FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Omar al Bashir, l’icona del terrore, un presidente dittatore che ha dominato con il pugno di ferro per 30 anni il Sudan e che si è reso responsabile, con le sue terribili milizie, di crimini orrendi contro i sudanesi. Un tiranno, che dopo aver preso il potere nel 1989 con un colpo di Stato, ha regnato con le mani sporche di sangue nel nome di un islam integralista e radicale
Per tre decenni ha represso duramente gli oppositori e ha sterminato la popolazione del Darfur eliminando circa 400.000 civili. Pochi ricordano la tragedia e la pulizia etnica del Darfur. Regione del Sudan occidentale, nel deserto del Sahara, il Darfur, dal 2003 al 2010, è stato teatro di un tragico conflitto tra gli arabi e i neri africani che sono la maggioranza nell’area e sono combattuti dal regime. La situazione è peggiorata con la comparsa delle feroci milizie islamiste Janjawid reclutate dal dittatore al Bashir e scagliate contro i neri del Darfur. Fu una carneficina con centinaia di migliaia di morti e tre milioni di profughi. Il regime di Khartoum intervenne direttamente nel conflitto aiutando i miliziani arabi con raid aerei e fornendo loro armi, mezzi militari e denaro. Per tutti questi motivi, al Bashir, ora ex presidente deposto dai militari, è ricercato e accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aja di genocidio, di crimini di guerra e di continue violazioni dei diritti umani. È sempre riuscito a farla franca grazie al sostegno di altri dittatori africani e dell’appoggio della Russia, dell’Iran, di Qatar e Turchia e della Cina a cui vende molto petrolio. Ma il Sudan di al Bashir e del suo fedelissimo Hassan al Turabi, leader politico e religioso del Fronte islamico nazionale e ideologo dei Fratelli Musulmani sudanesi, è uno Stato sponsor del terrorismo. Al Bashir e al Turabi (morto tre anni fa) radicalizzano il Paese imponendo la stretta osservanza della Sharia (la legge coranica) e spalancano le porte ai membri di al Qaida e a gruppi fondamentalisti provenienti da vari Paesi islamici. Le inchieste condotte dopo i primi attentati terroristici nel 1992-93, attribuiti ai seguaci di Bin Laden a Mogadiscio e nello Yemen, hanno rivelato che alcuni estremisti sono arrivati dai campi di addestramento qaedisti in Sudan.
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Al Bashir ospitò con tutti gli onori Osama bin Laden nei primi anni Novanta, proveniente dall’Arabia Saudita, suscitando l’ira di Bill Clinton che non perse tempo a mettere il Sudan nella lista nera del terrorismo internazionale e a imporre l’embargo al Paese africano, grande otto volte l’Italia e diviso tra il nord arabo-islamico e il sud cristiano e animista. Le insistenti pressioni saudite e americane costrinsero il capo di al Qaida a lasciare il Sudan per rifugiarsi in Afghanistan. Lo scontro tra Washington e Khartoum si inasprì nel 1998 quando un commando qaedista, partito dal Sudan, colpì le ambasciate americane a Nairobi in Kenia e a Dar al-Salam in Tanzania (234 morti). Come ritorsione Clinton ordinò un raid aereo contro una fabbrica di farmaci, presso Khartoum, che secondo la Cia era un centro per la produzione di armi chimiche. Ma le attenzioni degli americani si sono presto concentrate anche nel sud del Sudan dove da vent’anni era in corso una guerra per il controllo dei pozzi petroliferi tra il regime islamista di Khartoum e i ribelli cristiani delle province meridionali. Alla fine degli anni Novanta il Congresso americano condannò il governo di al Bashir per i massacri compiuti dai militari di Khartoum nel Sudan meridionale. Il conflitto terminò nel 2005 e, dopo un’autonomia di sei anni che l’uomo forte sudanese fu costretto a cedere, il 9 luglio 2011 nacque con un referendum il Sud Sudan che si portò via il 70% delle ricchezze petrolifere impoverendo il nord. I due Stati sono rimasti legati, per interessi economici, anche dopo la separazione avvenuta otto anni fa ma la speranza di veder crescere una nuova nazione in pace è naufragata con lo scoppio di una guerra civile scatenata dai nuovi leader del Sud Sudan. Con 300.000 morti e due milioni di profughi il giovane Stato deve affrontare una gravissima crisi umanitaria. Secondo le agenzie dell’Onu sette milioni di sud-sudanesi sono denutriti tra cui quasi un milione di bambini sotto i cinque anni. Ecco dunque la parabola del dittatore al Bashir, 75 anni, destituito dall’esercito su pressione dei manifestanti. Il 19 dicembre scorso centinaia di persone si sono riversate nelle strade di città e villaggi per protestare contro il prezzo triplicato del pane costringendo Bashir a dichiarare lo stato di emergenza. Il 6 aprile migliaia di sudanesi sono tornati in piazza a Khartoum per chiedere libertà e riforme profonde e l’11 aprile al Bashir si è dimesso mentre i suoi ministri venivano arrestati. Khartoum comunica che al Bashir non verrà consegnato alla giustizia dell’Aja in caso di richiesta della Corte europea che ha spiccato nei suoi confronti diversi mandati di cattura internazionale.
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L’opposizione chiede una vera svolta democratica e accusa i militari di riprodurre con nuovi volti il vecchio regime. La forte volontà di cambiare il Paese non ferma i sudanesi che hanno ottenuto la rimozione del nuovo premier Ibn Auf, stretto collaboratore di Bashir e responsabile, insieme al dittatore, dei massacri in Darfur. Il nuovo leader provvisorio è il generale Burhan, un ufficiale più rispettabile, che guiderà una fase di transizione di due anni, senza elezioni. Cercherà di ricucire il dialogo con i manifestanti, riportare ordine nel Paese e gestire le eventuali conseguenze del golpe di Khartoum sull’accordo di pace nel Sud Sudan firmato il 12 settembre 2018 ad Addis Abeba dai due leader antagonisti, il presidente Salva Kiir e il capo ribelle ed ex vice presidente Riek Machar, ai quali Papa Francesco, con un gesto simbolico e storico, ha baciato i piedi in Vaticano nella speranza di rinvigorire l’intesa. La breve storia del giovane Stato si incrocia con quella del Sudan perchè il presidente Omar al Bashir, interessato al petrolio del sud, è stato il garante della pace nel Sud Sudan andando nella capitale Juba per convincere le due parti in lotta a fermare la guerra. Dopo Bouteflika in Algeria e Mugabe nello Zimbabwe scende dal trono anche Bashir. Tramonta un’epoca sulla nazione dei leggendari Mahdi e Gordon Pascià ma è probabile che finchè ci sarà un regime militare la situazione non cambierà molto. Il futuro è denso di incognite e la democrazia può aspettare.
dal settimanale “La Voce e il Tempo”