare la giusta ricompensa.

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Un “appassionato” Augurio di Buon lavoroa voi tutti.

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* Antonio DE CAROLIS

Presidente CDVM Club Dirigenti Vendite e Marketing

www.cdvm.it

 

 

 

 

 

Agosto, azienda mia non ti conosco

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Digitalizzazione e ricerca del relax per il manager moderno

di Antonio DE CAROLIS *

parafrasando il vecchio detto popolare: d’agosto amore mio non ti conosco, probabilmente molti di noi ha detto almeno una volta: “Adesso basta, sono in vacanza, stacco il telefonino e lo riaccendo al mio rientro in azienda“.

Quest’affermazione, generata molto probabilmente dall’accumulo di stress nel corso dell’anno, ci ha fatto (secondo noi erroneamente…) pensare che ritornare al tempo in cui gli smartphone non esistevano, fosse la vera soluzione perché, sempre rifacendoci ai detti popolari “Togli il cane ed elimini la rabbia” per dire che per risolvere un problema, basta eliminare la causa.

Fino agli anni novanta, infatti, le attività “di tutti i giorni” venivano gestite quotidianamente (d’altronde erano di tutti i giorni…) in orario lavorativo (per molti di noi, mai inferiore alle dieci ore…) attraverso riunioni, incontri di sottogruppo relazioni scritte e telefonate, spesso lunghissime, quando ci trovavamo in ufficio seduti alla scrivania.

Chi si trovava fuori sede viceversa, si organizzava mettendosi in contatto almeno due volte al giorno con la propria segretaria la quale, ove avesse avuto ancora bisogno di comunicare, utilizzava la reception dell’hotel per lasciare messaggi.

Le cose “urgenti” e le necessità improvvise, invece, ci coinvolgevano “fuori orario” con chiamate telefoniche a casa o, quando “veramente improcrastinabili”, con l’utilizzo di un telegramma. Quest’ultimo, proprio in funzione della tipologia dello strumento, condivisa da un codice non scritto sintetizzabile in: “Da utilizzare solo per casi urgenti e veramente importanti“, generava spesso una sorta d’ansia in chi lo riceveva proprio perché, pur essendo sconosciuto l’argomento sino alla lettura dello stesso, era quasi certamente un problema.

Ricordare queste cose può portare alcuni di noi a chiedersi: “Ma quanti anni ho? Sono un contemporaneo o un personaggio vissuto nel medioevo digitale? C’è stato davvero un tempo nel quale ho vissuto senza questo che, più che un strumento, è una sorta di estensione della mia mano o del mio orecchio?”.

Volendo avere una risposta oggettiva e trovandoci in una località balneare, ci siamo “tuffati nel mare di internet” per verificare quanto la nostra impressione fosse corretta.

Bene, possiamo stare tranquilli, siamo “contemporanei” non “antichi”. Si è trattato solo di un’aberrazione temporale (per fortuna le date non sbagliano …) perché la vita degli smartphone è molto più breve di quanto la nostra mente ci faccia credere.

Escludendo il modello Simon infatti, progettato da IBM nel 1992 e commercializzato da BellSouth nel 1993 (pressoché sconosciuto in Italia), i brand che per primi si sono affermati su scala internazionale con modelli a noi noti sono stati Blackberry nel 2003 ed Apple nel 2007.

Il primo modello della casa canadese, utilizzabile senza l’ausilio degli auricolari, fu il BB 6200 presentato nel 2003 mentre il primo IPHONE è stato presentato “solo” nel 2007.

Il marchio Samsung invece, che oggi potrebbe essere definito il principale competitor di Apple, ha presentato il proprio Galaxy i7500 soltanto a metà 2009.

Sembra passato un secolo ma è trascorso “solo” un decennio, un medio periodo per l’uomo ma quasi un’era geologica per lo sviluppo tecnologico.

