di Pier Franco Quaglieni
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L’8 marzo sotto la Mole viene festeggiato spesso con manifestazioni poco convincenti, anche se, di fronte alla crisi economica sempre più incalzante , la soluzione del problema della pari opportunità di genere appare sempre più distante. L’art. 3 della Costituzione sembra essere diventato , per certi versi, solo una dichiarazione di principio. Tante donne torinesi, per trovare un lavoro adeguato, sono dovute emigrare all’estero. Una docente di medicina molto apprezzata a Torino si è trasferita in Francia, altre donne in Inghilterra, altre ancora negli Stati Uniti. Una giovane laureanda in Lettere ha fatto il salto e adesso conclude i suoi studi a Bonn, avendo prospettive di lavoro in Germania. Negli anni 70 il femminismo torinese scatenò la sua rabbia, sicuramente anche giustificata, ma finì per logorare la sua stessa immagine, forse senza volerlo. Dello spirito di quei tempi sopravvive infatti molto poco. Ho assistito a Torino alla marcia in rosa di domenica scorsa: mi è sembrata una passeggiata con tanti palloncini ma con scarso senso partecipativo. Gente che camminava, non gente che avesse intendimenti specifici da manifestare e lo stesse facendo .
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Ricordo un 8 marzo di qualche anno fa di aver presenziato ,c on un fastidio crescente, ad un penoso evento organizzato presso il Circolo dei lettori di Torino: un gruppo di donne leggeva brevi passi di scrittori e testi storici, a partire dalla Bibbia ,per giungere a San Paolo, a S. Agostino, a S. Tommaso ,con l’intento di dimostrare la visione violenta del rapporto uomo-donna che emergeva dalle letture antologizzate. Alla fine chiesi la parola e dissi che mi sembrava gravemente scorretto usare brevi citazioni decontestualizzate dai testi di origine e anche dal tempo in cui essi vennero scritti, per catalogare autori dal pensiero complesso in banali sostenitori di una visione maschilista della vita. Pensatori come Sant’Agostino con cui hanno fatto i conti credenti e non credenti, non possono essere utilizzati in modo così banale. Fu una serata torinese da dimenticare, specie se ricordiamo che, a fianco di molti testi letterari e religiosi cristiani, non venne citata neppure una parola del Corano e della cultura araba in generale che certo non brillano per il loro “femminismo”. Si trattò di una vera e propria mistificazione storica, giustificata implicitamente dal solito , stucchevole “politicamente corretto” che in certi ambienti è la regola a cui attenersi.
Creai imbarazzo in sala, ma battersi contro la violenza nei confronti della donna non può prescindere dal denunciare anche la visione che ,nella quasi totalità del mondo arabo ,caratterizza il rapporto uomo-donna. Da anni non partecipo a manifestazioni per l’8 marzo. Condivido i principi, ma dissento dai modi. E certo non è un mazzolino di mimosa a fare la differenza tra il 7 o il 9 rispetto al mitico 8 marzo. Ho letto di una giornalista che, tra il serio e il faceto (spero per lei che volesse soprattutto richiamarsi al faceto), ha denunciato la situazione delle donne nei giornali ,invocando quote rosa. Mi pare che neppure in politica le quote rosa abbiano funzionato, figurarsi nel mondo dell’informazione dove ci vogliono capacità di analisi e di scrittura che prescindono dal sesso. Quest’anno ho voluto comunque dedicare qualche ora ai temi della donna, senza partecipare a manifestazioni istituzionali da cui abitualmente mi tengo lontano. Occupato a Biella per un’altra iniziativa, sono andato al santuario di Graglia, dove una storica dell’arte molto nota ,quanto libera e indipendente, ha realizzato una mostra davvero significativa. Mi riferisco a Claudia Ghiraldello,autrice di decine di opere nel campo della critica e della storia dell’arte.
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Si tratta della mostra di pittura di una giovane artista biellese,Emmanuela Zavattaro, dal titolo “Anime a colori”. Una realizzazione di due donne e dedicata alle donne. Come ha scritto la curatrice Ghiraldello, “l’indagine di Emmanuela non è solo mero esercizio di virtuosismo tecnico. E ‘ molto di più. E’ una sorta di denuncia della società d’oggi, troppo spesso lontana dalle esigenze delle donne”. Ma non è una denuncia urlata. La Zavattaro ritrae spesso la donna da sola ,ma c’è anche una parte della mostra dedicata al rapporto uomo-donna . Certo, non mancano le doverose denunce sulla violenza di cui sono vittime le donne e basterebbero i tanti uxoricidi, per non parlare delle violenze domestiche, a dimostrare la necessità di prendere posizione ,anche attraverso l’arte, su queste nefandezze che pongono in dubbio l’esistenza stessa di una civiltà. Le donne di Emmanuela sono però positive,” anime a colori” capaci di reagire alle avversità della vita . In quelle opere si può vedere come il rapporto uomo-donna si completi a vicenda. Può sembrare una cosa ovvia, naturale, ma spesso questa verità per ragioni del tutto ideologiche, non viene oggi colta abbastanza.
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Un rapporto che parta dalla parità uomo/donna (e non dall’impossibile eguaglianza ,se non nei diritti ) e quindi dal rispetto che si deve all’altra/o può radicarsi e vivere anche oggi. Ed è quello della maggioranza delle coppie. Un aspetto che forse viene ignorato a vantaggio di una verità ,certo ben presente, che balza in maniera evidente all’occhio. Il femminismo rabbioso degli anni 70 di tante femministe torinesi ha lasciato solo macerie anche nella vita di quelle stesse persone. Ricordo una professoressa torinese tanto rabbiosa in quegli anni, quanto diventata conservatrice oggi. Con le sue azioni di ieri si condannò alla solitudine di oggi. Di diverso significato è il film”7 minuti” di Michele Placido che l’8 marzo la Regione Piemonte dedicherà alle donne che lavorano. E’ la storia di un’azienda tessile italiana che viene venduta ad una multinazionale con tutte le conseguenze che può comportare e che colpiscono in primis le donne, ma non soltanto loro. La proiezione del film in più località piemontesi sarà l’occasione anche per affrontare in modo concreto il tema del lavoro femminile, confrontandosi con la drammatica situazione dell’economia piemontese ed italiana. Senza inutili e retorici discorsi, riflettendo se e come si possa uscirne.