Nuovo allestimento per le collezioni del Contemporaneo
Il nuovo percorso, allestito nel seminterrato del Museo di via Magenta a Torino, inizia sotto il segno dell’ “essenzialità”, ben accompagnato a un’attenta riflessione, da parte degli artisti esposti in rassegna, su quanto s’è macinato e tramandato nei secoli a partire dalle origini del fare arte. Il primo impatto, allusivo quanto basta per agitare i più vivaci neuroni della mente e gli impulsi più segreti dell’emozione, è con i “grandi ferri” (“Archeologia” del ’78) di Giuseppe Spagnulo che sanno di fucina e altiforni – prodotti fianco a fianco con gli operai – il cui sviluppo pavimentale ricorda per certi versi il Minimalismo americano e che, sul piano scultoreo, sembrano la risposta alle “Macchie” (1969-’70) di Marco Gastini, cui l’artista torinese “aveva affidato la rigorosa bidimensionalità della pittura astratta”. Accanto, la tela bianca su tela grezza (“Senza titolo” del ’66) del genovese Giulio Paolini e quelle di Claudio Olivieri e Claudio Verna affidate in toto all’avventura di cromie quali elementi fondanti e primari del far pittura, alla stregua dei gesti scultorei – e dichiaratamente scultorei – alla base delle opere di Marisa Merz e di Alighiero Boetti, nate “da materiali non tradizionali piegati a volumetrie antiche”. Di origini ancor più remote ci parla poi l’“Impronta del pollice” del ’68 di Giorgio Griffa, dove il gesto ripetitivo si fa scrittura, diventa racconto affine per certi versi alla suggestione di millenarie pitture rupestri. Otto artisti, questi appena menzionati, assemblati in quella che possiamo definire la prima di sette sezioni in cui si articola il nuovo allestimento – curato da Elena Volpato – delle Collezioni del Contemporaneo della GAM, presentato il 15 febbraio scorso e prima edizione di un programma di diversi ordinamenti che si succederanno su base biennale. Ventitré sono gli artisti selezionati in quest’occasione, tutti operanti fra gli anni Sessanta ed Ottanta, tutti nati in Italia o che l’Italia scelsero quale Paese d’elezione. Una trentina le opere esposte, provenienti interamente dalle Collezioni del Museo, cui s’assomma un’interessante selezione di “Libri d’artista” arrivati grazie al contributo della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea – CRT, cui si deve anche la recente acquisizione delle due opere esposte di Marco Bagnoli, “Vedetta notturna” del 1986 e “Iris” (racconto del cosmo proiettato verso l’infinito) dell’’87. Mentre “Animale terribile” (1981) di Mario Merz e “Gli Attaccapanni (di Napoli)”– scultura di luce e colore – di Luciano Fabro, appartengono a un ristretto gruppo di lavori provenienti dalla Collezione Margherita Stein e affidati alla comune cura della GAM e del Castello di Rivoli. Sottolinea la curatrice: “Alcuni degli artisti qui rappresentati sono legati alle vicende dell’Arte Povera, altri a quelle della Pittura Analitica. Altri ancora, dopo una stagione concettuale, hanno trovato nuove ragioni per tornare a riflettere su linguaggi tradizionali e su antichi codici espressivi”. A tenerli insieme non è solo un fatto di mera cronologia, ma la constatazione che “in tutti loro c’è più personalità e indipendenza di quanto le ragioni di un raggruppamento o le linee di tendenza del mondo dell’arte possano dire”. Indipendenza e singolarità che appaiono ben chiare, proseguendo il percorso, nelle opere di Pier Paolo Calzolari e di Giovanni Anselmo, da sempre esponenti di punta dell’Arte Povera, ma narratori concettualmente lontani e ben diversi, pur partendo da un comune rettangolo di tela bianca. Così come Paolo Icaro poeticamente attratto dalla matrice metafisica del gesso ed Eliseo Mattiacci che, con la sua “Cultura mummificata”, mette in scena libri illeggibili, resi tali dall’antica tecnica scultorea del calco. A proseguire, ci s’imbatte in “Ab Olympo” di Claudio Parmiggiani di effetto trompe l’oeil e di chiaro riferimento divin-mitologico; e ancora, di Hidetoshi Nagasawa (nato in Manciuria, ma vissuto nel Biellese) nella tenda “Era”, che “proprio come la tenda di Piero Della Francesca si apre sull’apparire del verbo incarnato, nella sua ‘Madonna del Prato’”. Sempre piacevole è, a seguito, la sorvegliata delicatezza cromatica di Salvo, mentre la scrittura visiva di Ketty La Rocca muove lungo il profilo mosso di una “Pietà” di Michelangelo, alla cui data di nascita è dedicata anche la sequenza di 99 disegni di Luigi Mainolfi. Sapere artigianale, pittura e scultura si fondano mirabilmente nelle opere di Luigi Ontani, quali caratteri rintracciabili anche nell’ultima sala che vede esposti gli “Affreschi” di Franco Guerzoni e quella suggestiva memoria di “architettura antica” che è la “Casa” del marchigiano Nanni Valentini. Quale il fil rouge che tiene insieme tutte queste opere e i loro autori? Sicuramente “il desiderio dell’arte – ancora la curatrice– un senso di appartenenza, la consapevolezza di tutto ciò che quella parola aveva significato sin lì e tutto ciò che ancora poteva rappresentare in virtù di quel passato”.
Gianni Milani
“Pittura Spazio Scultura”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 4 ottobre 2020 – Orari: dal mart. alla dom. 10/18, lun. chiuso
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