La corsa all’utilizzo di questi strumenti, per alcuni cinquantenni di oggi (i baby boomers … come li definiscono le agenzie di marketing) è stato come avvicinarsi alla mitica figura di James Bond, il professionista seduttore noto con il codice 007 al quale il Maggiore Geofrey Boothroyd della M16, nome in codice Mister Q, forniva equipaggiamento e gadget hi-tech a coloro che erano in missione.

A noi del mondo commerciale, il concetto di agente professionista e di missione era (e lo è ancora) molto familiare proprio per i continui spostamenti e per la necessità di organizzare gruppi di agenti di vendita che, definiti Task Force operativa, si muovevano con l’obiettivo di acquisire nuovi clienti sul territorio che, successivamente, sarebbe stato affidato a un agente di zona per il presidio.

Con tutti questi significati, come possiamo pensare che uno di noi si scolleghi dal proprio smartphone che, come abbiamo visto, rappresenta il contatto con il mondo?

Per indagare ulteriormente sul livello di digitalizzazione nazionale, ci siamo serviti di: Digital in 2016: in Italia e nel mondo un’analisi pubblicata su We Are Social Italia wearesocial.com/it/ dalla quale estrapoliamo questi dati:

il 92 per cento della popolazione possiede un qualsiasi telefono mobile

il 62 per cento possiede uno smartphone

il 65 per cento possiede un computer
il 21 per cento possiede un tablet.

Immagine 1 da :Digital in 2016: in Italia e nel mondo

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Di questi,

il 63 per cento è utilizzatore di internet

il 47 per cento utilizza i social network

il 40 per cento si avvale del dispositivo mobile per utilizzare i social network

e , dato importantissimo, la percentuale di utenze mobili ha superato il numero di abitanti (134 per cento) visto che esiste un elevato numero di persone con più di un apparato.

Immagine 2 da :Digital in 2016: in Italia e nel mondo

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Con questi presupposti crediamo sia ormai impossibile immaginare una vita diversa da quella che conduciamo oggi, con reperibilità totale e costante e con uno strumento sempre più polivalente che di fatto è diventato un collega di lavoro, spesso “un po’ invadente”.

Non c’è speranza nemmeno per coloro che, per tutelare il proprio privato, pensano sia sufficiente avvalersi di applicazioni di messaggistica istantanea perché sempre più, le aziende utilizzano questi servizi per comunicare low cost con la propria rete. Un esempio è WhatsApp, adoperato per comunicazioni di testo con colleghi appartenenti allo stesso gruppo, grazie anche ai vari “plus” quali sapere subito se siamo connessi (o fino a quale ora lo siamo stati…), sapere se abbiamo letto i messaggi ricevuti e la possibilità di effettuare e ricevere chiamate audio a costo zero in quanto già connessi ad internet.

Quindi addio privacy ? Purtroppo la risposta è più si che no, anche se, qualcuno potrebbe obiettare dicendo che lo strumento è di per sé neutro, ed è l’uomo a renderlo “piacevole o sgradevole”. Ci spiace dirlo ma, da quanto ci risulta al momento, chi desidera “isolarsi” può farlo solo spegnendo il proprio apparato.

Ma esiste davvero qualcuno che riesce a immaginare una giornata priva di mail, telefonate e internet anche se si trova in vacanza?

Per scoprirlo ci siamo rivolti a “Digital Detox: Unplugging on Summer Vacation,” uno studio condotto da Intel security a marzo 2016 in nove Paesi del mondo su un campione di circa 14 000 persone, di età compresa tra 21 e 54 anni, e pubblicata a giugno 2016.

Questa ricerca offre spunti interessanti per analizzare i comportamenti d’uso in funzione della nazione di residenza, del sesso e dell’età degli intervistati.

Ad esempio, scopriamo che solo il 44 per cento delle donne, rispetto al 57 per cento degli uomini ha dichiarato di volersi scollegare durante le vacanze. Tra le nazioni europee prese in esame, ha dichiarato di scollegarsi il 59 per cento dei tedeschi, il 56 per cento dei francesi, il 54 per cento degli olandesi, il 52 per cento degli spagnoli.

