FOCUS di Filippo Re
Meglio Bashar al Assad o un finto califfo sul trono di Damasco? Il presidente siriano è davvero il male minore per il futuro della Siria? Se guardiamo queste fotografie si direbbe proprio di no. È più feroce e brutale il leader dell’Isis o il giovane rais che sta riconquistando il suo Paese, legittimato almeno da una parte della comunità internazionale. Le stragi e le orrende decapitazioni dei tagliagole del Daesh le abbiamo viste spesso in tv o su internet all’ora di cena, quasi in diretta, ma i massacri del leader siriano contro la sua gente non li abbiamo mai visti. Ora queste crude e agghiaccianti fotografie stanno facendo il giro del mondo. Fino al 17 ottobre si possono vedere anche a Torino. Forse sarebbe meglio non vederle, di atrocità ne vediamo abbastanza ogni giorno, ma farle passare in silenzio sarebbe ancora più grave. “Le immagini esposte potrebbero urtare la vostra sensibilità…” c’è scritto sulla locandina della mostra, quindi siamo tutti avvisati, e noi ne presentiamo solo alcune. Migliaia di siriani sono stati impiccati negli ultimi anni nelle prigioni di Damasco, in particolare in quella di Saydnaya. Un recente impressionante rapporto diffuso da Amnesty Internazionale ha rivelato come dal 2011 al 2015 il governo siriano abbia organizzato una sistematica campagna di esecuzioni mediante impiccagioni di massa. Almeno una volta alla settimana gruppi composti da decine di detenuti venivano presi dalle loro celle e impiccati. In cinque anni le vittime di queste impiccagioni sono state circa 13.000, tutti oppositori del regime che dovevano sparire in segreto. Il rapporto, dal titolo “Il mattatoio di esseri umani: impiccagioni di massa e sterminio nella prigione di Saydnaya”, denuncia anche le condizioni inumane di detenzione all’interno del carcere, tra cui torture e mancanza totale di acqua, medicinali e cure mediche. Questa politica di sterminio ha causato la morte di tantissimi detenuti. Non ci sono più dubbi. L’orrore descritto nel rapporto rivela una mostruosa campagna di sterminio, autorizzata dai livelli più alti del governo siriano, destinata a stroncare ogni forma di dissenso. “Il mio compito era documentare la morte” afferma Caesar. Caesar è lo pseudonimo assegnato a un ex ufficiale della polizia militare siriana che disertò nel gennaio 2014, riuscendo a portare all’estero migliaia di fotografie che documentano la morte e le torture subite dai detenuti nelle carceri di Assad. A fotografare era lo stesso Caesar, incaricato dal regime, assillato dall’idea di certificare ogni cosa, anche le persone che faceva impiccare in galera. Caesar scrive: “facevo delle pause per trattenermi dal piangere ma ero terrorizzato. Pensavo che questi corpi potevano essere quelli di mio fratello o delle mie sorelle. Un giorno un collega mi ha detto di aver fotografato, per conto del regime, i corpi di alcuni civili. Li hanno calpestati con i loro stivali urlando insulti indicibili”. Una commissione internazionale di giudici ha attestato l’autenticità delle fotografie dichiarando che potranno essere usate in un eventuale processo per crimini contro l’umanità nei confronti di Assad e del suo regime. Le fotografie sono state già viste al Palazzo di Vetro dell’Onu di New York e in numerose città europee. L’esposizione “Nome in codice, Caesar” è ospitata dalla Fondazione Vera Nocentini al Polo del ‘900, in via del Carmine 14 a Torino, fino al 17 ottobre, da lunedì a domenica ore 10.00-20.00 ed è promossa da Amnesty International e dalla Focsiv-volontari nel mondo.