L’indagine afferma anche, per nostro sommo conforto, che solo il 40 per cento degli intervistati tra i 40-50 anni di età, contro il 57 per cento dei Millennials (nati tra il 1980 e il 2004), sarebbero disposti a staccare la spina in vacanza.

Come ben sappiamo tutti, il progresso è inarrestabile quindi ci piace pensare che la strada giusta sia quella di ricercare il proprio relax ed il proprio benessere psicofisico (diremmo anche di quelli che ci stanno vicini…) secondo modalità a noi più congeniali perché le “zone di confort” e i modi per star bene sono differenti da persona a persona e non è detto che, per alcuni di noi, sia più stressante non saper cosa fare sotto un ombrellone in spiaggia anziché scrivere un articolo digitando sulla tastiera del proprio mac stando seduti su un terrazzo con “vista mozzafiato” .

Buona Vacanza a tutti.

decarolis2Antonio DE CAROLIS

*Presidente CDVM Club Dirigenti Vendite e Marketing c/o Unione Industriale di Torino

www.cdvm.it

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Vendere oggi: Cultura della Vendita e cultura degli Acquisti

 

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Tra le opere esposte in passato ad Artissima ci ha colpiti una in particolare denominata “Il macigno della crisi”, affiancata da un cartello che abbiamo denominato “L’arte della vendita e la vendita dell’Arte”. Vendere, si sa, non è mai stata una cosa semplice, neanche nei periodi in cui si acquistava di tutto; chi vendeva aveva vita facile perché, ad esempio, ai tempi della rivoluzione industriale, le aziende dovevano avere un prezzo contenuto e molta disponibilità di prodotto. La massima attenzione era rivolta alla produzione, non certo al consumatore. Il marketing era ancora sconosciuto, anzi, inconsapevolmente misconosciuto.

Per contenere il prezzo era necessario ridurre i costi aumentando la produzione ed eliminando tutte le variabili possibili.

Molti ricorderanno Henry FORD, fondatore della nota casa automobilistica americana, quando diceva: “Tutto ciò che non c’è non si rompe” oppure la ancor più chiara affermazione “Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”.

L’offerta era rigida e la domanda elastica. Il cliente doveva pagare e accontentarsi.

Solo dopo il 1929 s’iniziò a parlare di marketing, quando, cioè, il modello di mercato e la crisi economica avevano riempito i magazzini d’invenduti. Solo allora si cominciò a pensare al compratore in termini di Cliente per arrivare ai giorni nostri in cui la domanda è diventata rigida e l’offerta elastica (il più possibile…).

Questo cambiamento radicale ha stravolto anche il ruolo del Venditore e del Buyer al punto che in alcune aziende il fornitore è definito: “Partner esterno” perché il detto popolare “Chi compra bene vende meglio “ è una realtà quindi, meglio collaborare in una negoziazione win win che contrapporsi.Se saper comprare è necessario, saper vendere è fondamentale perché ancora oggi, in diverse piccole realtà, il fornitore rappresenta un vero e proprio fattore critico di successo.

Ma come si deve vendere quindi e come si deve comprare? Si narra di una trattativa, svolta in un’azienda torinese, andata pressappoco cosi: “Guardi dott. Verdi, disse il venditore dopo aver illustrato la propria offerta, proprio perché è lei e parliamo di quantità importanti, posso farle 50 euro cent a pezzo. La prego di considerare il prezzo non ripetibile e “riservato alla sua azienda”. Il buyer con molta calma disse: “Guardi, le offro 15 euro cent al pezzo ”.

Il venditore sconcertato rispose: “Ma scusi, come può farmi un’offerta simile, io ho detto 50 per accordarle lo sconto che sono certo, mi avrebbe chiesto di lì a poco. Non potrei mai scendere sotto i 40 euro cent”.Il Compratore sorridendo allora disse: ” Ha ragione dott. Rossi ma lei ha dimenticato che, circa sei mesi fa, eravamo entrambi al corso di negoziazione e le tecniche le conosco anch’io quindi, possiamo sederci uno accanto all’altro e trovare la soluzione adeguata.”

Poveri commerciali allora! Se chi compra conosce le tecniche vendere sarà difficilissimo! Niente di più falso. Confrontarsi con persone competenti facilita enormemente l’attività e, riducendo i tempi di trattativa, aumenta la redditività.

Un buyer che ha chiaro ciò di cui ha bisogno, conosce l’offerta del mercato ed è attento a mantenersi aggiornato ascoltando e chiedendo suggerimenti alle aziende, è il partner ideale per un venditore.

Il processo di acquisto e di vendita devono essere assolutamente speculari tra loro. Se il processo di acquisto “standard” è costituito dalle seguenti fasi:

  • Percezione del bisogno
  • Ricerca della soluzione
  • Analisi e Valutazione delle soluzioni
  • Presa della decisione

Il Processo di Vendita deve necessariamente prevedere queste fasi:

  • Analisi dei bisogni
  • Proposta delle soluzioni
  • Superamento delle obiezioni
  • Chiusura

Il vero problema purtroppo è che fra i tantissimi Compratori e Venditori professionisti ci sono alcuni che, pur avendo capacità straordinarie, sono “fuori ruolo”.

Pensiamo ad esempio a chi basa la scelta solo sul prezzo per dire” Ho fatto il 5% di saving” o a chi vende un prodotto inadeguato giusto per “fare l’ordine”.

Questi sono lavori non adatti a tutti. Ecco un paio di casi realmente accaduti sui quali riflettere.

Il primo riguarda una persona con esperienze da libero professionista incontrata prima delle vacanze estive. Diceva di sé: “ Amo parlare con la gente e risulto spesso simpatica. Chi mi conosce mi segue. Potrei vendere mia madre tanto sono convincente”. Dopo due mesi, alla domanda: “Allora come va? Come si trova nel mondo delle vendite?” rispondeva: ” Non credevo fosse così difficile. La gente si lamenta di tutto e non vuole spendere ….”.

Il secondo caso invece riguarda il consultant cinquantenne di un noto brand italiano che, in un momento di sfogo ci ha detto: ” Faccio questo lavoro da oltre 20 anni e forse, non era proprio quello che desideravo.

Ho sempre guadagnato bene e lavoro in ambiti molto qualificati oggi però, non riesco più a sopportare le lamentele della gente e fatico il doppio per mantenere elevati i miei guadagni ”.

Queste affermazioni fatte, in totale buona fede, ci riconfermano quanto già detto e cioè: La facilità nei rapporti e la buona “parlantina” non sono sufficienti, occorre molto di più.

Avere un mandato di vendita non significa essere un buon venditore, ci sono squadre di serie A e di serie B. La differenza non sta solo nella maglia ma, soprattutto nei giocatori.

Se qualcuno pensa di essere bravo solo perché opera per una grande azienda si sbaglia.

Abbiamo conosciuto venditori di brand importanti poco abili nella vendita perché non hanno mai “dovuto vendere”. Sono i loro clienti che hanno comprato grazie ad una sapiente campagna di comunicazione o a una brillante iniziativa di marketing. I vantaggi offerti dal grande marchio devono servire a ottenere performance superiori alla media. Limitarsi a ”fare il compitino” ci porterà sino a un certo punto poi, ci bloccheremo inevitabilmente. Meglio allora performare bene in una piccola azienda perché saremo destinati a crescere.

Il successo professionale però, in questo mestiere come in molti altri, richiede anche la capacità di gestire aspetti psicologici che spesso sono sottovalutati.

Un atteggiamento positivo ad esempio, è indispensabile e, quando le cose vanno bene, è semplice averlo. Riuscire a considerare i momenti di difficoltà come passeggeri e legati al momento lo è invece molto meno.

Dice il maestro ZEN: “Ogni cosa intorno a noi è in continuo cambiamento. Ogni giorno, il sole splende su un nuovo mondo. Ciò che chiamiamo routine è piena di nuovi propositi e opportunità. Ma noi non percepiamo che ogni giorno è differente dagli altri. Oggi, da qualche parte, un tesoro ti aspetta. Può essere un breve sorriso, può essere una grande vittoria , non importa”.

Oltre alla visione positiva è necessario resistere allo stress e per farlo dobbiamo avere quella che in psicologia, mutuando un termine che nella metallurgia indica la capacità di un materiale di reagire alle sollecitazioni, viene definita: Resilienza Psicologica.

Motivazione, convinzione, concentrazione e resilienza psicologica, cose che abbiamo dentro di noi ma che dobbiamo verificare e gestire quotidianamente.

Concludendo mi permetto di parafrasare Pietro Trabucchi che si occupa di resistenza nella prestazione sportiva ed è stato psicologo della squadra Italiana di sci di fondo alle Olimpiadi di Torino 2006.

Chi è motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato riesce a vedere i problemi come opportunità e, contrariamente alla principessa della favola di Hans Christian Andersen, riesce a dormire anche con la noce di cocco sotto il materasso.

 

De-Carolis

 

ANTONIO DE CAROLIS

(Presidente CDVM − Club Dirigenti Vendite e   Marketing)

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Dal vinile al cloud, dal venditore di almanacchi all’advisor

L’evoluzione del marketing

vinile

di Antonio DE CAROLIS*

 

Mattiniero lo sono sempre stato ma con il tempo tendo a svegliarmi sempre prima. Non so se, come dice una ricerca effettuata dall’Università di Toronto, “chi si alza presto dal letto, ha più energie ed è più resistente agli stress della giornata” o semplicemente come diceva mia nonna: I giovani dormono di più.

Mi piace pensare che il mio cervello ami essere subito lucido e presente e per farlo mi svegli nella fase REM così da permettermi di ricordare e costruire idee nuove. Questa banale analisi che può accomunare alcuni di noi, mi ha fatto riflettere sui cambiamenti, sulle evoluzioni.decarolis

Un uomo di marketing deve essere innanzitutto un buon osservatore e solo dopo può liberare i pensieri dando spazio alla creatività (sempre ammesso che l’abbia). Come sono solito dire: Dio ci ha dato due orecchie, due occhi e una bocca, usiamole rispettando queste proporzioni. Parlando di evoluzione, chi di coloro “che si svegliano presto “ non ricorda i dischi in vinile, i 45 giri (i primi avevano una canzone su una facciata), i 33 giri o LP. I nostri nonni li ascoltavano in casa attraverso il grammofono, i nostri genitori li portavano fuori di casa ascoltandoli su mangiadischi coloratissimi in pura plastica e noi li ascoltavamo su potenti HI FI con enormi cuffie auricolari. I dischi in vinile lasciarono il posto alle musicassette che contenevano da 20 a 40 canzoni a seconda della lunghezza dei brani e dell’ uso di cassette C60 – C90 o C120. Tante canzoni tutte assieme diventavano colonna sonora dei nostri viaggi perché garantivano fino a 2 ore di intrattenimento propagato da quel grandissimo strumento di aggregazione che era l’autoradio. Se ne trovavano di ogni tipo, dalle più economiche Inno Hit o Majestic alle top di gamma Alpine Pioneer e Sony. All’inizio, le più economiche erano fisse e le più sofisticate erano “trasportabili” con un ingombro simile a quello di un mangiadischi ed un peso di un paio di chili. Chiunque poteva soddisfare il piacere di ascoltare musica scegliendo secondo possibilità.

Più volte mi capitò di vedere mie coetanei trasportare autoradio del valore doppio dell’auto sulla quale erano montate. Tutta “colpa del marketing” e della sua abilità di comunicare perché le cose, quando vengono dette nel modo giusto, fanno emergere i bisogni latenti di ognuno di noi. La responsabilità maggiore però è di “quelli del commerciale” che, sembra quasi vengano a cogliere i frutti del lavoro di questa opera psicologica: VENGONO A SODDISFARE BISOGNI. Molti di noi ricorderanno l’opera scritta da Leopardi nel 1832 “DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE” nel quale un venditore di almanacchi e lunari, riusciva a vendere speranza alla gente attraverso un semplice calendario. Sì, avete letto bene, vendeva speranza, non almanacchi.Forse neanche lui si rendeva conto di ciò ma, aiutava le persone ad andare oltre, portandole dalle delusioni e i dispiaceri della vita vissuta verso la speranza. A farglielo comprendere fu proprio quel casuale passante che, con intelligenza e cultura l’aiutò a prendere coscienza che lui vendeva in realtà ottimismo e futuro e, Il futuro è attraente perché lo prefiguriamo con l’immaginazione proiettandoci in avanti e dando vita alle nostre speranze e alle nostre aspettative. I Professionisti della Vendita, (molti di essi oggi vengono definiti Advisor proprio perché prima di proporre qualsiasi cosa hanno lo scopo di capire il proprio interlocutore) sanno bene cos’è un desiderio d’acquisto, proprio come tutti noi sappiamo riconoscerlo in noi stessi quando abbiamo deciso di comprare qualcosa. Tecnicamente, il desiderio d’acquisto è “la differenza tra lo stato attuale e lo stato desiderato” e questo non sempre è già palesato in noi ma, tutti lo abbiamo. E’ una questione di visioni. Visioni sulla nostra vita. Nessun venditore professionista venderà mai qualcosa che non ci serve, ma ci aiuterà a capire cosa “stiamo cercando” diventando, di fatto “un facilitatore”, il nostro facilitatore. Per questo oggi vendere significa sempre più “diventare partner del nostro cliente”. Per fare questo però occorrono competenze tecniche e abilità negoziali oltre a grandi capacità relazionali e comunicative. Chi conosce bene solo il proprio prodotto è un presentatore. Come ho avuto modo di affermare in più occasioni, è destinato a combattere contro un competitor instancabile che opera 365 giorni su 365 e 24 ore su 24 fermandosi quando vuoi e riprendendo quando lo richiedi: Internet. Henry Ford diceva: “Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero” quando nel 1908 produsse la Ford T, la mitica Lizzie come la chiamavano gli americani.

Ford T
La Ford T

Il Marketing a mio avviso, ha esattamente questa mission: essere un recettore sul mercato per comprendere in anticipo i possibili scenari futuri che scaturiranno dal contesto e dai comportamenti attuali. Un uomo di marketing vive nel mercato.

Il mercato inun quadroespostoalla Galleria Sabauda (Torino)
Il mercato in un quadro esposto alla Galleria Sabauda (Torino)

Come abbiamo visto, l’evoluzione tecnologica ci ha portato ad ascoltare la musica passando dal vinile e arrivando al cloud . La musica è il bisogno, il cloud lo strumento. Il marketing ha seguito lo stesso percorso di crescita, ha colto i bisogni passando attraverso i venditori di almanacchi e arrivando al marketing digitale. L’evoluzione del marketing non può essere distaccata dall’evoluzione del sociale, della tecnologia, dei gusti e dei modi di comunicare della gente comune. Siamo nell’era dei social network, tutti vengono valutati in termini di followers , di quanti hanno cliccato I LIKE IT sul loro profilo.

Piramide di Maslow
Piramide di Maslow

Non soddisfare i bisogni del mercato ma solo i propri, significa trasgredire al grande valore  sociale della vendita perché se qualcuno un giorno non avesse proposto a una casalinga di  “soddisfare il suo bisogno di organizzazione domestica riducendo le attività pesanti che  avrebbero nel tempo logorato le sue mani e la sua schiena”, oggi non avremmo le lavatrici  nelle nostre case. Chi propone lavatrici ha più difficoltà di chi vende “organizzazione e salute” e questo  dovremmo comprenderlo bene tutti perché, che ci piaccia o no, siamo tutti venditori.

Presidente CDVM – Club Dirigenti Vendite e Marketing

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Il Valore sociale della vendita

Non vogliamo esprimere giudizi, ma solo evidenziare il fil rouge che unisce tutte WEB AGRIle possibili affermazioni e cioè “Vendere significa comunicare per generare azioni”

di Antonio De Carolis

(Presidente Club Dirigenti Vendite & Marketing)

www.cdvm.it

La vendita è quella cosa che tutti fanno dalla nascita e che spesso neghiamo di fare. Ma cosa significa vendere?

Ognuno di noi potrebbe dare una risposta diversa e probabilmente si muoverebbe tra le accezioniDe-Carolis positive quali: “trasferire qualcosa a qualcun ‘altro” e “offrire qualcosa dietro un compenso” a quelle più negative come: “Convincere qualcuno a fare qualcosa anche se non vuole farlo“ oppure ”Far comprare ad altri qualcosa che vogliamo vendere”.
Non vogliamo esprimere giudizi, ma solo evidenziare il fil rouge che unisce tutte le possibili affermazioni e cioè “Vendere significa comunicare per generare azioni”.

La vendita, infatti, stimola azioni da parte del mercato e, tutte le aziende, grazie alla forza ed alla credibilità del proprio brand generano comportamenti diversi in funzione di ciò che, attraverso i vari media, comunicano.

Questo è il principale motivo per il quale oggi si parla di Responsabilità Sociale delle Imprese e delle organizzazioni (spesso viene utilizzato l’acronimo inglese CSR, Corporate Social Responsibility) perché le scelte che facciamo, per generare ricavi, devono prendere nella giusta considerazione anche gli effetti meno positivi (talvolta negativi) della scelta stessa. E’ un po’ quello che succede quando leggiamo i “bugiardini” inseriti nelle confezioni dei medicinali: troviamo Indicazioni e Controindicazioni, a noi la decisione.

Chi si occupa di marketing e vendita oggi non può non tenerne conto nello svolgimento della propria attività. Oggi, chi vende deve necessariamente essere o diventare un professionista perché i suoi comportamenti impattano in modo importante sul sociale.

Sono finiti i tempi in cui si proponeva tutto a tutti: i clienti hanno bisogno di soluzioni mirate alla loro realtà e ai loro specifici bisogni. Solo tenendo conto di questo chi vende diventa partner, e può seriamente incidere sui risultati attesi dal proprio interlocutore. Tutto ciò, secondo noi, è quanto da subito si può fare in termini di sostenibilità.

Alcune statistiche dicono che un cliente soddisfatto parla bene di noi con altre 7 persone mentre, l’insoddisfatto ne parla con altri 27. Diventa pertanto fondamentale avere una visione chiara dell’attività, perché questa genererà comportamenti adeguati e, di fatto, farà trasparire in modo evidente la nostra mission.

Volendo fare un esempio, potremmo dire che la vision di una compagnia di assicurazioni non può essere “vendere il più alto numero di polizze possibili” ma “offrire garanzia e assistenza al più alto numero di persone che si trovano in difficoltà a seguito di un evento imprevisto”. La mission, quindi, non sarà vendere polizze, ma aiutare persone in stato d’improvvisa e imprevista necessità.

Pensare in modo sostenibile può sembrare “pesante” ed evocare in noi la logica dello “sforzo”; fa pensare al titano ATLANTE che sosteneva la Terra sulle proprie spalle. Proviamo, allora, a proporla e proporcela “alla francese” trasformandola quindi in “sviluppo che dura nel tempo” (per i cugini d’oltralpe development durable) così tutto diventa più semplice, perché è un po’ quello che facciamo tutti i giorni: gestiamo le nostre energie.

Le energie possono essere di tipo fisico (il velocista non può ”sprintare” tutta la gara), di tipo economico (spendo tutto lo stipendio mensile nei primi 5 giorni) e di vario altro genere (le parole generano energia in chi ci ascolta). Le energie sono il nostro vero patrimonio e, si sa, il patrimonio va gestito, per noi stessi e per chi verrà dopo di noi.

Avere una vision corretta ed attuale semplifica, crea motivazione e rende positivi perché, come diceva Al Gore: La disperazione non serve a nulla quando la realtà offre ancora margini di speranza.

www.nonsoloambiente.it